Dopo la strage in Turchia
E' guerra tra i servizi segreti di Erdogan e la mafia di Bashar el Assad
Reyhanli è l’ultimo miglio di Turchia prima di superare il confine e di arrivare in Siria, è l’ultima boccata di ossigeno prima di entrare nella guerra civile. Una città e un territorio ancora pacifici. Almeno fino a sabato scorso, quando due autobomba sono esplose poco dopo l’una di pomeriggio davanti a due uffici pubblici: 46 morti, quasi tutti turchi e tre siriani, palazzi semidistrutti. Lanciare questo tipo di messaggi mafiosi è una specialità del mukhabarat siriano – la polizia segreta – e si può chiedere a Beirut, in Libano, insanguinata da una serie di grandi attentati a partire dal marzo 2005.
Reyhanli è l’ultimo miglio di Turchia prima di superare il confine e di arrivare in Siria, è l’ultima boccata di ossigeno prima di entrare nella guerra civile. Una città e un territorio ancora pacifici. Almeno fino a sabato scorso, quando due autobomba sono esplose poco dopo l’una di pomeriggio davanti a due uffici pubblici: 46 morti, quasi tutti turchi e tre siriani, palazzi semidistrutti. Lanciare questo tipo di messaggi mafiosi è una specialità del mukhabarat siriano – la polizia segreta – e si può chiedere a Beirut, in Libano, insanguinata da una serie di grandi attentati a partire dal marzo 2005. Non è una supposizione informata, è l’indicazione precisa del governo turco, che accusa Damasco di essere mandante e di avere agito grazie a esecutori locali – sono stati arrestati nove turchi, pare, ma non è confermato, grazie ai numeri di targa di automobili osservate sul luogo delle esplosioni. Il governo di Ankara non dice tutto, ma fornisce abbastanza elementi per identificare i sicari. Si tratta di appartenenti alla milizia Muqawama Suriya, la “resistenza siriana”, un gruppo turco di estrema sinistra che organizza parate a favore di Assad nella vicina Antiochia, a 40 chilometri dal confine, e i cui leader negli anni passati hanno trovato rifugio in Siria. Marxisti turchi, fanatici sciiti libanesi (Hezbollah), volontari sciiti iracheni, milizie popolari alawite, forze speciali mandate dall’Iran, tutti assieme a combattere contro i ribelli per il governo di Damasco: Assad sta sfruttando ogni opzione possibile per rovesciare la situazione sul campo e ottiene qualche successo – secondo una strategia di rimonta militare che altro non è che un’operazione comandata dal generale iraniano Qassem Suleimani.
Due settimane fa la stessa milizia turca, la Muqawama Suriya, ha attaccato al Bayda e Baniyas in Siria e ha massacrato civili nelle strade e dentro le loro case, donne e bambini inclusi. Il numero accertato delle vittime per ora è 141 – si parla di quelle identificate con nome e cognome – ma potrebbe diventare più alto.
Ecco i dettagli in più che filtrano: quattro dei nove turchi arrestati hanno legami con il gruppo degli Acilciler, estrema sinistra attiva negli anni Settanta e Ottanta, innamorata di Saddam Hussein, Kim Jong- Un e Gheddafi. Uno dei loro capi, Mihrac Ural, trovò riparo in Siria dopo il colpo di stato del 1980 e da là diresse la sezione siriana del movimento, diventata poi la “Resistenza siriana”, o anche “Il Fronte di liberazione di Hatay”. Anche se indossa una tuta mimetica, Ural è un signore paffuto con i capelli bianchi e due occhi mogi, che spesso si fa fotografare tra i libri, o sul divano, o in teatri e a barbecue politici – oppure assieme a suoi miliziani armati. E’ comparso in un video accanto a un religioso alawita prima degli eccidi di Bayda e Baniyas, mentre predica la necessità di “ripulire e liberare” la zona dai sunniti. “Baniyas – dice – è l’unico sbocco dei sunniti al mare, per questo va circondata e ripulita”. Ural e i suoi terroristi rossi prima si sono riciclati in esecutori del piano di pulizia “confessionale” contro i sunniti sulla costa siriana, e adesso sembrano essere diventati attentatori su suolo turco per conto dell’intelligence di Assad che vuole intimorire il governo di Ankara. Due giorni prima delle autobomba il primo ministro, Recep Tayyip Erdogan, ha rilasciato un’intervista cruciale all’americana Nbc in cui sostiene che l’esercito siriano “ha usato con certezza il gas, abbiamo le prove, ha lanciato 200 missili con testate chimiche”. Giovedì Erdogan incontra il presidente americano, Barack Obama, a Washington, e forse risolverà i dubbi della Casa Bianca – che galleggia nel limbo dell’indecisione e si dice incerta a proposito delle notizie di attacchi chimici in Siria. E’ da notare che le vittime degli attacchi sono fatte uscire dal paese di Assad e sono curate e analizzate alla ricerca di prove proprio a Reyhanli, prima tappa oltreconfine per i siriani in fuga (questo è un altro elemento a favore di chi interpreta l’attentato come un messaggio mafioso mandato del governo siriano).
Una guerra di intelligence è in corso tra Siria e Turchia. L’11 febbraio i servizi di Assad hanno colpito il valico di Bab al Hawa, a un chilometro da Reyhanli: un’autobomba davanti alla sbarra della dogana, 14 morti. Le forze speciali turche sono entrate in Siria e hanno catturato la squadra di responsabili grazie alla collaborazione con i ribelli e anche con il gruppo Jabhat al Nusra, legato ad al Qaida e inserito dagli americani sulla lista dei terroristi globali. Il 30 aprile un aereo del governo ha bombardato il valico, ma dal lato siriano. Un’operazione rischiosa perché vicina al confine difeso dalla batterie di missili Patriot della Nato, per colpire un edificio accanto alla rotonda centrale del valico e dirimpetto al duty free, che tutti sanno essere usato da Ahrar al Sham, la più grande fazione di ribelli islamisti in guerra contro Damasco. Il posto pullula di informatori pro-governo, come scoprì a sue spese anche Richard Engel, inviato americano sequestrato lo scorso dicembre pochi chilometri dopo essere entrato nel paese.
Ieri, dopo un incontro con Obama, il primo ministro inglese David Cameron ha detto che alla fine del mese, quando scadrà l’embargo dell’Unione europea sulle armi alla Siria – inteso come: “Ai ribelli siriani” – il governo inglese intende armare con mezzi blindati e giubbotti antiproiettile i gruppi ribelli che combattono con Assad, selezionati tra quelli che non hanno legami con gli estremisti. Oggi il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, vola a Sochi per convincere il presidente russo Vladimir Putin a non vendere i sofisticati missili S-300 alla Siria.
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