C'è un giornale in Giappone che si occupa solo degli svarioni dei giudici
L’editoria giapponese è forse l’unica al mondo a godere di ottima salute – complice la lobby degli editori, che da anni si oppone alla rivoluzione digitale e sono pochissimi, infatti, i giornali giapponesi consultabili online – e se vuoi fare un giornale che si occupi per esempio soltanto di errori della magistratura, di processi penali da rifare, di condannati ingiustamente da pm carrieristi, puoi farlo.
Roma. L’editoria giapponese è forse l’unica al mondo a godere di ottima salute – complice la lobby degli editori, che da anni si oppone alla rivoluzione digitale e sono pochissimi, infatti, i giornali giapponesi consultabili online – e se vuoi fare un giornale che si occupi per esempio soltanto di errori della magistratura, di processi penali da rifare, di condannati ingiustamente da pm carrieristi, puoi farlo. A passarsela male è infatti il sistema giudiziario giapponese: sulle false confessioni estorte ai sospettati, che spesso determinano il giudizio di primo grado (il grado di condanna in caso di rinvio a giudizio, in Giappone, è al 99 per cento) esistono ormai innumerevoli libri, film, serie tv e fumetti. Enzai file (si pronuncia “enzai fairu”) letteralmente significa “rivista degli errori giudiziari”, è un magazine patinato formato tabloid che esce ogni tre mesi dal maggio 2008 e si occupa esclusivamente di mala giustizia. Costa 450 yen, circa tre euro e mezzo, e la particolarità della redazione è che è l’unica a fare nomi e stilare profili dei giudici, delle figure quasi mitologiche in Giappone, che non parlano mai e di cui non si parla mai. “Il sistema giudiziario giapponese funziona male, è per questo che un giorno ci siamo riuniti e abbiamo deciso di pubblicare la rivista”, dice al Foglio Kobayashi, caporedattore di Enzai file che preferisce firmare i suoi articoli con il solo nome, “da quel momento hanno cominciato ad arrivarci segnalazioni di errori e ingiustizie da ogni parte del Giappone”. Nel 2010 c’è stato anche un restyling della grafica, e il formato è diventato sempre più simile a quello di un tabloid. Sono state messe delle ragazze in copertina, a dispetto degli argomenti serissimi della testata (“E’ una scelta editoriale che non comprendo bene nemmeno io, quella delle ragazze in copertina”, confessa al Foglio Kobayashi, “e che non condivido granché”).
Kobayashi, da giornalista e attivista, si è occupato per circa dieci anni della vicenda del cittadino nepalese Govinda Prasad Mainali, assolto nel 2012 per il caso dell’omicidio di Yasuko Watanabe dopo aver trascorso gli ultimi quindici anni in carcere. Watanabe era un’impiegata della Tepco (quella della centrale nucleare di Fukushima) di giorno, e una squillo di notte. Fu trovata strangolata nel marzo del 1997 in un appartamento di Tokyo. Govinda, che a quell’epoca aveva trent’anni, era stato subito identificato come sospettato, e condannato al carcere a vita. Dopo una lunga battaglia, la prova del Dna l’anno scorso dimostrò la sua estraneità ai fatti. Govinda aveva sostenuto la sua innocenza fin dall’inizio, ma nel corso degli anni i pm “avevano rifiutato di accettare l’idea che non fosse stato coinvolto nell’omicidio”. Secondo alcune denunce, le autorità lo avrebbero costretto a firmare una falsa confessione dopo mesi di interrogatori infiniti e torture psicologiche. Nell’ultimo numero Enzai file dedica quaranta pagine alla vicenda di Govinda: “E’ stato il caso più mediatico e impressionante della mia carriera di giornalista”, dice Kobayashi. “Certamente non abbiamo una diffusione pari ai grandi quotidiani, ma gli errori giudiziari e alcuni casi di persone ingiustamente condannate stanno avendo un’incredibile attenzione mediatica”, spiega il giornalista giapponese. E cita i due casi che Enzai file, con le sue inchieste, ha contribuito a chiarire: quello dell’omicidio di Ashikaga – Toshikazu Sugaya restò in galera per 17 anni per l’assassinio di una bambina di quattro anni che non aveva compiuto, ma confessato – e il caso di Fukawa – quello di due persone condannate ingiustamente e assolte nel 2011 per un caso di furto con omicidio avvenuto nel 1967.
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