I tormenti di Rep.

Marianna Rizzini

Sono brutti momenti per Pier Luigi Bersani, sì, ma anche a Repubblica un po’ si soffre, nel momento in cui un patto Pd-Pdl si profila (con Beppe Grillo che, sentendosi improvvisamente con le spalle al muro, spara a zero contro le “Berlusconarie” e Massimo D’Alema che vuole “salvare il culo a B.”). Difficile essere kingmaker per il Quirinale sospesi come si è, anche a Largo Fochetti, tra antica identità “no B.” e desiderio di tenere insieme tutto: l’area della sinistra “mozzorecchi” e quella della sinistra che, per sopraggiunto pragmatismo e visti anche i risultati elettorali, non sarebbe contraria a un nome per così dire (come dice Ezio Mauro) “di garanzia”.

    Sono brutti momenti per Pier Luigi Bersani, sì, ma anche a Repubblica un po’ si soffre, nel momento in cui un patto Pd-Pdl si profila (con Beppe Grillo che, sentendosi improvvisamente con le spalle al muro, spara a zero contro le “Berlusconarie” e Massimo D’Alema che vuole “salvare il culo a B.”). Difficile essere kingmaker per il Quirinale sospesi come si è, anche a Largo Fochetti, tra antica identità “no B.” e desiderio di tenere insieme tutto: l’area della sinistra “mozzorecchi” e quella della sinistra che, per sopraggiunto pragmatismo e visti anche i risultati elettorali, non sarebbe contraria a un nome per così dire (come dice Ezio Mauro) “di garanzia”.
    Sono infatti giorni in cui, al termine di un lungo e tormentato percorso verso la realpolitik, il quotidiano di Largo Fochetti, specie al suo vertice, tenta la moral suasion per “l’offerta” che il Pd avrebbe dovuto fare: un nome “degno”, scriveva lunedì il direttore, un nome “con sicura sensibilità istituzionale e costituzionale, fuori dalla nomenclatura di partito” (e dunque non sgradito al Pdl ma non così indigeribile per i Cinque stelle). Il nome, prima taciuto poi svelato, era quello di Sabino Cassese, giurista non allineato con Gustavo Zagrebelsky, altro quirinabile (per i Cinque stelle e per Marco Travaglio, ma anche per l’editorialista di Rep. Barbara Spinelli) che con il mondo di Repubblica condivide il sentire “antiCav.” e con il suo direttore, due anni fa, ha scritto il libro “La felicità della democrazia”.

    “Un nome indegno”
    E però Ezio Mauro, lungi dal parlare di Zagrebelsky, anche ieri invitava Bersani a “scegliere la metà-campo”, e ricordava il “metodo” indicato il giorno prima, quando suggeriva al Pd di fare “il nome” (non la rosa di nomi) e “chiedere ai gruppi di sostenerlo all’unanimità”, per poi “presentarlo al paese, spiegando le ragioni e le caratteristiche per cui quel nome può essere di garanzia per tutte le culture politiche presenti in Parlamento: tutte, non una in particolare”.
    Noi non “riteniamo possibile fare il governo con la destra”, continuava a dire Mauro ieri, in riunione di redazione, per rassicurare il suo stesso animo azionista-zagrebelskiano nonché l’ala dura e pura di Rep. E però, diceva come per riflesso ormai insopprimibile, quasi un’alzata di braccio da dottor Stranamore, “sarebbe meglio che l’offerta venisse fatta a tutto il Parlamento”.
    Solo che l’ala dura e pura di Rep., impersonata da Michele Serra e Barbara Spinelli, entrambi alfieri dell’“alternativa” stronca-Cav (votare subito il candidato dei Cinque stelle) contrastava preventivamente il metodo e il nome sponsorizzati dal direttore. All’indomani dell’appello-ricatto di Grillo a Bersani (vota Gabanelli o Rodotà e poi si vede), Michele Serra invocava infatti l’assunzione del “rischio”: “Niente è più irresponsabile, in questa situazione, che decidere di non cambiare nulla, fossi Bersani non avrei dubbi. A rischio di mettermi contro mezzo partito, accetterei di votare Rodotà o Gabanelli (ieri sfilatasi dalla gara, ndr) e sfiderei Grillo a trarne le conseguenze…”.

    Spinelli addirittura chiedeva a Bersani il “coraggio della solitudine”: “Non può che scegliere un presidente che nell’ultimo ventennio abbia avversato l’anomalia berlusconiana… Stefano Rodotà o Romano Prodi o Gustavo Zagrebelsky”. In serata, quando l’accordo Pd-Pdl era più che un’ipotesi, Ezio Mauro twittava nervoso: “Avevamo chiesto al Pd una scelta autonoma per un nome degno. Non c’è autonomia e non c’è il nome. A questo punto o Bersani ha un nome nuovo che garantisca tutto il Parlamento, e non solo qualcuno, oppure il nome è Rodotà”. E mentre in Parlamento alcuni eletti a Cinque stelle, proprio su quei nomi, sognavano ancora il “colpaccio”, Barbara Spinelli buttava il cuore oltre tutti gli ostacoli, vedendo già sul podio non del Quirinale, ma della segreteria Pd, il papa straniero Fabrizio Barca: “Se vediamo lo sfaldarsi del Pd non come una sciagura ma come un’opportunità, l’accordo con i Cinque stelle può essere reinvenzione democratica. Tra le righe è quel che dice Barca…”.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.