La caduta dall'Olimpo delle “riserve della Repubblica” (Saviano in testa)
Certo il suo “ZeroZeroZero”, il “Gomorra” della lotta alla cocaina, è primo in classifica. Certo Roberto Saviano vende copie con l’ultimo libro, nonostante la parallela caduta negli ascolti televisivi, in coppia con Fabio Fazio – l’ultima recente doppia apparizione su Raitre, a inizio aprile, non ha superato il sette per cento, ma già nell’autunno scorso il critico Aldo Grasso, sul Corriere della Sera, aveva fatto notare una certa flessione dello share. Ma è lo status di “idolo” di Saviano, soprattutto, a fare acqua. Fabio Fazio, poi, anche in solitaria non “traina più”, titola il Fatto, addossando al conduttore di “Che tempo che fa” pure la colpa del calo di ascolti di Milena Gabanelli, in palinsesto con “Report” dopo Fazio.
Certo il suo “ZeroZeroZero”, il “Gomorra” della lotta alla cocaina, è primo in classifica. Certo Roberto Saviano vende copie con l’ultimo libro, nonostante la parallela caduta negli ascolti televisivi, in coppia con Fabio Fazio – l’ultima recente doppia apparizione su Raitre, a inizio aprile, non ha superato il sette per cento, ma già nell’autunno scorso il critico Aldo Grasso, sul Corriere della Sera, aveva fatto notare una certa flessione dello share. Ma è lo status di “idolo” di Saviano, soprattutto, a fare acqua. Fabio Fazio, poi, anche in solitaria non “traina più”, titola il Fatto, addossando al conduttore di “Che tempo che fa” pure la colpa del calo di ascolti di Milena Gabanelli, in palinsesto con “Report” dopo Fazio: “Evidentemente non basta una candidatura alla presidenza della Repubblica…”, scrive il Fatto, specificando che il “vero malato” non è lei, Milena, bensì “il format” dell’illustre collega che la precede. Due divinità fatte fuori con un solo articolo, sì, e un’altra divinità, Roberto Saviano, appunto, fotografato con Julian Assange su Repubblica, domenica scorsa – abbracciati e sorridenti, ma poi Saviano scriverà che se lo sono imposti, il sorriso. Già due anni fa lo si vedeva immortalato con Philip Roth su Twitter, Saviano. Era stato lui stesso a postare l’immagine, con la soddisfazione innocente di un Gabriele Paolini, il ragazzo capellone che da anni spunta sempre dietro ai “famosi” della politica in piazza Montecitorio. E insomma Saviano va a Londra a trovare quello che sembra considerare una sorta di gemello dell’anima, l’Assange “prigioniero” volontario (per sfuggire a peggior sorte) nell’ambasciata ecuadoregna, e scrive della “malinconia” che pensava di trovare, ma non trova, nel prigioniero: “Anzi, Assange sembra quasi infastidito dalla mia, di malinconia”. Scrive con partecipazione, Saviano, dell’Assange incredibilmente “non disperato”, alla faccia dell’“attenzione mediatica che sta scemando”, ed è lo stesso Saviano che un tempo campeggiava sulle copertine come prossimo papa straniero del centrosinistra, futuro leader nel cassetto, riserva della Repubblica, certezza dell’appello democratico. Ma ora, pur presente con successo in libreria, è come fosse sparito dal punto di vista drammaturgico: non l’hanno candidato a premier, non l’hanno candidato a sindaco, non l’hanno candidato a salvatore della sinistra nostalgica della “vera sinistra” (colmo dei colmi, si è addirittura autocandidato a questo ruolo il ministro montiano Fabrizio Barca). Quel che è più strano, il nome di Roberto Saviano neppure figurava tra i primi dieci classificati alle Quirinarie, tra i più votati del “popolo della rete” che tanto ama i volti alla “Occupy Wall Street”, quelli che Saviano era andato a vedere dal vivo, l’anno scorso, a New York, ricavandone immensa gioia e sempiterna gratitudine – e pensare che fino a pochi mesi fa il nome dello scrittore campeggiava sempre in cima ai sondaggi sul “leader che vorresti” dell’Espresso.
E’ passato indenne dagli “elenchi” di Fabio Fazio, Saviano, da “Quello che non ho” a “Che tempo che fa del lunedì”, ma è rimasto in qualche modo intrappolato nelle orde di parole da scomunicare (tipo “futon”, diceva Fazio) o al contrario da “declinare”, così scriveva lo scrittore di “Gomorra” su Twitter, in un momento di contaminazione stilistica vendoliana (non ancora conclusa: “… Quei tratti che la narrazione ha cassato…”, si leggeva domenica su Rep.). E se è vero che, recentemente, con Roberto Benigni, Saviano ha comunque firmato un appello di intellettuali preoccupati per le lungaggini della politica, non è stato lui (ma invece Michele Serra e Barbara Spinelli) a lanciare la petizione pro Rodotà sulla pur dubbiosa Repubblica (non del tutto pro Rodotà, come si è visto dall’ultimo editoriale di Eugenio Scalfari, e dal successivo scambio di lettere aperte con il professore dei “Beni comuni”). Se persino Benigni ha perso l’aura da salvatore della patria (oltre agli ascolti: le sue letture della Divina Commedia, su Raidue, a inizio mese, si sono arenate sotto il 3 per cento), il Saviano oracolare stenta a rifarsi oracolo. E quando non scrive di lotta dura alla cocaina, si ritrova smarrito in un labirinto di tweet: “E’ la fine della sinistra? Dai relitti infranti si potrà costruire un nuovo veliero? Ma nuovo davvero e in grado di non temere traversate?”, si chiedeva due giorni fa, definendo il Napolitano bis “illusione di fermare il tempo”. “Il paese sta morendo, ogni autorevolezza della politica sembra perduta”, rifletteva il Saviano che in autostrada fotografa paesaggi e li posta su Twitter (“oltre i vetri blindati, l’arcobaleno”). Nell’avvitarsi della situazione, si affidava per sicurezza a Balzac: “Più la sua vita è infame, più l’uomo ce l’ha a cuore; essa diventa allora una protesta, ogni suo istante una vendetta”. Poi andava a Bologna e Firenze, libreria Feltrinelli, a presentare l’ultima fatica, paracadute nell’inesorabile caduta dall’Olimpo.
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