Si scrive Gabanelli e si legge Rodotà. I grillini vagheggiano il “colpaccio”

Marianna Rizzini

Esce il nome di Milena Gabanelli dalle Quirinarie a cinque stelle, nome in deroga all’odio grillino per la “casta” dei giornalisti, ma tutti nel M5s sono in attesa, fin dall’inizio, del suo “no, grazie” (Gabanelli intanto si definisce “commossa ma sopravvalutata”, e pronta a dare la sua risposta “ai proponenti”). Il nome di Milena Gabanelli è “bellissimo”, dice anche Barbara Spinelli, ma è chiaro a tutti che si scrive Milena Gabanelli e si legge Stefano Rodotà, il nome-ombra che, agli occhi degli eletti grillini e dei sostenitori esterni del M5s, fa sognare il “colpaccio”.

    Esce il nome di Milena Gabanelli dalle Quirinarie a cinque stelle, nome in deroga all’odio grillino per la “casta” dei giornalisti, ma tutti nel M5s sono in attesa, fin dall’inizio, del suo “no, grazie” (Gabanelli intanto si definisce “commossa ma sopravvalutata”, e pronta a dare la sua risposta “ai proponenti”). Quel nome è un “miracolo”, dice Beppe Grillo comparso in video dal Friuli per lanciare a Pier Luigi Bersani una specie di palla avvelenata: “Vota Gabanelli e poi si vede”, “sarebbe un inizio”, “un segnale”, “il primo passo” per fare qualcosa insieme, dice, buttando lì parole come “ineleggibilità” e “rimborsi”, e soffiando sul “Kramer contro Kramer” che va in scena nel Pd: se “i giovani del Pd” hanno qualche buona idea “la votiamo”, dice Grillo, mentre dai giovani del Pd, tipo Pippo Civati e Alessandra Moretti, giungono segnali distensivi. Dice “non faccio battute”, questo è “un consiglio”, il Grillo dell’appello-ricatto a Bersani che comunque non resiste alla battuta su Antonio Di Pietro (“chissà come sarà contento” di vedere candidata al Quirinale la giornalista delle inchieste anti Idv). E’ l’altra faccia del Grillo furioso che, poche ore prima, da un’altra piazza friulana dove si era recato per dare manforte al candidato presidente della regione, Saverio Galluzzo, ribadiva agli astanti il concetto del “se volete il governo col Pd avete sbagliato voto”, “la nostra bussola è la scomparsa dei partiti”, il movimento “è un format che sta per essere esportato in Grecia e in Germania”, “se falliamo noi arriva la ghigliottina”.

    Il nome di Milena Gabanelli è “bellissimo”, dice anche Barbara Spinelli, ma è chiaro a tutti che si scrive Milena Gabanelli e si legge Stefano Rodotà, il nome-ombra che, agli occhi degli eletti grillini e dei sostenitori esterni del M5s, fa sognare il “colpaccio”, così lo chiamano alcuni parlamentari a cinque stelle, vagheggiando lo scenario: una parte del Pd si fa tentare dal voto al professore dei “Beni comuni” (compreso il Teatro Valle Occupato, dove è stato ospite), sostenuto in queste ore da varie petizioni trasversali e “beautiful” dal mondo della cultura e delle professioni, e il M5s esce dall’angolo e dalle riunioni-fiume in cui impiccarsi a una linea (l’ultima ieri sera alle otto, argomento: che fare dal quarto scrutinio in poi).

    Beppe Grillo si affaccia sulla diga del Vajont, incontra valligiani, affronta anziani attivisti che lo vorrebbero in tv e appare ringalluzzito dalla seconda vita del canovaccio “Tsunami tour”, ribattezzato per la Venezia Giulia “Tour de force”, ma intanto pensa a Roma e, con Gabanelli ancora ufficialmente in lizza, spinge senza indugio Rodotà, terzo classificato, dietro a un Gino Strada indisponibile, alle Quirinarie dei misteri (quanti hanno votato? quante preferenze per ognuno dei finalisti?). Rodotà è “perfetto”, dice Grillo definendo intanto Giuliano Amato “cassiere di Craxi” e “suicidio per il Pd”. Non importa che nel 2011 Rodotà fosse finito in una lista nera di cosiddetti “pensionati d’oro” stilata proprio da Grillo sul blog di Grillo: “Questo sconcio è ormai intollerabile, per farvi venire la bile ecco qualche pensionato parlamentare eccellente”, scriveva l’ex comico, elencando nomi e cifre: “Rosa Russo Iervolino: 9.947 euro, Nicola Mancino: 9.947, Pino Rauti: 9.387, Alfredo Reichlin: 9.947, Stefano Rodotà: 8.455, Vittorio Sgarbi: 8.455, Giuliano Urbani: 6.590, Walter Veltroni: 9.014”. Non importa neppure che Rodotà, candidato più politico degli altri, smentisca l’anatema del giorno prima di Gianroberto Casaleggio (“sarebbe meglio che il presidente della Repubblica fosse un non politico”) – e tanto Casaleggio pareva più che altro pensare a Emma Bonino e a Romano Prodi, rispettivamente al sesto e all’ottavo posto del “televoto” on-line. E a un certo punto l’insistenza di Grillo sui “giovani del Pd” buoni e sul resto del Pd cattivo si specchia nei dubbi democratici: c’è chi, come Davide Zoggia, continua a parlare di “ricerca di un nome ampiamente condiviso” e chi, come Alessandra Moretti, da “TeleQuirinale” su Repubblica.it, dice che è arrivato il momento di iniziare a discutere. C’è tutto un mondo simpatizzante (per Grillo) ma non necessariamente grillino che guarda a Rodotà come al “candidato che può mettere in crisi il Pd”, come dice il professore e intellò a cinque stelle Paolo Becchi, colui che due giorni fa invitava i grillini a “votare con la testa” (cioè: Rodotà subito). E Milena Gabanelli non faceva in tempo a dire “sono commossa” che da Twitter le giungevano dichiarazioni di stima, sì, ma pure inviti a restare al proprio posto a “Report”.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.