L'ecumenismo della sofferenza nel saluto prudente del Papa ai copti

Matteo Matzuzzi

“Vengo dal paese del Nilo”, ha detto il Papa copto Tawadros II salutando il Papa cattolico Francesco, ieri nel Palazzo apostolico, momento più significativo di una visita che comprende numerosi incontri con i vertici della curia romana. Erano quarant'anni che i capi delle due chiese non si incontravano a Roma, nelle stanze del Vaticano.

    “Vengo dal paese del Nilo”, ha detto il Papa copto Tawadros II salutando il Papa cattolico Francesco, ieri nel Palazzo apostolico, momento più significativo di una visita che comprende numerosi incontri con i vertici della curia romana. Erano quarant’anni che i capi delle due chiese non si incontravano a Roma, nelle stanze del Vaticano. L’ultima volta accadde nel maggio del 1973, quando Paolo VI e Shenouda III firmarono la “Dichiarazione comune” che ha posto quella che Bergoglio ha definito “la pietra miliare” del dialogo ecumenico bilaterale copto-cattolico. Allora si trattava di dar seguito alla spinta ecumenica sorta nel Concilio, di riprendere il dialogo con le chiese separate, superando contrasti e antichi dissapori.

    Ci teneva tanto, il capo della chiesa di Alessandria, a incontrare il successore di Benedetto XVI. Già subito dopo l’elezione del gesuita argentino al Soglio di Pietro, Tawadros II aveva chiesto discretamente un incontro. Ieri, nel corso dell’udienza (seguita poi da una preghiera comune e dalla cena a Santa Marta), ha rilanciato, proponendo che il 10 maggio di ogni anno si celebri la festa dell’amore fraterno fra la chiesa cattolica e quella copto-ortodossa. Francesco ha sottolineato come il legame tra Alessandria e Roma (pur controverso e accidentato) non si sia mai interrotto: il sangue dei martiri – ha detto Bergoglio – ha avvicinato le due chiese. “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme. Questa è una legge della vita cristiana, e in questo senso possiamo dire che esiste anche un ecumenismo della sofferenza: come il sangue dei martiri è stato seme di forza e di fertilità per la chiesa, così la condivisione delle sofferenze quotidiane può divenire strumento efficace di unità”. La speranza, ha aggiunto il Pontefice, è di “comunicare un giorno all’unico calice”, anche se “il cammino che ci attende è forse ancora lungo”.

    Un discorso diplomatico ed equilibrato, quello di Papa Francesco, di certo passato al vaglio degli uffici della segreteria di stato. Parole misurate, nessun accenno all’odierna situazione politica egiziana. Nel fragile equilibrio del Cairo post Mubarak, la Santa Sede ha fatto in modo di evitare ogni possibile incidente che potesse mettere ancor più in pericolo la comunità copta. I temi più controversi e delicati sono stati affrontati prima, durante l’udienza privata a porte chiuse. L’intesa tra Francesco e Tawadros è stata immediata: il capo della chiesa di Alessandria ha anche invitato Bergoglio a recarsi presto in Egitto, sulle orme del pellegrinaggio che fece nel febbraio del 2000 Giovanni Paolo II. Era l’anno del Giubileo, e Karol Wojtyla volle recarsi al Cairo e sul monte Sinai, prime tappe della visita che il mese successivo avrebbe compiuto in Terra Santa. Un viaggio che, dodici anni dopo il crollo delle Torri gemelle e l’esperienza delle primavere arabe, avrebbe tutt’altro significato.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.