L'addio a Maggie

Uniti per salutare la Thatcher, gli inglesi sorridono per via del pâté

Paola Peduzzi

Un signore strizza gli occhi per vedere bene la bara che passa in mezzo alla strada, non tanto lontana, ma ci sono teste, telefonini, scalette, testoline di bimbi che sbucano sulle spalle, è difficile reggere l’emozione, in questa giornata d’addio a Margaret Thatcher. Quel signore ha in mano un drappo bianco con una scritta blu: “But we loved her”. In quel “but”, ma, c’è tutta l’Inghilterra, che ancora fa i conti con il thatcherismo, lo tira un po’ di qui e un po’ di là, lo ama e lo odia, ma nella solennità dell’ultimo saluto si mette in pace con se stessa.

    Un signore strizza gli occhi per vedere bene la bara che passa in mezzo alla strada, non tanto lontana, ma ci sono teste, telefonini, scalette, testoline di bimbi che sbucano sulle spalle, è difficile reggere l’emozione, in questa giornata d’addio a Margaret Thatcher. Quel signore ha in mano un drappo bianco con una scritta blu: “But we loved her”. In quel “but”, ma, c’è tutta l’Inghilterra, che ancora fa i conti con il thatcherismo, lo tira un po’ di qui e un po’ di là, lo ama e lo odia, ma nella solennità dell’ultimo saluto si mette in pace con se stessa. Le proteste che nelle attese avrebbero dovuto segnare i funerali non si sono quasi notate: il gruppo che girava la schiena al passaggio della bara s’è perso in mezzo alla folla che applaudiva, mentre dagli uffici si affacciavano persone alle finestre urlando ai manifestanti delle ultime file: “Get a job”, vai a lavorare. Al primo buuu, quando ancora la bara della Thatcher – con sopra la bandiera inglese e una corona di fiori bianchi con il biglietto dei figli, Mark e Carol – stava iniziando la sua lunga, splendida processione, s’è sentito uno dalla folla che ha urlato fortissimo: “Non vi ci provate!”, rivolto a chi tirava su i suoi cartelli con scritto: “Non voglio pagare per questo funerale” (notizia: i due terzi della cerimonia sono stati pagati dalla Thatcher, con buona pace di tutti quelli che sparano cifre astronomiche sul costo delle esequie).

    Gli inglesi non si sono fatti rubare l’addio da quelli che gioiscono per la morte dell’ex primo ministro, si sono presentati a centinaia, hanno applaudito, hanno chiacchierato un po’ giulivi, felici di esserci. Hanno parlato di Amanda Thatcher, la nipote di Margaret, che s’è guadagnata il suo “momento Pippa”, come l’hanno definito i commentatori, riferendosi a quel che accadde al matrimonio reale tra Kate e William, con i fotografi impegnati a immortalare la sorella della principessa (in particolare il suo didietro). Hanno parlato soprattutto della regina Elisabetta, che s’è presentata alla cerimonia pur non essendo un funerale di stato, si è messa in un banchetto davanti a tutti, con Filippo, e all’uscita ha aspettato che fosse il suo turno per scendere gli scalini, e il suo turno è arrivato dopo la famiglia Thatcher. E’ stata all’ingresso della cattedrale ad attendere che la bara fosse caricata sul carro funebre, mentre Filippo chiacchierava con l’arcivescovo di Canterbury, che ha dato l’ultima benedizione, e il vescovo di Londra, Richard Chartres, star indiscussa del funerale (nell’inserto I il testo dell’omelia).

    La disperazione negli occhi degli odiatori
    Il reverendo Chartres ha fatto ridere un paio di volte tutta la cattedrale, soprattutto quando ha ricordato un pranzo con la Thatcher, in cui lei gli prese il braccio e gli disse di non toccare il pâté d’anatra, “fa davvero ingrassare”. S’è poi soffermato sulla famiglia, sulla natura di quella leadership così unica, le sue ombre e le sue luci, e su quella frase famosa sulla società che non esiste che è stata sempre letta male – ha ricordato il reverendo come se fosse un thatcheriano convinto – e che in realtà significava dire il contrario. Chartres è considerato un conservatore, ma non è affatto thatcheriano. Quando ancora era cappellano, negli anni Ottanta, scrisse il discorso per la cerimonia di commemorazione delle vittime della guerra nelle Falkland equiparando i morti inglesi a quelli argentini. La Thatcher si risentì tantissimo, seguirono anni di quella freddezza che soltanto chi ha avuto a che fare con la Lady di Ferro sa descrivere. Il reverendo è anche contro la City, figlia del tatcherismo: quando ci furono le proteste di Occupy davanti alla cattedrale (tende e bivacchi per giorni, i ragazzini londinesi si divertirono un mondo in quegli “sleepover” fuori programma), Chartres scese sul sagrato a cercare il dialogo con i manifestanti. Il reverendo è anche un ambientalista convinto, mentre la Thatcher non si è mai appassionata all’idea di salvare gli orsi polari. Ma nell’ora dell’addio, come tutti gli inglesi, il reverendo ha pronunciato un discorso elaborato per unire, per ricordare una donna rivoluzionaria che ha reso grande un grande paese (il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, ha vinto il premio del più commosso).

    A Grantham, la cittadina della Thatcher, un unico manifestante s’è messo davanti a quello che era il negozio del papà droghiere di Maggie (che oggi è una clinica chiropratica e un centro olistico), da solo, dicendo che non avrebbe mai protestato se non fossero stati spesi tanti soldi per questo assurdo funerale. Faceva quasi tenerezza, negli occhi la disperazione degli odiatori della Thatcher, che da ieri saranno sepolti assieme a lei. Che senso ha odiarlo, un morto.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi