Dal Parlamento ai film, da Palazzo Chigi alle canzoni. Così Andreotti è arrivato dappertutto

Maurizio Stefanini

Nel 1963, in "Gli onorevoli", famoso film di Sergio Corbucci, assieme a una candidata democristiana interpretata da Franca Valeri, a un comunista interpretato da Aroldo Tieri, a un liberale interpretato da Gino Cervi e a un missino interpretato da Peppino De Filippo, tra i bonariamente presi in giro c'è anche un monarchico interpretato da Totò, che diventerà memorabile per il suo martellante “Vota Antonio!”, e la cui moglie però vota Dc. Per la precisione “Giulio”: “Non c'è rosa senza spine, non c'è governo senza Andreotti!”, spiega.

    Nel 1963, in "Gli onorevoli", famoso film di Sergio Corbucci, assieme a una candidata democristiana interpretata da Franca Valeri, a un comunista interpretato da Aroldo Tieri, a un liberale interpretato da Gino Cervi e a un missino interpretato da Peppino De Filippo, tra i bonariamente presi in giro c’è anche un monarchico interpretato da Totò, che diventerà memorabile per il suo martellante “Vota Antonio!”, e la cui moglie però vota Dc. Per la precisione “Giulio”: “Non c’è rosa senza spine, non c’è governo senza Andreotti!”, spiega. Nel 1973 il Canzoniere del Lazio, gruppo seminale nel panorama del folk revival italiano, fa uscire il suo primo lp, che si intitola "Quando nascesti tune". Tra le canzoni, ce n’è una di protesta con una strofa che fa: “tre/ noi volessimo sapè/ se Andreotti s’è deciso/ de mannacce in paradiso”. Nel 1983 "Il tassinaro", altro famoso film, mostra Alberto Soerdi nel ruolo di un tassista che incrocia personaggi anonimi e famosi. Tra i famosi interpretati in camei da sé stessi, in particolare, accanto a Federico Fellini, Silvana Pampanini, Paolo Frajese e agli allora celebri “sposini di Omegna” Pia Bianca Curioni e Fulvio Cerutti, c’è Giulio Andreotti, che propone di risolvere il problema della disoccupazione dei laureati con il numero chiuso alle Università. Nel 1992 Francesco Baccini, autore ancora sulla breccia, pubblica l’album "Nomi e cognomi", in cui una della canzoni è appunto dedicata a Giulio Andreotti. “Chi ha mangiato la torta/ Andreotti/ chi ha permesso il calo della borsa/ Andreotti/ ma lasciatelo stare, poverino/ questo dargli addosso è/ assurdo e cretino/ chi ha sbagliato manovra/ Andreotti/ chi c'è dietro la piovra/ Andreotti/ siamo tutti pieni di pregiudizi/ convinti di pulir l'Italia/ da tutti i vizi/ Giulio ti salverò/ sarò il tuo Don Chisciotte/ Giulio ti difenderò/ sarai la mia mascotte”. Nel 2000 Giulio Andreotti è il protagonista del cartone animato di Mario Verger. Sempre nel 2000, Giulio Andreotti fa la pubblicità alla Diners. Nel 2005, Giulio Andreotti fa pubblicità ai cellulari Tre, assieme a Valeria Marini e a Claudio Amendola. Nel 2008, a lui è dedicato il film "Il Divo" di Paolo Sorrentino che sarà premiato a Cannes, e che sarà definito dall’interessato “una mascalzonata”. Ma quasi subito ritirerà l’epiteto, ammettendo che “se uno fa politica pare che essere ignorato sia peggio che essere criticato”. Si parva licet, il 2008 è anche l’anno in cui Giulio Andreotti incrocia la vita dell’autore di queste note, firmando la prefazione al suo libro "Grandi Coalizioni": e forse è questa la prova definitiva che Andreotti in Italia è arrivato veramente dappertutto.

