Il Cav. vuole la luna, ma basta Amato

Salvatore Merlo

“Non c’è bisogno di incontrarsi”, dicono. Gli accordi tra Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani corrono sul filo del telefono, lontano da sguardi pettegoli. Così a tarda sera il Cavaliere, tornato da Arcore, lo annuncia alla sua corte già riunita al Castello (via del Plebiscito 102): “Direi che è fatta, con Bersani abbiamo un patto di ferro su Amato al Quirinale”. Un po’ vero, un po’ no: la Lega non lo vuole, e Massimo D’Alema rimane una carta coperta. Tutto è in movimento, Gianni Letta e Denis Verdini conducono le trattative malgrado le frequenti incursioni telefoniche del grande capo.

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    “Non c’è bisogno di incontrarsi”, dicono. Gli accordi tra Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani corrono sul filo del telefono, lontano da sguardi pettegoli. Così a tarda sera il Cavaliere, tornato da Arcore, lo annuncia alla sua corte già riunita al Castello (via del Plebiscito 102): “Direi che è fatta, con Bersani abbiamo un patto di ferro su Amato al Quirinale”. Un po’ vero, un po’ no: la Lega non lo vuole, e Massimo D’Alema rimane una carta coperta. Tutto è in movimento, Gianni Letta e Denis Verdini conducono le trattative malgrado le frequenti incursioni telefoniche del grande capo. L’aria è quella di un accordo da primo scrutinio sul nome di Giuliano Amato: elezione immediata già domani (sono previste due votazioni, una al mattino e una nel pomeriggio). Ma chissà. Bersani ha trovato un nome che spariglia: il professore Sabino Cassese, l’ex ministro del governo Ciampi, il giudice costituzionale, il giurista amico di Giorgio Napolitano.

    Cassese piace al Pd, e piace anche a Eugenio Scalfari. Ma al Cavaliere? Berlusconi, si sa, in assoluto non ama i giudici, né in particolare ama quelli della Corte costituzionale. Dunque istintivamente il Cavaliere diffida anche di Cassese (“credo abbia lavorato contro di me ai tempi del lodo Alfano”). Eppure pare che le cose non stiano esattamente in questo modo, la ricostruzione di Berlusconi è viziata da un pregiudizio negativo. E infatti Gianni Letta, nelle ultime ore, tra un colloquio e l’altro anche con Napolitano, si è molto prodigato per descrivere meglio al Cavaliere sia il profilo del giurista sia il suo effettivo ruolo ai tempi della bocciatura del lodo che fu firmato dal capo dello stato ma bocciato dalla Consulta. “Cassese ha sempre lavorato in armonia con il Quirinale”. Insomma, con il giurista i candidati alla presidenza della Repubblica vicini a Napolitano diventano due. L’altro è ovviamente Amato.

    Alla notizia del quasi accordo, ieri sera Fabrizio Cicchitto per un attimo si è fatto sofferente in volto. Il vecchio socialista non perdona nulla al suo ex compagno di partito nel Psi, l’uomo che Cicchitto considera un traditore di Craxi. Così quando il Cavaliere ha fatto il nome di Amato, l’ex capogruppo berlusconiano si è armato di un sorriso canzonatorio: “Sempre meglio di Prodi”. Così il Pdl ieri ha consumato il rito dello scampato pericolo: evapora Prodi mentre il Cavaliere pregusta soddisfatto l’avvio di un governo (guidato da Bersani) subordinato alla sua volontà, ai suoi voti, alla sua astensione tattica.

    Il Cavaliere ha un modo tutto suo, fantasioso e spregiudicato, di condurre le trattative: spara sempre altissimo. E’ tutta la vita che fa così, a volte gli va bene, altre volte un po’ meno, ma è sempre stato questo il suo stile sia da imprenditore rampante e di successo, sia da uomo politico abituato all’azzardo nei complicati rapporti con gli alleati (Bossi, Fini, Casini) o con gli avversari (prima D’Alema, poi Veltroni). Lui chiede la luna, sapendo bene di essere disposto ad accontentarsi anche di molto, molto, meno. Così adesso, con Bersani, Berlusconi è pronto a insistere, a indossare persino, ancora una volta, la maschera dura e intransigente, quella dei toni da campagna elettorale, quella della piazza che si raccoglierà attorno al gingle “meno male che Silvio c’è” già domenica prossima a Udine. “Dopo l’elezione del capo dello stato c’è solo un governo Pd-Pdl”, insiste Berlusconi. In realtà è da parecchie settimane che il Cavaliere è dispostissimo ad accettare un fragile governo monocolore Pd guidato da Bersani, e dunque è per questo che gli va benissimo Giuliano Amato al Quirinale (o in alternativa, anche Massimo D’Alema). Berlusconi non lo ammetterà mai in pubblico, ma l’idea di un governo di centrosinistra che si regge sull’appoggio esterno del suo Pdl, un esecutivo che insomma lui potrebbe mandare a casa in qualsiasi momento, ad libitum, è un’idea che ovviamente gli piace da matti. D’altra parte, nei suoi colloqui privati, di fronte agli amici che sanno come estorcergli le sue verità, il Cavaliere lo ha già detto: “Certo che mi piace”. E poi Bersani porta in dote anche la bicameralina, la commissione per le riforme che il Cavaliere potrebbe anche voler presiedere lui stesso. Non c’è nessuna immagine di sé che a Berlusconi piace più di quella in cui può specchiarsi legittimato dal capo del partito avversario, consegnato a un ruolo istituzionale, alla presidenza di una commissione che accompagni, come dice la fidata Mariastella Gelmini, “un clima di concordia nazionale”.

    Ma è sul nome del presidente della Repubblica che si discute adesso. Berlusconi ha convocato la sua corte al gran completo per le 11 di questa mattina, il suo candidato preferito sembra ormai essere Giuliano Amato, “è praticamente fatta”. Ma l’ex presidente del Consiglio non piace per niente a Maroni e la contrarietà della Lega non è un problema da poco neanche per Berlusconi. Forse è per questo che, nel Pdl, alcuni degli ambasciatori del Cavaliere ieri sera hanno rilanciato la candidatura di D’Alema: non si è mai dato per vinto, e secondo i berlusconiani ha “il profilo migliore dopo quello di Amato”. Ma chissà.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.