Mister Barca, I presume
Diego Bianchi, alias Zoro, animatore di Gazebo, grande trasmissione pop interamente dedicata alla politica (la domenica sera su Rai 3) mostra la sua faccia da Buster Keaton de’ noantri accanto a quella di Fabrizio Barca: “Ma quest’immagine del lungo termine, no, quant’è medio, va be’ quant’è lungo, curiosità mia personale, nun vojo entrà proprio nello specifico”. L’interlocutore è in giacca e cravatta e camicia bianca con colletto moscio rigorosamente non botton-down, cosa che nell’imaginario merceologico post comunista ti pone direttamente nell’upper class, fra coloro che fanno tendenza e si portano: “Guardi…”. Zoro che è compagno figlio di compagni: “Ma come, guardi”. Barca si ripiglia: “Guarda.
Di Michele Un romanzo impopolare
Diego Bianchi, alias Zoro, animatore di Gazebo, grande trasmissione pop interamente dedicata alla politica (la domenica sera su Rai 3) mostra la sua faccia da Buster Keaton de’ noantri accanto a quella di Fabrizio Barca: “Ma quest’immagine del lungo termine, no, quant’è medio, va be’ quant’è lungo, curiosità mia personale, nun vojo entrà proprio nello specifico”. L’interlocutore è in giacca e cravatta e camicia bianca con colletto moscio rigorosamente non botton-down, cosa che nell’imaginario merceologico post comunista ti pone direttamente nell’upper class, fra coloro che fanno tendenza e si portano: “Guardi…”. Zoro che è compagno figlio di compagni: “Ma come, guardi”. Barca si ripiglia: “Guarda. L’adrenalina e la forza per farla ce l’ho per sei mesi, andando in giro per l’Italia a discutere questa cosa. E guardando ai miei tempi passati ci vogliono sei mesi per vedere, ci vuole tempo...”. Zoro: “ Anche pe’ legge tutte e ‘ste quarantanove paggine... allora a papà glie dico fra sei mesi”.
Il giro d’Italia di “mister Barca i presume” in vista della battaglia non battaglia per la leadership al prossimo congresso è cominciato la settimana scorsa a Roma centro, via dei Giubbonari, sezione Regola Campitelli “Guido Rattoppatore”. Una sezione storica. Ai tempi del Partito comunista, da qui partivano le bande “de Bucio Nero e der Pezzola” per fare ganascia ai fascisti che osavano avventurarsi da quelle parti. Alle pareti è ancora appesa la memoria di un secolo di movimento operaio, da Marx a Gramsci, da Togliatti a Berlinguer, fino alla fotodi un Moro malinconico, martire e amico. Qui sono giustapposti i simboli che dalla bandiera rossa alla quercia al simil tricolore hanno scandito la lunga trasformazione, nevrotica e senza pace: alla parete non c’è più “I compagni”, l’enorme tela di Mario Schifano che Gian Maria Volonté regalò alla sezione e che il vecchio tesoriere del partito, Ugo Sposetti, pensò bene di requisire prima che facesse una brutta fine. Sembrava a suo agio, nel cuore del vecchio partito, sembrava come chi gioca in casa, Fabrizio figlio di Luciano e cioè di alta, altissima nomenclatura. Ma la base non è più quella di una volta, la classe è dispersa. La sala è piena, ma non si sa bene chi c’è, la funzionaria segretaria è prudente, cari democratici e democratiche, cari amici e amiche, cari iscritti e iscritte, “certo che è proprio complicato parlà a un’assemblea così, rischi di dimenticare qualcuno fra i lettiani, i bersaniani, i franceschiniani, i renziani, i civatiani ma che ce so’ pure i civatiani”, questo dice il catalogo è questo. Anche Barca sembra diffidare della sala, invoca una regola che dice vecchia di cento anni in quel mondo, all’esterno può filtrare il peccato non il nome del peccatore. E’ un po’ ingenuo, fa caldo, dentro non si respira, dalle finestre spalancate si vede e si sente tutto, anche la faccia seria dell’oratore spunta attraverso la grata.
