Macchina del fango (d'antan)
Consigli da una regina alla Boldrini in tema di porno-fotomontaggi
La storia non è magistra di niente che ci riguardi, ma questo non le impedisce di molestarci sotto forma di déjà-vu. Roma, primavera del 2013: Giovanna Pirrotta, la giovane assistente di Laura Boldrini, depone sulla scrivania della presidente della Camera le stampe di alcuni fotomontaggi; in uno di essi il suo volto sorridente è innestato sul corpo di una donna violentata da un nero. Roma, primi di febbraio del 1862: giunge a Pio IX, da un ignoto mittente, un misterioso plico, che viene recapitato anche all'imperatore Napoleone III, a Vittorio Emanuele, alla corte di Vienna e a quella di Monaco di Baviera. Contiene anch'esso dei fotomontaggi osceni.
La storia non è magistra di niente che ci riguardi, ma questo non le impedisce di molestarci sotto forma di déjà-vu. Roma, primavera del 2013: Giovanna Pirrotta, la giovane assistente di Laura Boldrini, depone sulla scrivania della presidente della Camera le stampe di alcuni fotomontaggi; in uno di essi il suo volto sorridente è innestato sul corpo di una donna violentata da un nero. Roma, primi di febbraio del 1862: giunge a Pio IX, da un ignoto mittente, un misterioso plico, che viene recapitato anche all’imperatore Napoleone III, a Vittorio Emanuele, alla corte di Vienna e a quella di Monaco di Baviera. Contiene anch’esso dei fotomontaggi osceni: la testa è quella di Maria Sofia di Wittelsbach, ultima regina consorte del Regno delle Due Sicilie, sorella minore di Sissi, esule a Roma con il marito Franceschiello. E il corpo? Be’, quella è una storia lunga. Ma sentiamo come i pruriginosi prelati del Sacro tribunale descrivono le fotografie. Una di esse “rappresentava la Regina ignuda al bagno in una bagnarola rotonda, sulla quale galleggiavano membri umani di tutte le proporzioni quali ella andava accarezzando”; in un’altra “si vedeva ignuda, lunga sopra un sofà, avendo sopra in atto di coito uno zuavo in modo da non vedersi il volto”. Un’altra ancora “rappresentava la regina sempre tutta ignuda in un sofà mezza addormentata, e Sua Santità che sta per entrare nella porta che vedesi traschiusa, ed il Generale francese in distanza vestito però alla borghese che segue Sua Santità”. Sono cinque, in tutto, le composizioni pornografico-allegoriche che innescano il primo grande scandalo del fotomontaggio satirico.
Nel giro di un mese, il 6 marzo del 1862, gli autori del misfatto sono arrestati: una coppia di fotografi, Antonio Diotallevi e Costanza Vaccari Diotallevi. Quest’ultima chiede l’impunità in cambio di rivelazioni non tanto sulle fotografie, quanto sulle attività del Comitato nazionale filopiemontese di Roma. “Impunitari” o semplicemente “impuniti” si chiamavano i pentiti nello stato Pontificio, e non per nulla Mauro Mellini scrisse sulla vicenda un pamphlet storico, “Eminenza, la ‘pentita’ ha parlato”, dedicato maliziosamente ad Andreotti e pubblicato nel 1982 da un editore di Napoli, Tullio Pironti, un anno prima del caso Tortora. La Diotallevi riferì le poche cose che sapeva, e inventò molte grandiose balle (spesso la storia è una magistra inutile, ma questo è un altro affare). Il corpo che compiva quelle sconcezze sotto la testa della regina, rivelò la pentita, apparteneva alla “scuffiara del pozzo delle cornacchie”, una fantomatica apprendista modista; ma non si spesero troppo a cercarla, sospettando che la controfigura della regina fosse la stessa Diotallevi.
“Poiché credevano fossi io, ero io”
Quanto alla bella e vanitosa Maria Sofia, ecco cosa confidò a Leonardo Sciascia in una delle “Interviste impossibili”, la celebre serie radiofonica della Rai: “Nella storia della fotografia, lei forse non lo sa, su di me è stato consumato l’ignobile esperimento di uno dei primi forse, certamente dei più riusciti, fotomontaggi. L’immagine di me nuda è corsa per l’Europa, ha avuto un mercato… La regina nuda: immagini gli effetti, in un paese monarchico e cattolico…”. E lei che effetto ne ha avuto? “Di indignazione, naturalmente. Ma anche di una certa soddisfazione: i nostri nemici erano ignobili quanto i nostri amici; e avevo creduto fossero invece migliori. Poi, anche, una sensazione di libertà: poiché quasi tutti credevano che quel corpo nudo fosse il mio, era il mio. Insomma: ero libera fino alla nudità. (…) Ma parliamo d’altro: o lei finirà col pubblicare questa intervista in una rivista per uomini soli o per soli uomini”.
Davvero furono questi i pensieri di Maria Sofia? La storia non è magistra di niente che ci riguardi, e lo schema tragedia-farsa è ormai venuto a noia (a meno che ci si dica, una buona volta, che cosa viene al terzo stadio). Ma ecco, già sarebbe qualcosa se di una farsa non si finisse per fare una tragedia.
Il Foglio sportivo - in corpore sano