La relatività delle “red line”
Sulla Siria, Teheran fa il verso a Obama con il “piano Suleimani”
Teheran fa il verso a Washington e ribadisce che l’uso di armi chimiche è la sua linea rossa e suggerisce di indagare sugli insorti, chiama i “fratelli arabi” a reagire agli strike israeliani e l’Onu a condannare il governo di Gerusalemme. Così mentre ogni giorno si allunga la conta dei morti siriani e sale la temperatura della guerra fredda con Israele – ieri quattro peacekeeper dell’Onu sono stati “rapiti” o “detenuti” sul Golan dai ribelli siriani – a Teheran si ragiona a freddo. In visita in Giordania a pochi giorni dal viaggio di re Abdullah II a Washington, e di quello del ministro degli Esteri giordano a Roma dove incontrerà il segretario di stato americano John Kerry, il capo della diplomazia iraniana Ali Akbar Salehi ha invitato il regime di Damasco a dialogare con l’opposizione allo scopo di formare un governo di transizione.
Teheran fa il verso a Washington e ribadisce che l’uso di armi chimiche è la sua linea rossa e suggerisce di indagare sugli insorti, chiama i “fratelli arabi” a reagire agli strike israeliani e l’Onu a condannare il governo di Gerusalemme. Così mentre ogni giorno si allunga la conta dei morti siriani e sale la temperatura della guerra fredda con Israele – ieri quattro peacekeeper dell’Onu sono stati “rapiti” o “detenuti” sul Golan dai ribelli siriani – a Teheran si ragiona a freddo. In visita in Giordania a pochi giorni dal viaggio di re Abdullah II a Washington, e di quello del ministro degli Esteri giordano a Roma dove incontrerà il segretario di stato americano John Kerry, il capo della diplomazia iraniana Ali Akbar Salehi ha invitato il regime di Damasco a dialogare con l’opposizione allo scopo di formare un governo di transizione. Ad Amman l’inviato iraniano ha lanciato l’esca: l’Iran potrebbe fare molto per uscire dallo stallo internazionale sulla Siria se fosse riconosciuto il suo ruolo regionale. Egitto e Turchia hanno acconsentito a discutere del futuro di Damasco con Teheran, ma l’Arabia Saudita ha rifiutato di partecipare agli incontri del cosiddetto quartetto a causa della presenza iraniana. Un’ostilità strategica condivisa dai partner del Golfo e dagli Stati Uniti, consci che se Teheran gioca la carta diplomatica da una parte, dall’altra non ha certo abbandonato la sua pericolosa partita sul “fronte della resistenza”.
Dopo gli strike israeliani il generale Reza Pourdastan, capo delle Forze armate, ha ribadito la posizione ufficiale iraniana: Teheran aiuterà Damasco ad addestrare l’esercito siriano se Damasco lo chiederà, ma l’Iran “non avrà alcun coinvolgimento attivo nelle operazioni”. Il generale insomma ha minimizzato. Ma l’altra faccia della medaglia, quella cara all’ayatollah Ali Khamenei, è stata illustrata con chiarezza a febbraio.
L’hojatoleslam Mehdi Taeb, direttore di un think tank, “La base strategica di Ammar”, vicino alla Guida suprema, ha detto in un incontro con un gruppo di bassiji: “La Siria è la 35esima provincia iraniana”, una provincia dal valore strategico incommensurabile. “Se perdiamo la Siria – ha aggiunto – non potremo tenerci Teheran”. Per difendere la 35esima provincia iraniana, stando a un report di Shimon Shapira del Jerusalem Center for Public Affairs, Teheran s’è affidato ancora una volta a Ghassem Suleimani. A metà aprile durante una visita del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah a Teheran, il misterioso deus ex machina di al Quds avrebbe condiviso con l’alleato il suo piano operativo per la Siria. La strategia prevede la formazione di una forza di 150 mila uomini da integrare nell’esercito siriano, la maggioranza dei combattenti proviene da Iran e Iraq e dai ranghi della milizia libanese, dai paesi del Golfo e dal Pakistan. Significativo è un dispaccio del 6 maggio dell’AP che documenta il ritorno a Bassora della salma di Diaa Mutashar al Issawi, un combattente iracheno, uno dei tanti che da mesi scivolano in Siria per combattere contro i sunniti. Consegnato sul confine con l’Iran a Shalamcha, in un feretro simile a quelli con cui venivano rimpatriati i morti della guerra Iran-Iraq da uomini mascherati che inveivano con i fotografi per non essere ripresi, il corpo di al Issawi è stato portato in parata per le strade di Bassora mentre il corteo funebre piangeva il suo “martirio felice” in difesa dei sepolcri sciiti offesi dai terroristi siriani (le stesse parole che ricorrono sulle labbra dei dirigenti iraniani e di Nasrallah).
Secondo Aram Nerguizian, analista del Center for Strategic and International Studies di Washington, gli sciiti iracheni e libanesi costituiscono una retroguardia importante per Assad, e il coordinamento da parte di Teheran è sempre più consistente.
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