
La folla è femmina e cerca il bastone
La folla è femmina. E riconosce il bastone. Il randello sa sempre cosa farne della massa e non certo per fare della moltitudine un’opinione pubblica, ma un dettato. “Nulla”, diceva Adone Zoli, “è più privato dell’opinione pubblica”. E la prescrizione sillabata, la famosa parola d’ordine, non ha tecnicamente una coloritura “etica”. Vale tanto per “Re-sti-tui-re-mo l’Imu!”, quanto per “Ro-do-tà (tà-tà)”. La folla è sciantosa. E fa sempre ’a mossa. La folla geme quando, volentieri, si fa toccare le vergogne dal capobastone per cavarne dalle carni i rantoli più osceni. La folla – attenzione – non è mai solo “alle vongole”. Il vero bunga bunga, Silvio Berlusconi, lo ha fatto con la folla.
Ferrara Caro Mauro, ti scrivo
La folla è femmina. E riconosce il bastone. Il randello sa sempre cosa farne della massa e non certo per fare della moltitudine un’opinione pubblica, ma un dettato. “Nulla”, diceva Adone Zoli, “è più privato dell’opinione pubblica”. E la prescrizione sillabata, la famosa parola d’ordine, non ha tecnicamente una coloritura “etica”. Vale tanto per “Re-sti-tui-re-mo l’Imu!”, quanto per “Ro-do-tà (tà-tà)”. La folla è sciantosa. E fa sempre ’a mossa. La folla geme quando, volentieri, si fa toccare le vergogne dal capobastone per cavarne dalle carni i rantoli più osceni. La folla – attenzione – non è mai solo “alle vongole”. Il vero bunga bunga, Silvio Berlusconi, lo ha fatto con la folla. Beppe Grillo, che è un genio, sta affinando la tecnica orgiastica del promettere l’immediata felicità al maggior numero di persone parlando la lingua adolescenziale del tutto presto, tutto ora e del niente come prima avendo chiaro, con le vongole, l’estremo conflitto: quello tra pensionati e precari, vecchi e giovani, furbi e fessi. Tutto diventa folla e mai rivoluzione perché la folla sa essere anche politicamente impegnata.
La folla è narcisa e autoreferenziale. Questo tipo di assembramento, dove si trovano i grillini tanto in voga o “il popolo del Pd” che poi brucia la tessera, è qualcosa di già visto con “il ceto medio riflessivo”. Rispetto al girotondo, per dirla col mattinale da questura, c’è però “un salto di qualità”. Il sol dell’avvenire non è più quello di Nanni Moretti e Beppe Grillo, oggi, fa vedere a tutti di che legno è fatta la scopa. La folla non si tira indietro e nell’imminente insurrezione non dà tregua alla Casta. Il salto è più che qualitativo perché c’è il pubblico di “Servizio Pubblico”, l’audience di “Quinta Colonna” e, naturalmente, tutta quella solitudine dei social network dove il cortocircuito procura lo strabismo, non certo a Venere, ma al gatto della vendetta e al lardo della demagogia. E poi, certo, una cosa è l’arroganza della plebe, ma è ributtante il calcolo loffio di chi l’asseconda lisciando il pelo alla folla per il verso giusto. Ecco, dovevate vederla questa scena: a Montecitorio si sta votando per l’elezione del capo dello stato. La folla è tenuta ai margini, lontana dall’ingresso del Parlamento dove – a pochi metri – arriva un’auto blu. La folla urla e si scatena in un boato. Tutto è pronto per scatenare addosso al malacarne un diluvio di contumelie contro la Casta ma, ecco, già dall’apparizione del piedino appena fuori dalla portiera, i decibel diminuiscono.
C’è solo un rumoreggiare, infatti, e quando infine spunta Pietro Grasso, di per sé simbolo dell’antimafia, come per magia quella macchina da satrapo diventa quasi un’utilitaria da tapino. Non è che i convenuti in piazza applaudano, no, ma stanno zitti. E’ solo un’apparente maggioranza, la folla. La sinistra che un tempo fece “il popolo” comincia a prenderci gusto ma vista da Roma la folla è solo un continuo grattugiare di mortacci a questo e a quello. Manca sempre poco per finire male. Nel fornicare in tema di sociologia si tema Iddio e l’idiozia della plebe. Ezra Pound, precisamente, ne ha fatto un Cantos e Gustave Le Bon, in “Psicologia delle Folle” (1895), ne ha fatto scienza. C’è sempre quel bordone cui attaccarsi purché sia sempre chiaro un concetto: la massa non è mai critica. Giorgio Gaber, con il teatro-canzone, l’aveva spiegato: “Quando moda è moda”. La folla è suffragio universale. S’innerva in un bisogno impellente di “bastone”, quello da riconoscere, ed è tutto un faccelo vede’, un faccelo tocca’. Tutto nel non detto. Massimo Giletti, colpevole soltanto di essere famoso, si ritrova mandato a fare lì, là dove Paolo Becchi studia le fistole, e se guardate il filmato lo capite che non c’è violenza ma frustrazione.
La folla – è femmina – gode nel massacrare le donne. L’accanimento contro Anna Finocchiaro, colpevole di shopping all’Ikea, è da manuale. La vendetta a braccetto con la demagogia.
La folla è femmina e si mette in scena. Grillo, in assenza di podio da dove comiziare, allarga le braccia. Come Pio XII tra i bombardati del quartiere San Lorenzo. Non benedice, si sottrae pure alla taumaturgia del corpo suo mistico con tanto di asciugamano intorno al collo, ma è Ettore Petrolini. E’ il Nerone di “bene, bravo, bis!”. Più bello e più forte che pria sparge gli ammicchi attraverso cui il popolaresco – memoria di una maschera che seppe decifrare la politica in innesto d’Urbe – conferma la fregola e la schiuma di quella cagna infame qual è la folla, tiranna femmina. Che riconosce il bastone.
Ferrara Caro Mauro, ti scrivo


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