Né fresco né nuovo né di rottura. Eppure Barca prenota il dopo Bersani
La “freschezza” di Fabrizio Barca può “andar bene”, “può aiutare” il Pd, dice Rosy Bindi sulla Stampa. E però, con tutto il rispetto, non si riesce a capire perché uno, nel Pd, dovrebbe volere come leader del Pd Fabrizio Barca, ministro uscente della Coesione territoriale nel governo Monti e papa straniero entrante, ma per vezzo riluttante, nell’universo democratico – autocandidato, sì, ma quasi quasi a nulla, a sentire lo stesso Barca che parla da Lucia Annunziata, a “In mezz’ora” (non aspira alla leadership del Pd, ma “al gruppo dirigente” del Pd, dice). Solo che Barca fino a ieri non era neppure iscritto, al Pd, e non ha votato per il Pd, tantomeno quando a fondarlo c’era l’amico d’infanzia Walter Veltroni.
La “freschezza” di Fabrizio Barca può “andar bene”, “può aiutare” il Pd, dice Rosy Bindi sulla Stampa. E però, con tutto il rispetto, non si riesce a capire perché uno, nel Pd, dovrebbe volere come leader del Pd Fabrizio Barca, ministro uscente della Coesione territoriale nel governo Monti e papa straniero entrante, ma per vezzo riluttante, nell’universo democratico – autocandidato, sì, ma quasi quasi a nulla, a sentire lo stesso Barca che parla da Lucia Annunziata, a “In mezz’ora” (non aspira alla leadership del Pd, ma “al gruppo dirigente” del Pd, dice). Solo che Barca fino a ieri non era neppure iscritto, al Pd, e non ha votato per il Pd, tantomeno quando a fondarlo c’era l’amico d’infanzia Walter Veltroni. E nella vita, Barca, pur provenendo da famiglia comunista, ha fatto di tutto tranne che occuparsi delle sorti del Pci-Pds-Pd: è uomo di curriculum (laurea, insegnamento, incarichi dirigenziali in ministeri economici) e di aristocrazia rossa (il padre Luciano, economista, partigiano, uomo del Pci e direttore dell’Unità, lo mandò a studiare a Cambridge, come si usava tra famiglie illuminate a Botteghe Oscure), ma non è uomo di apparato (critica il partito perché non sta “sul territorio” e “tra la gente”) e neanche uomo di rottura, ché il suo attacco al riformista oltranzista Matteo Renzi, pur vestendosi di superlaburismo, è comunque dissimulato dietro a un “sarebbe pretenzioso” sfidarlo.
Non è di piazza, Barca, eppure vuole sembrarlo: la Cgil “non è conservazione”, dice, anche ora che non critica più come prima, e dall’interno, le riforme di Elsa Fornero – critiche che giungevano pur sempre senza l’asprezza che le avrebbe rese a loro volta sanzionabili, critiche infine smussate (“eravamo qui per fare il cattivo lavoro che i partiti non potevano fare”, dice oggi Barca). E insomma è un mistero, questa storia di Fabrizio Barca, uno che ha studiato e lavorato con profitto nel gotha internazionale e nazionale dell’economia e della finanza liberal, tra Mit, Banca d’Italia e ministero dell’Economia (più simile “a un Enrico Morando che a uno Stefano Fassina”, dicono) e che tuttavia, a cinquantotto anni, si candida in quota “opposizione di classe”, anche inclusiva dei vendoliani, alla segreteria del Pd, facendo finta di non farlo e non nominando direttamente il nemico Renzi, ma attaccando alla larga tutto ciò che sa di renzismo, dai “partiti troppo liquidi” alla rottamazione “troppo burocratica”.
Uomo dello schermo per chi, nel Pd, giovane o vecchio turco, oggi preferisce non candidarsi in prima persona, ma già un anno fa prescelto da Concita De Gregorio (“voglio essere governata da lui”) e incoronato dall’Espresso (“quest’uomo sfiderà Bersani?”), Barca allora taceva, ma più che altro non smentiva. E anche oggi più che altro non smentisce, annunciando il prossimo arrivo del suo manifesto “del partito nuovo per un buon governo” – “solo una memoria”, minimizzava davanti a Lucia Annunziata che continuava a chiedere: ma lei si sente alternativo a Renzi? E Barca ancora nicchiava, candidato senza tessera (fino a ieri) alla dirigenza del partito che altri – non lui – volevano senza tessere. Lui, Barca, vuole restaurarlo, il partito con le tessere, con “nuovo metodo” e “mobilitazione cognitiva” sul territorio, un po’ gruppo di autocoscienza un po’ tavolo di lavoro: ci “incontriamo in un luogo” e “mettiamo idee in comune per risolvere un problema”.
Ha la medaglia del “Ciampi boy”, Barca, e quella di “esiliato” da Giulio Tremonti, la patente di “esterno alla nomenclatura” e l’aura del “figlio del partito” (titolo della Stampa) che da ragazzo ravvivava la sezione Mazzini, quella di Massimo D’Alema. Ieri persino il Fatto lo elevava, da tecnico, al di sopra dei tecnici (“l’unico membro della compagine guidata da Monti che ha provato a dire qualcosa di sinistra”). Presentabile, sì, ma anche non senza furbizia indefinibile (e forse per questo così papabile?).
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