Cannes 2013

Il vero divo

Mariarosa Mancuso

"Libri veri. Che accuratezza! Che realismo! Ha capito anche dove fermarsi: non ha tagliato le pagine”. La biblioteca di Gatsby passa l’esame degli ospiti, che ammirano la sua astuzia nel far sembrare vecchi i soldi nuovi, guadagnati in un lampo per conquistare quel che il denaro non può comprare (nei romanzi, almeno: nella vita spesso non succede, ecco il vantaggio competitivo della letteratura in particolare e della fiction in generale). Le camicie lanciate dall’armadio guardaroba fanno piangere Daisy, che pur essendo nata ricca non ha mai visto stoffe tanto belle. Tentazione folle per un regista che adora l’eccesso, le feste sfarzose, le scene di massa.

    "Libri veri. Che accuratezza! Che realismo! Ha capito anche dove fermarsi: non ha tagliato le pagine”. La biblioteca di Gatsby passa l’esame degli ospiti, che ammirano la sua astuzia nel far sembrare vecchi i soldi nuovi, guadagnati in un lampo per conquistare quel che il denaro non può comprare (nei romanzi, almeno: nella vita spesso non succede, ecco il vantaggio competitivo della letteratura in particolare e della fiction in generale). Le camicie lanciate dall’armadio guardaroba fanno piangere Daisy, che pur essendo nata ricca non ha mai visto stoffe tanto belle. Tentazione folle per un regista che adora l’eccesso, le feste sfarzose, le scene di massa. Baz Luhrmann ha coltivato il progetto Gatsby per una decina d’anni: nel 2002 aveva scoperto Francis Scott Fitzgerald ascoltando un audiolibro mentre viaggiava sulla Transiberiana. Ieri, per la seconda volta dopo “Moulin Rouge”, un suo film ha aperto il Festival di Cannes (nelle sale italiane, esce oggi). Alla conferenza stampa, si presenta come uno scolaretto all’esame di letteratura: abbiamo letto più volte il romanzo per intero, abbiamo consultato gli specialisti, Leonardo DiCaprio che studiava con me continuava a chiedersi “saremo all’altezza?”, Carey Mulligan prima di infilarsi nei vestiti di paillette leggeva le lettere che Scott Fitzgerald aveva scritto e poi tolto dal romanzo. Neanche quando aveva portato sullo schermo “Romeo e Giulietta” di Shakespeare si era fatto tanti problemi.

    Gli anni lo hanno fatto diventare timido. Sa ancora lavorare di effetti fantascientifici trasportando lo spettatore a gran velocità dalla lussuosa villa di West Egg a Manhattan. Sa ancora spendere un budget da oltre cento milioni di dollari, che sullo schermo si vedono tutti. Sa ancora fregarsene dell’età del jazz, e commissionare una magnifica colonna sonora che va da Jay-Z a Beyoncé, passando da Lana Del Rey a Florence + the Machine. Ma non toglie neppure un “vecchia lenza” (“old sport” nell’originale): l’intercalare di Gatsby che piaceva tanto al giovane Holden, e che rimane anche nella traduzione di Tommaso Pincio (non osiamo pensare cosa ne farà il doppiaggio italiano). Innamorato devoto, fedelissimo al romanzo, non fa al Grande Gatsby l’onore di riscriverlo, se non per qualche inquadratura audace e per la cornice. Leonardo DiCaprio e Carey Mulligan sono bellissimi, e certo non vogliamo indietro i velatini sul volto di Mia Farrow e Robert Redford, nel film diretto da Jack Clayton nel 1974. Due ore e mezzo di Baz Luhrmann, anche con il freno a mano tirato, sono comunque un gran bello spettacolo. Ma uno che ci ha viziati mettendo insieme nelle soffitte di Parigi Bollywood e Toulouse-Lautrec, l’assenzio e la fata Campanellino di Peter Pan, poteva sfoderare più coraggio.

    “Trimalchio in West Egg” era il titolo scelto da Francis Scott Fitzgerald per il suo romanzo, con riferimento al “Satyricon” e alla cena di Trimalcione (l’editore disse che i lettori non avrebbero capito). Di cene e feste racconta anche Paolo Sorrentino in “La grande bellezza”, di cui non possiamo scrivere fino alla presentazione in concorso perché abbiamo firmato un embargo. Vale solo per i critici italiani: nel numero uscito sabato scorso il mensile Première lo ha celebrato come un capolavoro, quattro stelle su quattro e uno “scusi, Nanni” in italiano nel testo, a segnalare che il regista del “Divo” gira meglio del regista del “Caimano”.
    Travolto dall’ondata delle feste kitsch, lo chef Christian Sinicropi dell’hotel Martinez ha preparato per la cena della giuria un menu speciale in onore del presidente Steven Spielberg. Antipasto ispirato a “Lincoln”, anzi a un campo di battaglia: barbabietole, sardine arrotolate a palla di cannone, ceci tostati. Piatto principale, un terra-mare che omaggia “Lo squalo” e “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. Dessert: una sfera spaziale illuminata dall’interno, si spera commestibile.