Retromarce a Berlino

Merkel scopre nel governo i franchi tiratori dell'euro

Giovanni Boggero

In Germania si fanno sentire sempre più forti le voci – anche d’establishment – che preferirebbero tornare agli anni Novanta, quando l’euro non c’era ancora. Una di queste voci è quella del cinquantunenne Kai Konrad, economista e dal 2011 presidente del consiglio degli esperti al ministero delle Finanze di Berlino. In un’intervista pubblicata questa settimana dal quotidiano conservatore Welt, Konrad ha chiarito di non credere più nel progetto di una moneta unica. Un progetto che, visti i rapporti sempre più tesi tra centro e periferia, sarebbe destinato al fallimento entro cinque anni. “Un ritorno ai principi di Maastricht, come si è tentato di fare fin qui, non darà alcun risultato.

    Bruxelles. In Germania si fanno sentire sempre più forti le voci – anche d’establishment – che preferirebbero tornare agli anni Novanta, quando l’euro non c’era ancora. Una di queste voci è quella del cinquantunenne Kai Konrad, economista e dal 2011 presidente del consiglio degli esperti al ministero delle Finanze di Berlino. In un’intervista pubblicata questa settimana dal quotidiano conservatore Welt, Konrad ha chiarito di non credere più nel progetto di una moneta unica. Un progetto che, visti i rapporti sempre più tesi tra centro e periferia, sarebbe destinato al fallimento entro cinque anni. “Un ritorno ai principi di Maastricht, come si è tentato di fare fin qui, non darà alcun risultato. Al contrario – ha sottolineato Konrad – sarebbe ora che gli stati membri tornassero a indebitarsi a piacimento. Se si tenta di costringere uno stato, imponendogli determinate condizioni, si semina soltanto odio e risentimento”. Parole forti e difficilmente compatibili con la dottrina della cancelliera, Angela Merkel, e del suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, convinti che si possa arrivare a un’Europa federale solo se i paesi della periferia entrano nell’ottica di ridurre davvero i debiti pubblici e aumentare la propria competitività. Anche sul versante dell’Unione bancaria, la Merkel è tornata, sempre ieri, a anteporre alla garanzia comune sui depositi un’unica sorveglianza europea (per la quale, dice, occorrono modifiche ai trattati europei) e regole certe per la ristrutturazione delle banche sul modello del bail-in varato a Cipro. La cancelliera, un po’ a sorpresa, ha riconosciuto esplicitamente la frattura di fondo tra nord e sud Europa, sostenendo che in teoria la Banca centrale europea dovrebbe assicurare ai paesi del nord virtuoso un costo del denaro maggiore rispetto a quello utile invece ai paesi del sud.

    Raggiunto dal Foglio, Konrad accetta di parlare, ma non a titolo di consulente del ministero delle Finanze, bensì come direttore del Max-Planck Institute for Tax Law and Public Finance di Monaco di Baviera. Pur conservando i membri del consiglio economico la loro indipendenza dal mondo politico, i rischi di strumentalizzazione da parte dei media in una fase così delicata dell’eurocrisi sono troppo alti per poter parlare a ruota libera. “Io non dico che i paesi in crisi non debbano risparmiare, ci mancherebbe – spiega Konrad – Dico solo che da parte degli interessati manca la volontà politica. Ormai mi pare evidente che nessuno stato è davvero pronto a cedere poteri sovrani a Bruxelles o ad attuare le politiche richieste dalla Commissione”. Dinanzi alla consapevolezza del progressivo isolamento della cancelliera Merkel in Europa, occorre insomma cambiare strategia. Ma qui entra in gioco la proverbiale “paura tedesca” per i salti nel vuoto, tra i quali rientra anche un eventuale abbandono della moneta unica. Non più tardi della scorsa settimana, Joachim Nagel, membro del consiglio direttivo della Bundesbank, ha messo in guardia dalla pericolosa nostalgia per il marco e le valute nazionali, incarnata in Germania dalla nuova formazione politica euroscettica, Alternative für Deutschland. Konrad, invece, sembra sostenerne la causa: “Ovviamente mi sarei augurato che l’euro avesse avuto successo – premette – Ma sono convinto che le relazioni amichevoli e pacifiche tra gli stati e le quattro libertà del trattato di Roma siano molto più importanti di una moneta comune. Tra Europa o euro scelgo l’Europa”.

    La Commissione Ue molla la presa rigorista
    Konrad in fondo guarda con timore l’ammorbidimento in corso a Bruxelles rispetto all’austerity. Ieri perfino Olli Rehn, commissario agli Affari economici e alfiere finlandese del rigore, ha detto che negli ultimi tempi “il rallentamento del ritmo del consolidamento dei bilanci è stato possibile grazie all’aumento della credibilità nella politica fiscale degli stati dell’Eurozona dal 2011, all’azione della Banca centrale europea, alla riforma della governance economica e ai progressi delle riforme strutturali”. Replica Konrad: “All’estero non si comprende a sufficienza come la Germania stia arrivando allo stremo delle sue forze finanziarie. Lo studio della Bce sui patrimoni privati nell’Eurozona ha fotografato anche questo. La Repubblica federale è meno ricca di quanto si pensi”. In altre parole: gli stati sono responsabili della crescita del proprio debito e dovrebbero, eventualmente, imporre un’imposta patrimoniale, come già suggerito dai media tedeschi.