Renzi e l'imposizione di una leadership. Ecco come il Pd prova a sconfiggere il tabù del carisma

Claudio Cerasa

“Sì sì, bravi, voi continuate pure a occuparvi di congresso, ma non lo vedete che nel Pd sta succedendo una cosa storica per la sinistra?”. A una settimana esatta dall’elezione di Guglielmo il Traghettatore Epifani alla guida provvisoria del Partito democratico le notizie ci dicono che all’interno del Pd la situazione è più liquida e più in movimento rispetto a quanto in molti vogliano far credere. E anche se nei prossimi giorni continueranno a fioccare le discese in campo per il prossimo congresso la verità è che fino a quando Matteo Renzi non deciderà che cosa fare tutto sarà complicato da decifrare e tutti (in primis i big) saranno molto prudenti sia nel mostrare le proprie carte sia nel mostrare la propria preferenza per questo o quell’altro candidato.

    “Sì sì, bravi, voi continuate pure a occuparvi di congresso, ma non lo vedete che nel Pd sta succedendo una cosa storica per la sinistra?”. A una settimana esatta dall’elezione di Guglielmo il Traghettatore Epifani alla guida provvisoria del Partito democratico le notizie ci dicono che all’interno del Pd la situazione è più liquida e più in movimento rispetto a quanto in molti vogliano far credere. E anche se nei prossimi giorni continueranno a fioccare le discese in campo per il prossimo congresso la verità è che fino a quando Matteo Renzi non deciderà che cosa fare tutto sarà complicato da decifrare e tutti (in primis i big) saranno molto prudenti sia nel mostrare le proprie carte sia nel mostrare la propria preferenza per questo o quell’altro candidato. Ecco. Questo per quanto riguarda le notizie, e la cronaca. Ma oltre alle notizie e oltre alle polemicucce congressuali, bisogna dire che all’interno del nuovo Pd è in corso una rivoluzione culturale che riguarda un tema che finora è stato uno dei grandi tabù della vita recente della sinistra italiana: il tabù del carisma. L’improvvisa uscita di scena di Bersani e la trasformazione di Renzi nel possibile futuro salvatore della patria ha costretto infatti il Pd a fare i conti con l’accettazione di un principio, legato alla figura della leadership, che durante la campagna elettorale era stato sempre negato e a volte anche ripudiato dalla vecchia classe dirigente. Bersani, ricorderete, sul solco di una vecchia tradizione socialdemocratica, è stato il teorico della necessità assoluta, per un partito di sinistra attento ai temi della “ditta” e della “collegialità”, di avere un modello di leadership tiepido, misurato, moderato e profondamente alternativo rispetto al modello muscoloso, passionale ed enfatico fatto proprio da quei leader (come Renzi) che vedono invece nella figura di un capo forte un valore aggiunto irrinunciabile per un partito che ha l’ambizione di governare il paese. Con il sostanziale passaggio di testimone da Bersani a Renzi, nel Pd, anche per digerire il trauma del passaggio, è andata però in scena una inconfessabile seduta di autocoscienza collettiva sul tema della leadership. E il risultato è che oggi all’interno del Partito democratico il paradigma si è completamente capovolto; e tranne rarissimi casi adesso è quasi impossibile trovare qualcuno che non riconosca un principio elementare: che oggi per vincere le elezioni la forza del leader è più importante della forza della ditta; che il carisma del capo non può più essere inteso solo come un riflesso del carisma del partito; e che in fondo il solo e unico modo per provare a vincere le elezioni e governare con le proprie forze è quello di sperimentare quella leadership muscolare, enfatica e passionale che fino a qualche tempo fa veniva considerata dalla stragrande maggioranza del Pd una semplice e banale declinazione del populismo berlusconiano.

    Quell’improvviso cambio di paradigma
    Oggi, seppure alla fine di un processo traumatico, le cose sono cambiate: e il fatto stesso che siano sempre di meno gli svenimenti registrati a Largo del Nazareno (sede Pd) di fronte alla prospettiva che un domani a guidare la sinistra sia un leader carismatico dimostra che è in corso una metamorfosi che, come spiega al Foglio un esponente del governo che si trova a metà strada tra il sindaco di Firenze, il presidente del Consiglio e l’ex segretario del Pd, forse vale la pena di approfondire. “C’è poco da girarci intorno – dice Lapo Pistelli, deputato del Pd e viceministro degli Esteri – il modello Bersani era un modello che faceva perno sulle risorse interne, sia nella ricerca dei voti sia nella ricerca di volti utili a rappresentare il Pd, e che vedeva nella perfetta organizzazione del partito un grande e formidabile strumento di competenza e di consenso. Oggi nel nostro partito è invece in atto un fenomeno opposto che sta spingendo il Pd su un percorso alternativo a quel modello”. In che senso? “Nel senso – continua Pistelli, che alle primarie ha sostenuto Bersani ma che è anche amico fraterno di Letta e maestro politico di Renzi – che quello che abbiamo imboccato è un percorso che ci porterà a far nostro un concetto che finora è stato considerato, diciamo così, ‘di destra’: la necessità di avere un leader che sia più forte dello stesso partito e che magari abbia anche un carattere extraterritoriale rispetto ai confini del Pd. Essere ‘figli dell’apparato’, insomma, non è più un’esigenza prioritaria e anzi il profilo di una persona che abbia un suo marcato appeal fuori dal nostro recinto mi sembra sia diventata una prerogativa importante. Ecco, la dico grossa: è vero che il Pd è pieno di problemi e vive una fase complicata ma in tutto questo bisogna registrare che i nostri militanti e i nostri dirigenti mi sembra si stiano convincendo di una cosa semplice: che sul tema della leadership non si può fare a meno di avere nel proprio corpo una piccola trasfusione di sangue. E dunque mettetela come volete, ma mentre voi vi occupate di polemiche precongressuali sappiate che nel Pd sta succedendo una cosa storica: per la prima volta la sinistra sta facendo i conti con il complesso del tiranno, e sinceramente non mi pare poco”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.