Per un nativo digitale la “vita vera” non è bici e passeggiate

Piero Vietti

Alle 23,59 del 30 aprile 2012 Paul Miller, giornalista esperto di tecnologia del sito di informazione americano The Verge, si è disconnesso da Internet per un anno. Ha spento e inscatolato il suo computer, messo via il suo tablet e sostituito lo smartphone con un cellulare vecchio stile, di quelli che non ricevono nemmeno la posta elettronica. La sua disconnessione prevedeva anche l’abbandono della email: da quel giorno Paul avrebbe ricevuto solo posta cartacea. Basta notizie in tempo reale via Twitter, se avesse voluto sapere cosa succedeva nel mondo avrebbe dovuto accendere la tv, basta siti di informazione o app di quotidiani e riviste, per leggere notizie e commenti sarebbe dovuto uscire di casa e andare a comprare quoditiani e settimanali.

    Alle 23,59 del 30 aprile 2012 Paul Miller, giornalista esperto di tecnologia del sito di informazione americano The Verge, si è disconnesso da Internet per un anno. Ha spento e inscatolato il suo computer, messo via il suo tablet e sostituito lo smartphone con un cellulare vecchio stile, di quelli che non ricevono nemmeno la posta elettronica. La sua disconnessione prevedeva anche l’abbandono della email: da quel giorno Paul avrebbe ricevuto solo posta cartacea. Basta notizie in tempo reale via Twitter, se avesse voluto sapere cosa succedeva nel mondo avrebbe dovuto accendere la tv, basta siti di informazione o app di quotidiani e riviste, per leggere notizie e commenti sarebbe dovuto uscire di casa e andare a comprare quoditiani e settimanali. Come molti nativi digitali Paul, 26 anni, viveva continuamente connesso. Poi il rigetto: “Pensavo che Internet mi rendesse improduttivo, che navigare sul Web fosse insignificante. Che corrompesse la mia anima. Volevo uscire dalla vita moderna, da quella ruota da criceto che è il World Wide Web, con le sue email e i like sui social network. Pensavo che Internet fosse innaturale per un essere umano. Volevo tornare alla realtà”. Ha usato queste parole un anno dopo su The Verge, quando è terminato il suo esperimento e ha dovuto raccontare come erano andati quei dodici mesi vissuti come nel mondo occidentale non fa più quasi nessuno della sua età.

    “Mi sbagliavo”. Il suo giudizio sull’anno passato offline è netto, anche se è il risultato di un lungo lavoro. All’inizio, infatti, a Paul la nuova vita piace: comincia a fare passeggiate, leggere libri seduto sulle panchine dei parchi, andare in bici e giocare a frisbee; telefona agli amici per incontrarli davanti a un hamburger e una birra e riesce a stare a sentire persino un intero discorso di sua sorella senza distrarsi guardando il suo smartphone per twittare o aggiornare uno status su Facebook. Paul comincia ad “annusare i fiori”, a scrivere un romanzo e ad aumentare la sua produzione di articoli. Ogni giorno apre le lettere che riceve nella buca e risponde a mano. La redazione del suo giornale lo fa seguire per tutto l’anno da una telecamera, così da immortalare la nuova vita dell’ex nerd. Solo che dopo un po’ qualcosa non funziona più. Paul si stufa di annusare i fiori, lascia la bicicletta in cantina e il frisbee in ripostiglio. Il primo maggio del 2013, quando racconta di sé su The Verge, scrive: “Adesso dovrei dirvi che sto meglio, molto meglio, libero dalla rete. Ma non è così”. Se prima la continua connessione a Internet gli causava – o così credeva lui – perdita di creatività, noia e senso di isolamento, la nuova vita disconnessa gli dà gli stessi problemi. “Le scelte morali che dovevo affrontare – dice – erano le stesse anche offline”. Paul Miller è cresciuto con Internet, e per lui il concetto di “vita vera” non è quello che il luogo comune impone a chi ha più anni di lui. “La ricerca della vita vera è un mito – spiega – C’è molta realtà nel mondo virtuale, e molto virtuale nel mondo reale”.

    Dodici mesi dopo aver staccato la connessione Paul dice di avere scoperto se stesso, ma anche qui in modo sorprendente: pensava di cambiare cambiando le circostanze intorno a sé, si è ritrovato addosso gli stessi difetti e le medesime incertezze che aveva prima. Nessun luddistico ritorno alla natura, Miller dice chiaramente di avere compreso di essere “quel Paul che si distrae e preferisce poltrire sul divano piuttosto che prendere la moto”. E la cosa non gli dispiace. Quando verso la fine dell’anno è andato a trovare i suoi nipoti, uno di loro era particolarmente seccato perché lo zio non si era più fatto vedere via Skype. “Siamo persone che hanno bisogno delle altre persone”, ha scritto. Certo, lo ha intuito restando disconnesso. Ma subito dopo ha capito che “Internet è dove sono le persone, non è una cosa che facciamo da soli”.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.