Pure il calcio. Adesso al dominio tedesco in Europa non manca più niente
Facile adesso girare per l’Europa con la citazione di Gary Lineker: “Il calcio è uno sport semplice, si gioca undici contro undici e alle fine vincono i tedeschi”. Facile, sì. E forse per una volta è pure vero. Perché ora la Germania, questa Germania, può vincere. In due giorni di Champions League ha sbattuto in faccia agli spagnoli, a noi e agli altri la sua forza. Otto gol valgono un arrendetevi, siete circondati. Più forti, più convinti, più combattenti, più tutto. E’ una realtà con cui bisogna fare i conti.
Facile adesso girare per l’Europa con la citazione di Gary Lineker: “Il calcio è uno sport semplice, si gioca undici contro undici e alle fine vincono i tedeschi”. Facile, sì. E forse per una volta è pure vero. Perché ora la Germania, questa Germania, può vincere. In due giorni di Champions League ha sbattuto in faccia agli spagnoli, a noi e agli altri la sua forza. Otto gol valgono un arrendetevi, siete circondati. Più forti, più convinti, più combattenti, più tutto. E’ una realtà con cui bisogna fare i conti. E’ una certezza, indipendentemente dal risultato finale, a prescindere da chi alzerà la coppa a Wembley alla fine del mese. Viviamo nell’èra tedesca: c’hanno messo tempo e ce l’hanno fatta. Difficile resistere a un’egemonia che altrove, nell’economia, nella politica, nel condizionamento delle scelte dell’Unione europea, è chiara e che nel calcio nessuno ha voluto vedere fino a martedì e mercoledì sera. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto. Capito? E’ come prendere a schiaffi il mondo e dire: scansatevi, è il nostro momento. Uno dopo l’altro, senza sosta, senza respiro, senza pietà. I gol sono lo specchio che riflette la realtà di un calcio che è la rappresentazione plastica del dominio tedesco sull’Europa. E’ come se un paese intero abbia deciso di prendersi lo sport più popolare del mondo, nel continente in cui è più popolare di ogni altra cosa. Perché questo dominio è voluto, cercato, faticato.
C’è un punto d’inizio. E’ il Mondiale del 2006, giocato in Germania. Prima di allora il pallone tedesco faticava: aveva stadi vuoti e squadre così e così. Sì, c’era sempre il Bayern Monaco, c’era stato il Borussia Dortmund di metà anni Novanta e il Leverkusen dei primi Duemila. Ma per noi, per tutti noi (e pure per loro) il movimento era complessivamente medio basso. Chi vedeva le telecronache di Sky s’accorgeva di un campionato marginale, pieno di vecchi giocatori, di pochi stranieri, di qualche talento che appena esplodeva emigrava. I Mondiali hanno cambiato tutto. Hanno regalato il progetto. Hanno imposto la costruzione di stadi nuovi, hanno spinto la federazione ad aprire centri federali per i giovani: oggi sono quasi una ventina sparsi per il paese, che osservano i giovani migliori e li fanno crescere. Il Borussia Dortmund è un simbolo. Nel 1999 rischiava il fallimento, l’ha salvata Morgan Stanley e un gruppo di dirigenti che ha pensato a darle un’identità diversa: dal 2008 sulla panchina di Dortmund siede Jürgen Klopp, allora quarantenne, che ha reso questo club un caso. E sono arrivati due scudetti (nel 2011 e 2012) e la fidelizzazione di un tifo che è tra i più forti d’Europa. “Amore vero” lo slogan del club che riempie puntualmente lo stadio. E’ guardando quel muro giallo-nero che uno dovrebbe fermarsi a riflettere sul dominio tedesco, nel pallone e non solo. Perché questa è un’altra Germania. Non è quella da stereotipo che abbiamo in testa troppe volte. E’ flessibile, volubile, abile a modellarsi, strategica, capace di trovare più strade per arrivare a un obiettivo. In quella curva del Wesfallenstadion i tifosi stanno tutti in piedi. Cioè mentre in tutta Europa s’impongono seggiolini che obblighino la gente a stare seduta, lì sono tutti in piedi. E’ la dimostrazione di come un paese che ama dettare le regole di comportamento agli altri sappia perfettamente aggirarle per se stesso. Quella curva è uno spettacolo. Ed è un inno a una ordinata e decorosa indisciplina. E’ la nuova Germania, che funziona dove nessuno si aspetti che funzioni: design, moda, stile. Il rigore è un mezzo, non il fine. E il rigore li ha portati ad avere questi risultati, nel pallone: nelle ultime 15 stagioni i ricavi della Bundesliga sono aumentati del 293 per cento, il calcio dà lavoro a 40 mila persone, per la prima volta nella stagione 2011-2012 i 18 club del campionato hanno superato insieme i due miliardi di euro di fatturato. La squadra più ricca è il Bayern Monaco, che l’anno scorso ha avuto un giro d’affari di 332 milioni e che oggi fa la voce grossissima sul mercato: ha preso l’allenatore più cool del momento, Pep Guardiola.
Funziona tutto. L’egemonia sembra all’inizio e il suo termometro è la televisione. Tutti i campionati fanno fatica a farsi confermare gli attuali contratti per i diritti televisivi. Quello tedesco quest’anno ha visto un’asta pazzesca nella quale Sky ha vinto con un’offerta mostruosa: 4,15 miliardi di euro per trasmettere quattro stagioni. E’ il valore dell’intera Imu sulla prima casa. Ed è il mezzo che permetterà anche a noi di rivedere la Bundesliga. Quest’anno in Italia i diritti non li aveva nessuno. Dall’anno prossimo li ha Sky. Ci mostrerà la Germania per farci morire un po’ d’invidia. Pareva impossibile ora dobbiamo solo accettarlo.
Pace Però che palle il calcio figlio del pensiero unico
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