Quella base brutta gente
La base del Pci o la base della sinistra. Si pronunciava la parola e si dichiarava rispetto. Perché la base era diversa dal vertice anche se del vertice aveva assunto qualche difetto. Certo era diffidente verso chi non apparteneva alla sua storia. Era anche settaria, non dimenticava il passato ed era restìa a cambiamenti che non venissero dal suo partito. E se non era convinta pretendeva, con qualche rudezza di troppo, che si mettessero le carte in chiaro. Ma la “base” non a caso era parola quasi mistica anche per chi di quella sinistra e di quel Pci non faceva parte. In essa ci si riconosceva nei momenti di confusione, ad essa ci si appellava nelle interminabili riunioni di partito quando le decisioni potevano essere complesse.
La base del Pci o la base della sinistra. Si pronunciava la parola e si dichiarava rispetto. Perché la base era diversa dal vertice anche se del vertice aveva assunto qualche difetto. Certo era diffidente verso chi non apparteneva alla sua storia. Era anche settaria, non dimenticava il passato ed era restìa a cambiamenti che non venissero dal suo partito. E se non era convinta pretendeva, con qualche rudezza di troppo, che si mettessero le carte in chiaro. Ma la “base” non a caso era parola quasi mistica anche per chi di quella sinistra e di quel Pci non faceva parte. In essa ci si riconosceva nei momenti di confusione, ad essa ci si appellava nelle interminabili riunioni di partito quando le decisioni potevano essere complesse. Qualche volta il vertice ci provava anche a imbrogliarla e, magari, ci riusciva. O almeno ne aveva l’impressione, perché quegli uomini e quelle donne capivano e spesso, saggiamente, sorvolavano. Avevano forte il senso della mediazione, rifuggivano dalle battaglie inutili e intuivano i tempi della storia. A ragione veniva attribuita ai militanti e agli iscritti dei grandi partiti di sinistra, non solo del Pci, ma anche del Psi, in anni non lontanissimi, una concretezza, un’aderenza alla realtà, un’attenzione a quel che veramente contava nel rapporto fra le classi e in quello con le istituzioni che i vertici, invece, potevano perdere. Per questo ci si “appellava alla base”. Ciò su cui tutto inevitabilmente deve poggiare, altrimenti l’edificio crolla.
Ma che succede se la base si trasforma? Se cambia l’aspetto e l’anima dei militanti? Che cosa succede se alla saggezza si sostituisce il rancore, se all’attenzione per le condizioni di vita di donne e uomini subentra il confronto nei talk show? Se si mima lo scontro di vertice, e lo si potenzia e lo si esalta? Se alla discussione fra uomini e donne che si incontrano si sostituisce la rete in cui sei solo un individuo e rappresenti solo i tuoi umori più intimi e, quindi, non sempre i migliori? E che cosa succede se la politica non viene più vista come terreno di duro confronto di idee, ma un campo di calcio dove si scontrano i propri campioni e ci si limita spesso a fare il tifo per questo o per quello? Se, infine, le posizioni di chi fa politica in alto non vengono esaminate, criticate, approvate o respinte in nome dei contenuti, ma appoggiate a seconda di schieramenti interessati? Che succede se non sono più i problemi e le questioni cruciali per la vita di molti al centro dell’attenzione, ma solo gli uomini che devono accedere al potere? E se questi vengono giudicati in base a una ammirazione senza alcun elemento critico o a un disprezzo privo di attenzione per qualunque motivazione si adduca?
Questo mi è parso di vedere in questi giorni. Mi è parso che queste convulse giornate della elezione del presidente della Repubblica e anche le precedenti abbiano messo a nudo un cambiamento della cosiddetta “base” che, probabilmente, avanzava già da molto tempo. Un cambiamento antropologico, si potrebbe rischiare di dire, di quelli che erano i militanti di sinistra. Li abbiamo visti infuocarsi di fronte alla scelta del presidente della Repubblica, mischiarsi con la base grillina, condividendone le piazze e le espressioni arrabbiate, dando fuoco alle tessere, occupando le sezioni, mostrando disprezzo per i presunti avversari dentro e fuori il partito. Ci sono apparsi ignoranti della storia. Se quella base non lo fosse stata avrebbe capito, ad esempio, che Franco Marini era un esponente di prestigio del movimento operaio italiano e non un eventuale presidente inciucista. Senza alcun senso delle istituzioni (cardini sostanziali della cultura dei militanti di sinistra), altrimenti si sarebbe resa conto del contesto in cui si svolgeva la sua protesta. E infine ci è sembrato avesse perso quella istintiva abilità politica che in altri tempi le avrebbe fatto capire immediatamente quanto terreno stava cedendo sul piano dell’immagine ai suoi avversari, che apparivano solidi statisti di fronte a una plebe rabbiosa e impotente. C’è chi mi dice che tutto questo si coniuga a un disagio sociale ormai insopportabile. E che questo disagio sociale non trova altri modelli e altri modi in cui esprimersi. Lo so bene. Ma questo non elimina l’essenziale, non può impedire di vedere il cambiamento.
Questa base sociale di sinistra non ha certo mostrato reazioni di rabbia altrettanto forti quando si tagliavano le pensioni, quando si è fatta una riforma del mercato del lavoro che, a quanto dicevano sia pure a bassa voce i suoi dirigenti nonché il sindacato, danneggiava fortemente i lavoratori. Non ho sentito di sezioni occupate mentre il Pd votava col Pdl quelle leggi e sosteneva il governo Monti. Non l’ho vista davanti ai cancelli dell’Ilva cercare un’uscita dal dramma, né di fronte alle aziende che chiudevano i battenti. Non ha protestato contro un sindacato immobile. Non l’ho incontrata davanti ai mercati per ascoltare la voce di chi subisce ogni giorno l’aumento del costo della vita. Ma probabilmente non si è scandalizzata o ha approvato l’assalto a Dario Franceschini in una trattoria romana. E quando passa davanti a Montecitorio non disdegna di mostrare disprezzo per qualche deputato che entra o esce. Oggi appare grillinizzata, come qualche mese fa appariva dipietrizzata, vogliosa di galera, sconvolta, imbarbarita, livorosa. Concentrata nella lotta contro la casta. Nemica dei demoni che si crea più che dei progetti sociali che mettono in pericolo chi ha poco. E per quanto possa pensare che la responsabilità di questo cambiamento è di chi fa politica in alto e che ci sono stati giornali e giornalisti importanti che questa deriva l’hanno voluta e assecondata, questa volta non mi riesce di comprenderla e di catalogarla sotto la categoria dell’errore. Purtroppo è un segnale, il più brutto probabilmente, dei brutti tempi che stiamo vivendo. Perché è l’anima, il carattere che sono cambiati. E la passione che ha cambiato direzione. E non può più essere definita neppure passione.
Il Foglio sportivo - in corpore sano