Se Draghi arriva ai piccoli
La recente decisione della Banca centrale europea di abbassare il costo del denaro va inquadrata nell'ambito di una nuova fase nella gestione della crisi volta a preparare il terreno per ulteriori, nuovi sviluppi. Di per sé l'abbassamento del costo del rifinanziamento per il sistema bancario dell'Eurozona è destinato a non avere effetti rilevanti sull'economia reale poiché, ormai da tempo, le banche della periferia non trasferiscono all'economia reale la disponibilità di una liquidità illimitata e sostanzialmente gratuita. La stretta creditizia è particolarmente grave perché le imprese della periferia dipendono oltremodo dall'erogazione di credito bancario, hanno un indebitamento rispetto ai mezzi propri elevato e una bassa profittabilità che ne mina la capacità di autofinanziamento.
La recente decisione della Banca centrale europea di abbassare il costo del denaro va inquadrata nell’ambito di una nuova fase nella gestione della crisi volta a preparare il terreno per ulteriori, nuovi sviluppi. Di per sé l’abbassamento del costo del rifinanziamento per il sistema bancario dell’Eurozona è destinato a non avere effetti rilevanti sull’economia reale poiché, ormai da tempo, le banche della periferia non trasferiscono all’economia reale la disponibilità di una liquidità illimitata e sostanzialmente gratuita. La stretta creditizia è particolarmente grave perché le imprese della periferia dipendono oltremodo dall’erogazione di credito bancario, hanno un indebitamento rispetto ai mezzi propri elevato e una bassa profittabilità che ne mina la capacità di autofinanziamento. Molte di queste imprese, poi, stante la loro piccola o media dimensione, soffrono di una relazione asimmetrica nei confronti del sistema bancario. A complicare la situazione, la stretta creditizia è amplificata dalla frammentazione del sistema finanziario dell’Eurozona lungo i confini nazionali, vanificando l’accesso delle banche della periferia a quelle del nord Europa. In questo quadro, la diminuzione di un quarto di punto percentuale nel tasso segnaletico di rifinanziamento, ora allo 0,5 per cento, intende soprattutto inviare il segnale che la Bce sta vagliando con crescente preoccupazione l’evolversi della situazione economica utilizzando, in prima battuta, gli strumenti convenzionali di cui dispone. Nel suo recente discorso di Londra, David Lipton, il numero due del Fondo monetario internazionale, ha sintetizzato con efficacia lo scenario che la Bce si trova dinanzi “la politica monetaria tradizionale ha mostrato di non essere sufficiente (…) probabilmente occorreranno ulteriori misure non convenzionali da parte della Bce”.
Ma quali sono gli strumenti di cui potrebbe far uso l’Eurotower una volta esauriti quelli convenzionali? Da qualche anno le autorità monetarie americane, inglesi e, da ultimo, giapponesi, fanno ricorso a politiche monetarie non convenzionali agendo sulle quantità, oltre che sui prezzi – cioè i tassi di interesse –, tramite l’acquisto di ingenti stock di attività finanziarie con l’obiettivo di agevolare la trasmissione degli obiettivi di politica monetaria. Lo scorso agosto, la Banca d’Inghilterra ha introdotto uno schema di rifinanziamento del sistema bancario, rafforzandolo pochi giorni fa, le cui condizioni di accesso in termini di prezzo (tassi di interesse) e di quantità di fondi disponibili presso la Banca centrale dipendono dallo stock di prestiti erogati alle piccole e medie imprese (“funding for lending”). Eppure, la semplice trasposizione degli schemi adottati da altre Banche centrali è di utilità limitata per la Bce, stante la sua peculiare natura di Banca centrale multinazionale con mandato abbastanza ristretto. Questo aspetto le impone cautela nella formulazione di quelle politiche che travalichino lo spettro di strumenti tradizionalmente utilizzati da una Banca centrale e che possano avere effetti redistributivi.
Come nel caso dell’Omt (Outright monetary transactions), il programma condizionale di acquisto di titoli di stato, qualsiasi intervento non convenzionale deve essere formulato nell’interesse dell’Eurozona nel suo complesso. Per tutelare la natura specifica del mandato della Bce e metterla al riparo dalle accuse di qualche rigorista di turno, occorre prevedere il coinvolgimento di altre agenzie europee. Sempre nell’Omt, l’agenzia europea partner è l’Esm, il Fondo salva stati; nel caso del suo equivalente microeconomico potrebbe essere la Banca degli investimenti europei (Bei). La Bei, infatti, potrebbe contribuire sia sul fronte della securitization dei prestiti delle piccole e medie imprese, così da agevolarne la trasferibilità da un intermediario finanziario all’altro, sia garantendo in qualche misura il valore delle medesime attività. Il duo Bce-Bei rappresenterebbe la versione minimale di un nuovo programma non convenzionale teso a far rifluire il credito nelle economie e nelle imprese della periferia. Basterebbe? Probabilmente no.
La dispersione nei tassi di interesse subiti dalle imprese della periferia riflette considerazioni che vanno al di là della politica monetaria e includono aspetti legati alla giurisdizione nazionale nella quale le medesime imprese operano. Tale giurisdizione determina la dinamica del carico fiscale e la sua incertezza, inclusa la probabilità di insolvenza dell’erario nazionale. La medesima giurisdizione determina pure il contesto giuridico-istituzionale che incide sulla qualità dei crediti che le imprese hanno in portafoglio. Se tali crediti sono difficilmente esigibili per l’inefficienza della giustizia e i meccanismi farraginosi nei pagamenti della nostra Pubblica amministrazione, le imprese italiane, loro malgrado, hanno un profilo di rischiosità più elevato a causa di fattori idiosincratici nazionali. In tal senso, si potrebbe introdurre uno schema di condizionalità teso a rimuovere le asimmetrie strutturali della periferia in cambio dell’attivazione di tale programma, così come previsto del resto anche nell’Omt. Pertanto, la partecipazione dell’Esm non andrebbe esclusa a priori e rappresenterebbe il fondamento di un utile compromesso politico fra il sud Europa e la necessità di compiere maggiori riforme, e il nord Europa con la sua disponibilità a sostenere tali sforzi in un contesto non depressivo. Infine, i tempi. Con le elezioni tedesche a fine settembre, è naturale attendere qualsiasi sviluppo significativo su questo fronte all’indomani del voto, a meno che i prossimi mesi non rivelino un significativo peggioramento delle prospettive economiche tale da condizionare la campagna elettorale e la riconferma della cancelleriera tedesca, Angela Merkel.
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