Rivoluzione rimandata
La sconfitta sulle armi sveglia Obama dal sogno dell'America liberal
New York. La sintesi del senatore repubblicano Lindsey Graham dice una verità impietosa: “Obama voleva tre cose a proposito delle armi da fuoco: vietare le armi d’assalto, limitare le dimensioni dei caricatori ed estendere i controlli per chi acquista armi. Ha perso tutte e tre le cose”. Mercoledì il Senato ha celebrato la più bruciante sconfitta politica del presidente bocciando sette emendamenti sul controllo delle armi da fuoco; soprattutto ha soffocato la misura più edulcorata, frutto del compromesso fra il democratico Joe Manchin e il repubblicano Pat Toomey, senatori con un record impeccabile di voti a difesa del Secondo emendamento.
New York. La sintesi del senatore repubblicano Lindsey Graham dice una verità impietosa: “Obama voleva tre cose a proposito delle armi da fuoco: vietare le armi d’assalto, limitare le dimensioni dei caricatori ed estendere i controlli per chi acquista armi. Ha perso tutte e tre le cose”. Mercoledì il Senato ha celebrato la più bruciante sconfitta politica del presidente bocciando sette emendamenti sul controllo delle armi da fuoco; soprattutto ha soffocato la misura più edulcorata, frutto del compromesso fra il democratico Joe Manchin e il repubblicano Pat Toomey, senatori con un record impeccabile di voti a difesa del Secondo emendamento. L’accordo prevedeva l’estensione dei “background check” a chiunque acquisti un’arma, anche su Internet e nelle fiere, che nell’attuale legislazione sfuggono alla regola. Nemmeno questa cauta misura ispirata al “common sense”, come hanno recitato per giorni i sostenitori del controllo delle armi, è riuscita a catalizzare i sessanta voti necessari per l’approvazione. Soltanto 54 senatori hanno votato a favore: quattro democratici di stati a maggioranza repubblicana – Montana, Alaska, Arkansas e North Dakota – hanno votato “no”, e lo stesso numero di repubblicani si è smarcato dalla linea del proprio partito.
Quello che si è presentato nel giardino delle rose assieme ai parenti delle vittime della strage di Newtown e a Gabby Gifford, la deputata ferita gravemente da un pazzotico sparatore in un parcheggio di Tucson, era un presidente infuriato. “E’ stato un giorno vergognoso per Washington”, ha detto. Ha accusato una minoranza di parlamentari di avere ucciso una legge sostenuta dal 90 per cento degli americani, di avere ceduto al ricatto di una lobby della armi che ha “arbitrariamente mentito” per rappresentare la proposta come il prodromo di un “grande fratello” che attraverso la burocrazia statale controlla un aspetto della società che la coscienza americana concepisce come un affare esclusivamente privato. Il presidente ha violato la “Obama rule”, regola di condotta che gli suggerisce di imbarcarsi soltanto nelle battaglie che può vincere. “Ma questo – dice – è solo il primo round”.
“La strategia di diffondere falsità sul disegno di legge ha raggiunto il suo scopo, perché quelle bugie hanno fatto infuriare un’agguerrita minoranza di possessori di armi e questo, di conseguenza, ha intimidito molti senatori”. Il dibattito, dice il presidente, è precipitato in un freddo calcolo politico basato sul ricatto della National Rifle Association (Nra): i senatori che hanno votato contro “temevano che la lobby avrebbe speso un sacco di soldi per dipingerli come ostili al Secondo emendamento”, con l’effetto di ridurre a zero le loro possibilità di rielezione. Il cuore dell’interpretazione obamiana dell’accaduto è: le lobby tengono in ostaggio un Parlamento che si trova a fare leggi che contraddicono l’opinione del 90 per cento degli americani. La paura è il motore che ha determinato la sconfitta politica: “I senatori dicono che hanno paura della lobby delle armi. Ma credo che quella paura sia niente rispetto alla paura che hanno provato i bambini della scuola elementare di Sandy Hook prima che le loro vite finissero in una pioggia di proiettili”, ha scritto Gabby Giffords in un appassionato editoriale sul New York Times. La paura, ha detto Obama, è un sentimento bipartisan: i democratici dei “red state” hanno “cercato qualunque scusa per votare no” e così hanno soffocato anche la più prudente delle proposte, quella che già disattendeva i propositi presidenziali di una rivoluzione copernicana nel rapporto fra l’America e le armi da fuoco.
Gli sforzi del presidente non sono bastati a unire il suo partito, condizione necessaria per poter aspirare a raggranellare in casa repubblicana i voti per sfondare quota sessanta. Il democratico Max Baucus ha spiegato con una sola parola il motivo del suo disaccordo con il compromesso del presidente: “Montana”, il suo stato, dove il diritto alla pistola è un dogma e le intrusioni dello stato federale un’apostasia. Nemmeno la “conversione” di Manchin, grande avvocato delle pistole da sinistra, è stata sufficiente ad aggregare il consenso sull’estensione dei “background check” che nella legislazione attuale si applica al sessanta per cento degli acquirenti di armi. La Nra ha fatto un “grande errore” a opporsi al disegno di legge, ha detto ieri il senatore che fino a questo momento ha sempre ottenuto il massimo dei voti dalla lobby delle armi. Se si considera il programma massimo di Obama, quello delineato dopo Newtown in decine di discorsi carichi di significati emotivi, la giornata di mercoledì è stata un disastro per la Casa Bianca: l’emendamento per bandire le armi d’assalto ha ottenuto soltanto 40 voti: 15 democratici hanno votato contro, un repubblicano soltanto si è unito alla fazione opposta. Il disegno di legge per limitare le dimensioni dei caricatori a dieci cartucce ne ha ottenuti 46, con dieci defezioni democratiche.
Lo spettacolo della sconfitta democratica ha indotto anche una considerazione appena accennata dal presidente e sviluppata da Ezra Klein, columnist del Washington Post: l’emendamento è stato sconfitto perché il Senato è antidemocratico. C’è qualcosa di fallato, dice Klein, nel modo in un cui è attribuita la rappresentanza nella Camera alta del Congresso. Ogni stato, a prescindere dalla popolazione o dai contributi fiscali, è rappresentato da due senatori, il che equipara, ad esempio, il Wyoming alla California in termini di seggi. E’ il risultato del “Compromesso del Connecticut” raggiunto nel 1787 su proposta di James Madison. Dietro a un compromesso fallito c’è sempre un altro compromesso al quale dare la colpa.
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