Ci vorrebbe una bella fuga di notizie

Daniele Raineri

Quando fa comodo, la Casa Bianca favorisce le fughe di notizie. Ci sono giornalisti del New York Times che ormai sono specializzati e campano con gli scoop fatti grazie a “fonti anonime” interne all’Amministrazione Obama e questi scoop, curiosamente, non scatenano persecuzioni giudiziarie contro le redazioni e richieste di tabulati telefonici – anche dei telefoni personali e di casa – da parte del dipartimento di Giustizia. Esempio pratico numero uno. L’Amministrazione Obama ha bisogno di provare di essere attivamente schierata al fianco dell’opposizione siriana, senza però prendere ufficialmente posizione?

    Quando fa comodo, la Casa Bianca favorisce le fughe di notizie. Ci sono giornalisti del New York Times che ormai sono specializzati e campano con gli scoop fatti grazie a “fonti anonime” interne all’Amministrazione Obama e questi scoop, curiosamente, non scatenano persecuzioni giudiziarie contro le redazioni e richieste di tabulati telefonici – anche dei telefoni personali e di casa – da parte del dipartimento di Giustizia.

    Esempio pratico numero uno. L’Amministrazione Obama ha bisogno di provare di essere attivamente schierata al fianco dell’opposizione siriana, senza però prendere ufficialmente posizione? Ecco uscire un articolo di C. J. Chivers e Eric Schmitt, il 25 febbraio sul New York Times, che spiega che ci sono gli americani dietro tutto il gran traffico d’armi in corso tra Croazia, Arabia Saudita, Turchia, Giordania e Qatar. “Della festa anch’io son parte”, avrebbe potuto essere titolato. Fonti anonime, tonnellate d’armi, senza però un volto o un commento ufficiale. Gli aiuti dall’esterno ai ribelli siriani sono diventati così un dossier politico-giornalistico simile ai bombardamenti con i droni in Pakistan, tutti sanno che succede ma il governo americano ufficialmente ancora fluttua al di sopra delle notizie, in uno spazio ignaro e incontaminato.

    Esempio numero due. Washington vuole celebrare un durissimo sabotaggio contro il programma atomico iraniano fatto con il virus elettronico Stuxnet, senza assumersene la paternità? Ecco un scoop di David Sanger – 1 giugno 2012, sempre sul New York Times – che include citazioni del presidente Obama e del vicepresidente Joe Biden tratte da vere conversazioni durante consigli di guerra, quindi da situazioni su  cui in teoria tutti dovrebbero tenere la bocca chiusa e in nessun caso riferire a Sanger cosa succede. L’articolo ebbe però un evidente riflesso positivo: oltre a raccontare come anche l’America è già in azione sul fronte più avanzato e innovativo della cyberguerra, produsse un effetto ritardante sul continuo vociare di possibili strike preventivi contro il programma nucleare iraniano. Se è possibile sabotare con un virus, non è ancora l’ora delle bombe. In teoria fu uno scoop che atteneva direttamente ai dossier più delicati della sicurezza nazionale e della politica estera americana, eppure la Casa Bianca non alzò nemmeno un sopracciglio. Due giorni prima e ancora una volta sul New York Times – e questo è l’esempio numero tre – c’era un pezzo di Jo Becker e Scott Shane sulla “kill list”, la lista dei terroristi da uccidere perché pericolosi per l’America. Il pezzo proiettava sul commander-in-chief Obama l’aura del decisionista spietato ma riflessivo in politica estera – e in anno elettorale.
    I due leak così spettacolari e a così breve distanza non passarono inosservati: Dianne Feinstein, a capo della commissione Intelligence del Senato, accusò la Casa Bianca di essere responsabile della fuga di notizie. Non il presidente, “non credo neppure per un momento che lui esca allo scopeto e parli di queste cose, ma qualcuno là dentro, spero che la Casa Bianca capisca che viene da loro”. I repubblicani dissero esplicitamente che i leak erano stati fatti per aiutare il presidente politicamente.

    David Axelrod, braccio destro del presidente nella campagna elettorale, si fece fare un’intervista per assicurare che no, “i leak non vengono dalla Casa Bianca, ci sono fughe di notizie, è ovvio, ma non arrivano dalla Casa Bianca”. A Washington fu tutto un darsi di gomito. Come no. Del resto, quando Sanger avvertì i servizi segreti dello scoop che stava per fare, per poco non risposero con uno sbadiglio. “Vai pure avanti”, dissero. Anche l’operazione più delicata compiuta dalla Casa Bianca, l’uccisione di Osama bin Laden, fu poi sfruttata con alcuni leak accorti: alla regista Kathryn Bigelow e al suo sceneggiatore fu consentito l’accesso alle basi segrete dove i Navy Seal avevano preparato l’incursione, per poter dare un tocco di realismo in più al film “Zero Dark Thirty”.
    L’Amministrazione Obama è molto più severa di quelle che l’hanno preceduta con chi passa informazioni e con i giornalisti, ma ha inventato una nuova, bizzarra categoria, quella delle “fughe di belle notizie”.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)