    Aveva 26 anni quando il 5 aprile del 1945 fu designato a quella Consulta Nazionale che fu il primo Parlamento, sebbene cooptato, della nuova Italia democratica. E poi è stato alla Costituente. E alla Camera. E, dal primo giugno 1991, Senatore a vita. Era rimasto l’ultimo a aver fatto parte del legislativo ininterrottamente non solo dall’inizio della Repubblica, ma addirittura attraverso la Consulta anche dalla fine della monarchia. Sette volte Presidente del Consiglio: col quadripartito centrista tra 1972 e 1973; con la solidarietà nazionale appoggiato dal Pci tra 1976 e 1979; col pentapartito tra 1989 e 1992. E poi otto volte ministro della Difesa; cinque volte ministro degli Esteri; tre volte ministro delle Partecipazioni Statali; due volte ministro delle Finanze, ministro del Bilancio e ministro dell'Industria; una volta ministro del Tesoro, ministro dell'Interno,  ministro dei beni culturali, e ministro delle Politiche Comunitarie. Come ministro dell’Interno fu anche il più giovane nella storia dell’Italia repubblicana: 34enne. Ma la prima volta al governo era entrato a 28 anni: sottosegretario alla Presidenza del Consiglio di Alcide De Gasperi. Altro suo record: il primo presidente del Consiglio ad avere una ministro donna, con Tina Anselmi. Né la sua carriera politica si è in realtà conclusa con la fine della Prima Repubblica e della Dc, se si pensa al modo in cui nel 2001 provò a tenere a battesimo il forse ancora prematuro esperimento neo-centrista di Democrazia Europea, nel 2006 fu candidato contro Franco Marini alla presidenza del Senato e nel 2008 ne presiedette comunque la prima seduta come più anziano dei presenti. 

    Insomma, nessun altro uomo politico nel corso della Storia dell’Italia unita ha continuato a attraversare altrettanto a lungo la vicenda istituzionale del Paese: neanche ai tempi del Regno. Per questo, nell’immaginario collettivo era diventato un personaggio quasi immortale. Un personaggio che avrebbe dovuto esserci sempre: come il sole o come le stagioni. Nato a Roma da genitori originari di Segni e rimasto precocemente orfano del padre, oltretutto, raccontava di aver vissuto da ragazzo presso una vecchissima zia, classe 1854, "nella casa nella quale io sono nato”, e alcuni dei suoi primi aneddoti da politico in erba riguardano i contatti che tramite De Gasperi ebbe con i vecchi mostri sacri dell’Italia liberale: da Benedetto Croce a Francesco Saverio Nitti e a Vittorio Emanuele Orlando. Quest’ultimo in particolare, raccontava, lo impressionava, perché era stato il presidente del Consiglio di cui aveva studiato a scuola che aveva vinto la Grande Guerra: un personaggio nato a Palermo ancora Regno delle Due Sicilie, nove giorni prima dell’arrivo dei garibaldini. Insomma, veramente il contatto con Andreotti dà il senso del radicamento nella Storia. Eppure, da giovane era così malandato in salute che quando si presentò per fare il servizio di leva come ufficiale di complemento al Celio un medico lo riformò pronosticandogli “non più di sei mesi di vita”. A parte la sua straordinaria sopravvivenza: sarebbe appunto diventato, come già ricordato, ministro della Difesa. E dei più temuti: proprio alla sua permanenza in quell’incarico una leggenda avrebbe attribuito un armamentario di dossier tali da far tremare mezza Italia. 

    Ginnasio al Visconti, Liceo Classico al Tasso, andò a Giurisprudenza invece che a Medicina perché la frequenza non obbligatoria gli permetteva di aiutare il bilancio familiare, lavorando come  avventizio all'Amministrazione Finanziaria. Nel frattempo entra nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana, diventa nel 1939 direttore della rivista Azione Fucina, e poi nel 1942 presidente della Fuci al posto di Aldo Moro, richiamato alle armi.  Intanto inizia anche una tesi in Diritto della Navigazione durante la quale finisce alla Biblioteca Vaticana a chiedere materiale sulla Marina Pontificia. “Ma lei non ha niente di meglio da fare?”, gli chiede sprezzante un impiegato. Poco dopo, regime fascista ormai agli sgoccioli, Andreotti va a una riunione convocata dall’ex-presidente della Fuci Spataro per preparare un nuovo partito cattolico, e ci ritrova “il signore dei libri”. Che poi non è altri che De Gasperi. “Vieni a lavorare con noi”, gli dice. Nel 1944 quando cessa di essere presidente della Fuci diventa responsabile dei giovani Dc. Ed è l’inizio della carriera che attraverserà tutto il resto del secolo, e l’inizio inoltrato del successivo. Subito in evidenza come braccio destro di De Gasperi, di lui Indro Montanelli racconterà la celebre battuta: “quando entravano in chiesa Ge Gasperi parlava con Dio, Andreotti col prete”. Da cui la altrettanto celebre controbattuta: “ma a me il prete rispondeva”. E qui andiamo in una delle particolarità di Andreotti. Dal coinvolgimento nel 1958 nello scandalo Giuffrè in seguito alle accuse di un memoriale giudicato falso fino all’accusa di rapporto con la mafia da dopo un’assoluzione in primo grado e una condanna in secondo fu infine scagionato dalla Cassazione nel 2004, Andreotti è stato un personaggio coinvolto in una qualità di vicende giudiziarie e accuse: dall’aeroporto di Fiumicino ai dossier del Sifar, al caso Giannettini, al golpe Borghese, all’omicidio Pecorelli, alle vicende di Sindona. Eppure, mai nessuno è riuscito non diciamo a incastrarlo, ma neanche a compromettere la sua carriera politica.  E Andreotti è stato il primo a scherzarci sopra: “guerre puniche a parte, nella mia vita mi hanno accusato di tutto quello che è successo in Italia”.