Attacca, Barca. Presenta il suo documento, una memoria su quello che ha imparato in sedici mesi da ministro della coesione territoriale del governo Monti e idee sulla nuova forma partito, cinquantadue pagine, le prime trentatre scritte non pensando a un partito specificatamente di sinistra ma a tutti i partiti che a suo dire sarebbero in crisi. Zoro gli fa da voce off “mbeh saltamole le trentatre, cominciamo dalla trentaquattro, ma dico io, fatti gli affari tuoi, pensamo a noi che ci avemo tanti problemi”. Per quelli che cercano lumi sul nuovo partito di sinistra c’è l’addendum, tre pagine di convincimenti, un esercizio di scrittura: “certo che deve esse’ brutto scrive un addendum, semo venuti a iscrivese a un addendum”. Si comincia a volare alto. Barca parla di sperimentalismo democratico contro il fallimento del minimalismo liberista e di stampo socialdemocratico, non si capisce bene cosa sia, la formula avrà dunque successo, un po’ come Berlinguer, Rodano e Barca papà cercavamno l’isola che non c’era, fra capitalismo e socialdemocrazia. Si vola ancora più in alto: ora si parla delle fratellanze siamesi tra arcaismo dello stato e partiti stato-centrici, anticamera dell’ormai famoso catoblepismo, dal nome dell’animale descritto da Plinio il Vecchio con cui il raffinato banchiere Raffaele Mattioli definì l’intreccio perverso tra industria e finanza che permette al controllato di controllare il controllore. La platea è silenziosa, chi ha accanto una superficie un armadietto, uno spicchio di davanzale, ci appoggia il gomito e comincia a reclinare la testa. C’è un fremito quando l’oratore parla della mossa del cavallo contro la convinzione che solo pochi abbiano la conoscenza per prendere le decisioni necessarie nel pubblico interesse: la conoscenza non è concentrata, anzi è sempre più diffusa. A pagina 37 della memoria, del report, arriva finalmente la definizione della nuova forma-partito: “La palestra politica di mobilitazione cognitiva che assicuri la valutazione pubblica informata, accesa, aperta e ragionevole può pretendere animare accelarare lo sperimentalismo democratico, lo completa sul piano del telaio sociale, ne trae i suoi stessi quadri” cade sulla sala come un colpo di malepeggio. Tocca a un vecchio militante di lungo corso tenersi a livello: dice che la relazione di Barca gli ha fatto tornare in mente quella volta che chiesero al compagno Chou en-Lai cosa pensasse della rivoluzione francese e lui rispose che era ancora troppo presto per parlarne: ragionevolmente chiede tempo per metabolizzare. Una signora da centro storico dice semplicemente di trovare “personalmente che la relazione incarni una serie di convinzioni e sentimenti”, si sente che è giovane.
Fabrizio Barca sorride, è buona la prima anche se il giro d’Italia è lungo e non è detto che vada sempre liscio vista la frammentazione della base, di tutto il corpaccione del partito in mille rivoli di rancore. Parla in modo pacato, perché è pacato dentro: non ha trippe da buttare nella mischia, per dirla con Vendola, cui tra l’altro dette il voto alle politiche del 2008, la sua narrazione è fatta di buoni studi, di uffici studi, di grafi, tabelle, di buoni amici nati figli di qualcuno: nulla che lasciasse intravvedere un futuro da animale politico e meno che mai di possibile leader di un partito che ha bisogno di poche idee chiare e di una grande capacità di rianimazione. Eppure sembra già un predestinato, più di Berlinguer di cui Pajetta disse che fin da giovane si iscrisse alla direzione del Pci: Barca, lui, ha preso la tessera del Pd un paio di venerdì fa, di pomeriggio. La sera stessa era già candidato in pectore alla segretaria, osservato da distanza entomologica da Lilli Gruber, che sicccome è vispa “e de’ sinistra” aveva battuto gli altri sul tempo. Seguiranno Lucia Annunziata, Gad Lerner, Luca Telese, Bianca Berlinguer, Michele Santoro. Infine, Aldo Cazzullo. Lo intervista sul Corriere della Sera dopo la rielezione di Napolitano, giusto per fargli ripetere che se fosse stato lì avrebbe votato Rodotà-tà-tà, che è indignato per l’oltraggio subito da Prodi e che lui e Renzi non sono alternativi ma complementari: nulla di nuovo, nulla di sostanziale, serviva solo darsi l’immagine di uomo da larghe intese “interne” che domani potrebbe cucire dalla prodiana Sandra Zampa a Vendola e magari fare l’occhiolino a Grillo.
Ricorda per alcuni aspetti il compianto Lucio Magri. Come lui non vuole essere scavalcato a sinistra, per cultura e letture è di quelli che ti tirano fuori un “medi ceti” che in quanto translation para para di middle class fa senz’altro meno provinciale di ceto medio. Per questo lo hanno scelto i facitori di re che finora hanno sempre puntato sulla testa sbagliata. In epoca non sospetta Concita De Gregorio ebbe a dire che che avrebbe voluto essere governata di più da Barca con la stessa lagnosa concupiscenza con cui Valentina Vezzali disse che da Berlusconi si sarebbe fatta “toccare”. Forse hanno ragione questi liberal addensati tra Capalbio e Cetona. Tra i vecchi rincoglioniti che hanno scordato quello che hanno letto e la twit generation che nulla ha da dimenticare, Barca fa la sua porca figura, un po’ leone un po’ gnu, come il Catoblepa Lybicus appunto. Non si capisce molto di quello che dice ma lo dice bene. Ha un vasto programma. E come dice Zoro, ha anche “le physique du rolex”.
Di Michele Un romanzo impopolare
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