Il codice Bray e i suoi cultur-nemici
Con le cuffie, l’iPod e il posto in piedi, a bordo della Circumvesuviana poi devastata (e fermata) dai teppisti, se ne stava tranquillo e assorto, prima di chiedere un passaggio per Pompei, il neo ministro dei Beni culturali e del turismo Massimo Bray, già direttore editoriale dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana, direttore responsabile della rivista ItalianiEuropei e presidente del cda della Fondazione “La notte della Taranta” nella Puglia felix da cui proviene. Dopo appena tre giorni nel governo Letta, non ancora segnalati sul suo sito (unico indizio, la frase “la cultura prima di tutto”), se ne stava in piedi tra turisti e non turisti, Bray, rispondendo su Twitter a una signora che l’aveva fotografato, e ascoltando un rocker israeliano di nome Asaf Avidan, sconosciuto ai più.
Con le cuffie, l’iPod e il posto in piedi, a bordo della Circumvesuviana poi devastata (e fermata) dai teppisti, se ne stava tranquillo e assorto, prima di chiedere un passaggio per Pompei, il neo ministro dei Beni culturali e del turismo Massimo Bray, già direttore editoriale dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana, direttore responsabile della rivista ItalianiEuropei e presidente del cda della Fondazione “La notte della Taranta” nella Puglia felix da cui proviene. Dopo appena tre giorni nel governo Letta, non ancora segnalati sul suo sito (unico indizio, la frase “la cultura prima di tutto”), se ne stava in piedi tra turisti e non turisti, Bray, rispondendo su Twitter a una signora che l’aveva fotografato, e ascoltando un rocker israeliano di nome Asaf Avidan, sconosciuto ai più – e chissà se questa è un’aggravante per il non sconosciuto professore, intellettuale ed editorialista che, non senza sopracciò, giorni fa ha preventivamente stroncato sul Corriere della Sera “il ministro sconosciuto” Bray, reo di essere appunto sconosciuto “alla cultura” e “alla politica”. “Un neo eletto deputato del Pd”, scriveva l’intellettuale e prof., contemporaneamente scomunicando Bray per via della “matematicamente certa” nomina politica: “Nascita nei feudi elettorali dell’on. D’Alema…”; “carica di direttore responsabile della rivista ItalianiEuropei sponsorizzata sempre da D’Alema…”; “se l’onorevole Bray non fosse stato un famiglio di Massimo D’Alema mai avrebbe occupato il posto che oggi occupa, conoscendo il suo curriculum…”, aggiungeva l’editorialista-professore nella replica alla lettera del critico Francesco Bonami, il quale notava non solo che “il Mibac non è certo stato affidato in passato a personaggi sempre in possesso di un Ph. D.” ma che anche “se poi il Ph. D. lo avevano”, non era “servito a molto…”. Non salvava nel complesso neppure i “famosi” succedutisi nella carica, Bonami, facendo i nomi di Walter Veltroni, Giovanna Melandri, Sandro Bondi, Giuliano Urbani e Giancarlo Galan: “La loro fama, chiara o oscura che fosse, li ha aiutati a combinare qualcosa di efficace o rivoluzionario? Visti i risultati, direi di no”. E apriva il credito verso “l’emerito sconosciuto Bray”, Bonami, accusando l’editorialista-professore del Corsera di voler occupare lui, da conosciuto, il posto dello sconosciuto – seguiva replica del prof. sulla “eleganza” dell’“insinuazione”.
Bray, in tutto questo, era rimasto con l’orecchio all’iPod e la risposta pronta non all’accusatore (parleranno i fatti, aveva detto), ma a tutti coloro che, su Twitter, gli davano consigli (tipo Giovanna Melandri) o, dalla rivista Internazionale, volevano sapere come si pronunciava il suo cognome – seguiva analisi fonetico-etimologica dispensata online dal paziente Bray. Che restava più o meno silente, invece, di fronte al titolo del Corriere “la cultura ostaggio del potere”, giustificato dall’editorialista-professore anche con la diversificazione del capo di imputazione, comunque ascrivibile alla categoria dei delitti d’insufficienza di rango: “Il nostro, più che vantarsi di essere direttore editoriale dell’Enciclopedia italiana” e presidente del cda della Fondazione “per la promozione della pizzica salentina, più di questo, dicevo, non può”, scriveva del ministro sconosciuto l’intellettuale non sconosciuto, recentemente e parzialmente sedotto dal vento anticasta, e prodigo di critiche per i “bassi calcoli di potere” di quelli che “osano nominare” qualcuno “dalle competenze inesistenti”. (D’altronde Bray è in buona compagnia: ogni giorno fioriscono, e non solo sul blog di Grillo, bocciature pregiudiziali dei nuovi ministri, senza distinzione di polo d’appartenenza). Il “timido ma non introverso Bray”, dice un amico, uno che “ha grande capacità di ascolto” (ieri ascoltava per due ore il sindaco di Firenze Matteo Renzi), è anche blogger sull’Huffington Post ed estensore di un diario online sulla “nascita della Terza Repubblica” a tratti pericolosamente incline allo stupore del Candide neo parlamentare (genere Michela Marzano), ma per il resto capace di sincera insofferenza, come in data 15 aprile, all’idea di dover continuare, da “subalterni”, a “inseguire i grillini”. Altri suoi amici, pur “fiduciosi”, riflettono sui “possibili intoppi” all’interno del ministero: “Bray ha fantasia, ma deve guardarsi da chi non è convinto che l’industria culturale e creativa sia in sé propulsore di sviluppo”, dicono, con chiaro riferimento alla storia della taranta, e con molta incredulità per il “vade retro” del Corriere.
Il Foglio sportivo - in corpore sano