Il pianeta Gaia può attendere, e il M5s mangia se stesso sul Web e fuori

Marianna Rizzini

Il pianeta Gaia può attendere, questa almeno è una certezza: il sogno-delirio di catarsi e resurrezione internettiana immaginato da Gianroberto Casaleggio, la famosa democrazia diretta del Web con gli avatar che votano per il “governo mondiale”, ha trovato un altro intoppo (anche se già c’erano dubbi sulla sua efficienza), con conseguente annullamento e rifacimento delle “Quirinarie”. Gli attivisti a Cinque stelle registrati sul sito di Beppe Grillo dovevano votare online la rosa di dieci nomi papabili per la presidenza della Repubblica e mandarli al ballottaggio, ma il diavoletto ci ha messo la zampa.

Editoriale Grillo e i Quir-inabili - Amorosi Ecco perché le Quirinarie di Grillo sono un disastro tecnologico

    Il pianeta Gaia può attendere, questa almeno è una certezza: il sogno-delirio di catarsi e resurrezione internettiana immaginato da Gianroberto Casaleggio, la famosa democrazia diretta del Web con gli avatar che votano per il “governo mondiale”, ha trovato un altro intoppo (anche se già c’erano dubbi sulla sua efficienza), con conseguente annullamento e rifacimento delle “Quirinarie”. Gli attivisti a Cinque stelle registrati sul sito di Beppe Grillo dovevano votare online la rosa di dieci nomi papabili per la presidenza della Repubblica e mandarli al ballottaggio, ma il diavoletto ci ha messo la zampa. Eppure il problema, ora, per i Cinque stelle, non è tanto il mistero dell’“attacco hacker”, come l’ha chiamato drammaticamente Grillo sul blog, anche per invitare al “ri-voto” gli attivisti colpiti dall’“inconveniente”, e neanche “l’anomalia”, come l’ha chiamata la società esterna di certificazione (scelta dalla Casaleggio associati) che ha denunciato la compromissione della “corrispondenza tra i voti registrati e l’espressione di voto del votante”. Che ci sia di mezzo la “pirateria informatica internazionale”, come diceva ieri un parlamentare grillino mentre da Internet saliva la battuta “e poi volete la presidenza del Copasir?”, o che si tratti soltanto di una rudimentale opera di disturbo (gli hacker di “Anonymous”, quasi offesi, hanno negato ogni coinvolgimento), il tormento e l’estasi degli eletti grillini non gira attorno al Web ma al suo contrario: alla politica in carne e ossa che diventa ossessione in nome della parossistica, e in realtà eterodiretta, “democrazia diretta”. Nelle eterne assemblee sta il paradosso del movimento liquido che mangia se stesso a forza di pretendere l’unanimità di facciata, strozzato dalle sue stesse parole d’ordine: non ci si deve alleare, si deve restare “puri” (per fare cosa, poi?). Stando dentro al Palazzo, però, inquieti e sollevati all’idea del voto segreto sul presidente della Repubblica, i parlamentari si accorgono che, a non muoversi, rischiano di scivolare all’indietro, se non altro nel gradimento degli elettori.

    Poi c’è quella che un attivista di area dialogante chiama, scherzando neanche troppo, la “dittatura della base”: gli elettori vogliono decidere e sapere tutto, perché questo è stato promesso, e scrivono su Facebook messaggi interminabili ai deputati e ai senatori, pretendendo risposte. Tanto che ieri la deputata Tatiana Basilio ha chiesto venia: “E-mail sintetiche, per favore, non sono un ufficio informazioni, non ho l’assistente; le informazioni, con un po’ d’impegno, potete trovarle in Internet anche voi. Scusate, ma siamo oberati”. E anche se il deputato Alessandro Di Battista, prima dell’incidente delle “Quirinarie”, scriveva “viva la democrazia diretta, ci vuole del tempo per far percepire la sua portata rivoluzionaria in giro, ma tra non molto guarderemo alle democrazie rappresentative come oggi guardiamo alla monarchia assoluta”, tra gli eletti a Cinque stelle l’incidente del voto online è vissuto, più che altro, come un presagio di sventura che dà corpo ad altri fantasmi: “Se la base vota qualcuno che non ci piace che facciamo?, continuano a chiedersi i parlamentari che sperano di poter conservare una rosa finale di tre nomi da cui estrarre il preferito per il Quirinale. “Se c’è Gustavo Zagrebelsky magari ce lo votano”, dice un deputato. Se c’è Loretta Napoleoni, economista che preferiva il “capi-comunismo” cinese agli “scandali” della finanza occidentale, i ragionamenti si fanno più ardui.

    Ma lei, Loretta Napoleoni, ieri scriveva su Twitter, a proposito di un’eventuale designazione online: “Ci dovrei pensare bene, sarebbe una responsabilità importante, ma alla fine penso che accetterei”. Affidarsi alla base, poi, non risolve l’angoscia degli eletti per la “quarta votazione”. “La linea la deciderà l’assemblea”, dice la deputata Giulia Sarti, ma linea può voler dire tante cose: scheda bianca, appiattimento sul candidato meno peggio degli altri, testa bassa sul nome di bandiera. “Tanto non siamo determinanti, facessero il loro giochetto”, diceva ieri un parlamentare, mentre la tv ufficiale del movimento, “La Cosa”, negava un futuro sostegno grillino a Romano Prodi (“non credete a queste bufale dei giornali”). Ma vai a capire che cosa succede nei ranghi grillini se, dal quarto scrutinio, si diventa in qualche modo determinanti.

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    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.