Fino a un certo Ior

Matteo Matzuzzi

Come tutti gli uffici, anche lo Ior è necessario. Ma fino a un certo punto. Per la prima volta dall’elezione avvenuta lo scorso 13 marzo, Papa Francesco ha parlato ieri dell’Istituto per le opere religiose, la banca vaticana. Tema cruciale sì, ma soprattutto per i media, che da quaranta giorni aspettavano invano. Bergoglio ha paralto, ma lo ha fatto non discutendo con i cardinali in una delle tante sale del palazzo apostolico né in un’udienza particolare. Ha preferito – come sempre più spesso accade – l’ambiente familiare della piccola cappella di Santa Marta, durante la consueta messa mattutina celebrata alle sette.

    Come tutti gli uffici, anche lo Ior è necessario. Ma fino a un certo punto. Per la prima volta dall’elezione avvenuta lo scorso 13 marzo, Papa Francesco ha parlato ieri dell’Istituto per le opere religiose, la banca vaticana. Tema cruciale sì, ma soprattutto per i media, che da quaranta giorni aspettavano invano. Bergoglio ha paralto, ma lo ha fatto non discutendo con i cardinali in una delle tante sale del palazzo apostolico né in un’udienza particolare. Ha preferito – come sempre più spesso accade – l’ambiente familiare della piccola cappella di Santa Marta, durante la consueta messa mattutina celebrata alle sette. “Quando la chiesa diventa un’organizzazione burocratica, perde la sua principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una ong. E la chiesa non è una ong”, avverte durante l’omelia davanti a una platea composta anche da dipendenti dello Ior, con i quali scherza e si scusa per il riferimento al loro posto di lavoro. Non si tratta di un tema nuovo, per il Pontefice argentino: già il giorno dopo essere apparso per la prima volta in talare bianca sulla Loggia delle benedizioni, Bergoglio aveva ammonito sul rischio di far diventare la chiesa una “pietosa ong”. Era la sua prima predica da vescovo di Roma, quella con i cardinali elettori nella cappella sistina.

    La curia serve, l’articolazione tra uffici, congregazioni e pontifici consigli è necessaria per mandare avanti la macchina della chiesa. Ma c’è un limite chiaro, secondo il Papa: questi uffici servono come “aiuto”. Niente di più. Perché la chiesa, ha detto Francesco, altro non è che “una storia d’amore, dove ognuno di noi è un anello in questa catena d’amore. E se non capiamo questo, non capiamo nulla di cosa sia la chiesa”. Se la burocrazia prende il sopravvento, è la fine: “la chiesa, poveretta, diventa una ong. E questa non è la strada”. Cita Stalin, Francesco, che domandò quanto fosse grande l’esercito del Papa. “La nostra istituzione non cresce con i militari, ma con la forza dello Spirito Santo”. Bisogna stare attenti al modo in cui la comunità cristiana cresce e moltiplica i suoi discepoli: “E’ una buona cosa, ma ciò può spingere a fare patti per avere ancora più soci in questa impresa”. Invece, ricorda il Pontefice gesuita, “la chiesa è un’altra cosa: Gesù ha voluto la strada delle difficoltà, la strada della Croce, la strada delle persecuzioni”. Anche più tardi, nel corso dell’affolata udienza generale, Francesco ha ribadito che “specie in questo tempo di crisi non dobbiamo chiuderci in noi stessi nascondendo ricchezze spirituali e materiali, ma aprirsi, dimostrandoci solidali”. Ricorda ancora una volta che è l’essenza profonda della chiesa è la missione spirituale, il guardare agli altri: “Un cristiano che si chiude in se stesso tenendo nascosto ciò che Dio gli ha donato, non è un cristiano”.

    “Basta con i conti segreti”
    Il futuro dello Ior, al centro di scandali più o meno grandi da almeno quattro decenni, era stato uno dei temi più dibattuti nelle congregazioni generali che hanno preceduto il Conclave. C’era chi difendeva il suo ruolo, come il l’arcivescovo di San Paolo e membro della commissione di vigilanza sulla banca vaticana, il cardinale Odilo Pedro Scherer, e chi ne chiedeva la chiusura (anche conversando con la stampa), come il porporato nigeriano John Olorunfemi Onaiyekan. Ipotizzava la soppressione dello Ior anche l’influente arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, che prospettava la possibilità di stipulare una convenzione con una banca etica. L’importante, sosteneva il fronte deciso a fare pulizia nell’istituto finanziario, è chiudere con i conti segreti e la poca trasparenza. Francesco, come suo solito, ascolta e riflette. Niente decisioni avventate. Un passo alla volta, in piena autonomia, confrontandosi con poche e selezionate persone. Proprio come nel caso della commissione di consultori (come ha specificato il cardinale australiano George Pell) che lo aiuterà a governare la chiesa universale e studierà come riformare la “Pastor Bonus”, la costituzione apostolica che regola la curia romana. Ed è proprio a uno di questi otto porporati che Francesco potrebbe affidare la supervisione sulle attività dello Ior: il cardinale Giuseppe Bertello, in prima fila per succedere a Tarcisio Bertone alla guida della segreteria di stato. E’ lui, il diplomatico piemontese, già nunzio in Italia e prima ancora in Africa e Messico, l’uomo giusto per controllare la grande istituzione finanziaria. L’operazione consisterebbe ricondurre la banca sotto il controllo della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano, di cui Bertello è presidente. Sostanzialmente, l’adattamento allo Ior di quanto avviene già per l’Apsa, l’amministrazione del patrimonio della sede apostolica, oggi guidata dal cardinale Domenico Calcagno.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.