Obama il riluttante in chief

Daniele Raineri

Come si racconta qui, l’Amministrazione Obama vive in piena crisi da armi chimiche siriane da quasi un mese, già impegnata in incontri riservati con gli alleati occidentali e arabi per decidere cosa fare. Ma è riluttante a intervenire, e questa è la ragione per cui ha aspettato fino all’ultimo – giovedì – per uscire allo scoperto. Una settimana prima i due leader militari appena sotto il presidente e commander in chief Barack Obama, il segretario alla Difesa, Chuck Hagel, e il capo di stato maggiore, Martin Dempsey, avevano testimoniato in audizione al Senato sui rischi di una possibile azione militare.

Ferraresi Il disagio dell’establishment democratico, che galleggia fra linee rosse e imperativi morali

    Come si racconta qui, l’Amministrazione Obama vive in piena crisi da armi chimiche siriane da quasi un mese, già impegnata in incontri riservati con gli alleati occidentali e arabi per decidere cosa fare. Ma è riluttante a intervenire, e questa è la ragione per cui ha aspettato fino all’ultimo – giovedì – per uscire allo scoperto. Una settimana prima i due leader militari appena sotto il presidente e commander in chief Barack Obama, il segretario alla Difesa, Chuck Hagel, e il capo di stato maggiore, Martin Dempsey, avevano testimoniato in audizione al Senato sui rischi di una possibile azione militare: i titoli sui media di quel giorno, come “Hagel e Dempsey mettono in guardia sul coinvolgimento in Siria”, assumono ora pieno significato.

    L’Amministrazione non è un monolite. Il segretario di stato, John Kerry, che pure fino al 2009 si faceva fotografare nei ristoranti di Damasco assieme al presidente siriano Bashar el Assad, è più favorevole a intervenire – come lo era prima di lui anche Hillary Clinton, con lo stesso ruolo nel governo.

    Frederic Hof è l’uomo del dipartimento di stato messo dall’Amministrazione Obama sul dossier siriano da marzo 2012 a settembre 2012. Per lui era stato creato un incarico apposito, “consigliere speciale per la transizione in Siria”, ma poi è stato liquidato, perché era troppo a favore dell’azione contro il governo di Damasco e quindi la pensava in modo opposto al presidente Obama. L’incarico è stato lasciato vacante. Lunedì, quando ancora la conferma americana del gas nervino in Siria non era ufficialmente uscita, Hof ha scritto un’analisi a favore di una guerra contro Assad (si trova sul sito dell’Atlantic Council). Il succo dell’analisi di Hof è: “Intervento militare” non vuol dire per forza “soldati dell’82° divisione aviotrasportata nel centro di Damasco”, ci sono almeno cinque scelte possibili e progressive per fare la guerra – e lui è completamente contrario ai “boots on the ground”, ovvero alla presenza di truppe americane dentro la Siria.

    L’ex uomo di Obama le elenca in ordine dalla meno rischiosa a quella più impegnativa. Aiuti con cibo e medicinali; aiuti con addestramento ai ribelli e armi; la distruzione degli aerei e delle batterie di missili del governo siriano con missili di precisione (o con i bombardieri); una “no fly zone”, neutralizzando prima l’aviazione e la contraerea di Assad e poi pattugliando costantemente i cieli siriani; un’operazione con forze di terra (ma questa, scrive il diplomatico, non è nemmeno da considerare). Washington è già alla prima fase, e secondo fonti diverse è anche alla seconda – addestra ribelli in Giordania e agevola l’arrivo di armi pagate dai sauditi.

    Scrive Hof che lo stesso discorso – abbiamo opzioni diverse e graduate – vale anche per le conseguenze dell’intervento: non è detto che siano un pacchetto unico e inevitabile. Se eliminassimo dalla scena gli elicotteri da guerra e gli Scud, i missili balistici che il regime spara sulle zone civili, davvero complicheremmo di più la situazione dal punto di vista etnico o religioso, si chiede? L’ex inviato è critico sull’audizione in Senato americano di Hagel e Dempsey: “I senatori americani sembravano più perplessi sulla politica americana rispetto alla Siria alla fine dell’audizione di quanto lo fossero all’inizio”.

    Ieri il generale Dempsey, diventato più spavaldo, ha detto di essere pronto a fornire qualsiasi piano militare “a seconda del risultato che si vuole”.

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    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)