    Del tutto inconsueto per un politico tacciato di machiavellismo, è appunto un famoso senso dell’umorismo da cui non ha mai risparmiato neanche sé stesso. Del tutto inconsueto per la maggior parte dei politici tout court è pure un profilo da intellettuale autore di una cinquantina di libri: dalla memorialistica allo studio storico passando per esperimenti di narrativa. Famose le sue battute: “il potere logora chi non ce l’ha”. Famose le sue risposte fulminanti. Roberto Gervaso: “sulla lapide di chi scriverebbe fece più male che bene, ma il male lo fece bene e il bene lo fece male?”. Andreotti: “non mi occupo di pompe funebri!”. Un intellettuale dunque scettico ed elitario: “non credo che nessuno lo abbia mai sentito gridare, né visto in preda all'agitazione” scrisse di lui Enzo Biagi. “Non ho un temperamento avventuroso e giudico pericolose le improvvisazioni emotive. Lavorare molto m'è sempre piaciuto. È una utile deformazione”, diceva di sé. Eppure a suo modo popolarissimo e popolaresco: dall’ostentato tifo per la Roma alle preferenze a raffica che prendeva quando si candidava a deputato. Ancora Biagi così lo descrisse: “legge romanzi gialli, è tifoso della Roma, e si compera l'abbonamento, frequenta le corse dei cavalli, è capace di passare un pomeriggio giocando a carte, e l'attrice che preferiva, in gioventù, era la bionda Carole Lombard, colleziona campanelli e francobolli del 1870”. “Padre di quattro figli, ha la fortuna che la sua prole tende a non farsi notare. E neppure la signora Livia, la moglie, di cui non si celebrano né gli abiti né le iniziative. Non c'è aneddotica sulla signora Andreotti”. Ma i suoi stessi sostenitori consideravano la sua fama luciferina come parte del suo carisma, a partire dai soprannomi di cui ha fatto ideale collezione: “il divo Giulio”, “Belzebù”, “Zio Giulio”, “Talleyrand”,  “Molok”, “la Sfinge”, “il Papa Nero”, “il Gobbo”, “la Volpe”, “la Vecchia Volpe”, “l’Indecifrabile”.

    Al contempo, i suoi avversari erano i primi a sostenere la tesi della sua enorme capacità e intelligenza, sia pure attribuendole il servizio di cause sbagliate. O, più frequentemente ancora, la edizione a un potere fine a sé stesso “Mi faccio una colpa di provare simpatia per Andreotti”, diceva Montanelli. “È il più spiritoso di tutti. Mi diverte il suo cinismo, che è un cinismo vero, una particolare filosofia con la quale è nato. È distaccato, freddo, guardingo, ha sangue di ghiaccio. È autenticamente colto, cioè di quelli che non credono che la cultura sia cominciata con la sociologia e finisca lì”. Giorgio Galli, il politologo, attribuì una volta a Andreotti un’aura quasi taumaturgica per la sua capacità di essere “dappertutto”. Cioè, “a sinistra, al centro e a destra” contemporaneamente. Uomo dell’abbraccio a Graziani, e dei governi appoggiati dal Pci; dell’opposizione al centro-sinistra per il ritorno al centrismo, e del ritorno alla collaborazione col Psi; della lealtà atlantica, e di Sigonella; dell’antipatia con Craxi, e del Caf. D’altra parte, la querelle della sua vicinanza a Cosa Nostra andrebbe pure messa assieme al particolare che col suo governo il ministro della Giustizia Claudio Martelli promosse il giudice Falcone a protagonista della lotta anti-mafia. E anche la sua fama di personaggio alieno alle prove di forza andrebbe confrontata al particolare che comunque fu il suo governo quello a opporre il muro contro muro alle Brigate Rosse dopo il rapimento di Aldo Moro.