Il personalismo di Cartes, la risposta paraguayana al caudillismo in stile Chavez

Maurizio Stefanini

Il cittadino paraguayano Horacio Cartes, 56 anni, confessa che in vita sua ha votato per la prima volta solo domenica. In compenso, ha votato per sé stesso,  ed è diventato Presidente. Un Presidente che, dopo la breve parentesi del liberale Federico Franco, rompe radicalmente rispetto al vescovo di sinistra Fernando Lugo, eletto nel 2008 e destituito l'anno scorso. Cartes, infatti, non solo è targato a destra, ma è anche un multimilionario. E' infatti il proprietario della Banca Amambay e di una holding di 25 imprese che dà lavoro a 3500 persone e da cui gran parte dei suoi concittadini deve in un modo o nell'altro passare.

    Il cittadino paraguayano Horacio Cartes, 56 anni, confessa che in vita sua ha votato per la prima volta solo domenica. In compenso, ha votato per sé stesso, ed è diventato Presidente. Un Presidente che, dopo la breve parentesi del liberale Federico Franco, rompe radicalmente rispetto al vescovo di sinistra Fernando Lugo, eletto nel 2008 e destituito l’anno scorso. Cartes, infatti, non solo è targato a destra, ma è anche un multimilionario. E’ infatti il proprietario della Banca Amambay e di una holding di 25 imprese che dà lavoro a 3500 persone e da cui gran parte dei suoi concittadini deve in un modo o nell’altro passare. In molti ironizzano su come i paraguayani, che si rovinano la salute abusando delle sigarette prodotte dalle sue fabbriche di tabacco, con i superalcolici usciti dalle sue distillerie o con la carne rossa dei suoi allevamenti, possono poi disintossicarsi o dimagrire in una delle famose cliniche che fanno parte anch’esse dell’impero Cartes. In più, oltre a fumare, bere, mangiare, curarsi e mettere i depositi nella sua banca, la gran parte dei paraguayani veste anche prodotti firmati Cartes, viaggia sui suoi mezzi di trasporto e si rifornisce nei suoi supermercati. Nel 2001 divenne poi presidente del Club Libertad: la terza squadra di calcio del Paese dopo l’Olimpia e il Cerro Porteño e precipitata in serie B nel 1998. Con lui alla guida il Libertad ha vinto sette campionati raggiungendo anche la semifinale della Copa Libertadores. Dulcis in fundo, come dirigente della Asociación Paraguaya de Fútbol, gli è riconosciuto gran parte del merito per i risultati ottenuti dalla nazionale ai Modiali del 2010 quando il Paraguay contribuì all’eliminazione dell’Italia arrendendosi poi alla Spagna vincitrice del torneo a soli sette minuti dal fischio finale.

    Eppure, questo Berlusconi paraguayano e il vescovo rosso Lugo hanno qualcosa in comune. Da quando nel 1887 il Partito Liberale e quello Colorado furono fondati, ispirandosi in origine rispettivamente ai democratici e ai repubblicani Usa, la gran parte dei paraguayani ha continuato a riconoscersi in questi due partiti identitari con il fervore di una fede trasmessa di padre in figlio. Sia Cartes che Lugo sono di tradizione familiare colorada, anche se poi entrambi si sono lasciati alle spalle quell’affiliazione. Lugo, figlio di contadini, è diventato un sacerdote (anche se poi pur facendo carriera in ambito ecclesiastico fino al rango di vescovo si è dedicato soprattutto alla politica e a sfornare figli illegittimi). Cartes, figlio del concessionario paraguayano degli aerei Cessna, è andato a studiare meccanica aeronautica negli Stati Uniti per poi concentrarsi a costruire la sua fortuna. Nel 2008 l’ex-colorado e vescovo rosso Lugo fu poi scelto dai liberali come candidato alla Presidenza per attrarre il voto di chi, ormai stanco dei 68 anni di governo dei colorados, per ragioni identitarie non avrebbe mai votato per un liberale. E in effetti fu eletto, ma subendo l’attrazione fatale di Hugo Chávez iniziò quasi subito a litigare con il vicepresidente liberale Federico Franco finché gli stessi liberali assieme ai colorados non lo destituirono sostituendolo per gli ultimi 14 mesi con Franco. Nel frattempo, e siamo nel 2009, l’”inciucio” tra liberali, sinistre e chavisti aveva convinto Cartes a scendere in campo con i colorados. All’inizio gli fecero resistenza, con la stessa presidentessa del partito, Lilian Samaniego, che ritirò fuori vecchie accuse di contiguità con gruppi di contrabbandieri di sigarette e narcos, peraltro mai dimostrate. Infine fu accettato, e la sua elezione si rivelò trionfale: ben il 45,84 per cento dei consensi, contro il 36,94 per cento del liberale Efraín Alegre, il 5,88 del candidato della sinistra moderata Mario Ferreiro e il 3,32 del candidato della sinistra più radicale Anibal Carrillo (anche se alle politiche è stata proprio quest’ultima lista ad arrivare terza). Tra i cinque senatori eletti tra le sue fila c’è anche Lugo, che comunque ha fatto le sue felicitazioni a Cartes.  

    “Io non votavo e neanche me ne interessavo, ma adesso ne sono pentito”, ha risposto Cartes a chi gli domandava del suo passato astensionismo. Per poi aggiungere: “Non mi sono affiliato al partito per farmi ricco. Ho già tutto e di tutto”. Assieme al cileno Sebastián Piñera e al panamense Ricardo Martinelli diventa il terzo membro di un club di presidenti tycoon latino-americani che, pur sempre sul piano del personalismo, rappresenta una sorta di risposta al caudillismo populista del defunto Chávez e dei suoi emuli e a cui da parecchio ci si aspetta che si unisca come futuro presidente argentino l’attuale Capo di Governo della Città di Buenos Aires Mauricio Macri. Separato, con un figlio maschio e due femmine, Cartes è anche famoso per le sue numerose storie con modelle e presentatrici tv. Ma ha promesso: “Se diventerò Presidente la mia primera dama sarà la Patria”.