Consigli a Berlusconi per ripubblicare un manualetto di “gentiluomeria”
Se non erro Silvio Berlusconi possiede una casa editrice e, a voler dargli un consiglio spassionato, potrebbe utilizzarla con una botta di fantasia e di allegria non solo per burlarsi di mille pandetti della Boccassini ma anche per difenderci dall’inondazione di rutilanti Concite De Gregorio e Serene Dandine, di pugnaci Michele Murge e Loredane Lipperine, di acide epistole partigiane delle Natalie Aspesi e Marie Laure Rodotà. D’altronde, per fare un po’ di controcultura, i libri non serve leggerli, basta pubblicarli; oppure ripubblicarli, come sarebbe il caso di fare con “Lo zio Gustavo e le donne” di Tom Antongini.
Buttafuoco Salone che bellezza
Se non erro Silvio Berlusconi possiede una casa editrice e, a voler dargli un consiglio spassionato, potrebbe utilizzarla con una botta di fantasia e di allegria non solo per burlarsi di mille pandetti della Boccassini ma anche per difenderci dall’inondazione di rutilanti Concite De Gregorio e Serene Dandine, di pugnaci Michele Murge e Loredane Lipperine, di acide epistole partigiane delle Natalie Aspesi e Marie Laure Rodotà. D’altronde, per fare un po’ di controcultura, i libri non serve leggerli, basta pubblicarli; oppure ripubblicarli, come sarebbe il caso di fare con “Lo zio Gustavo e le donne” di Tom Antongini. Uscito da Mondadori nel 1958, ossia in tempi del tutto non sospetti, e introvabile da mezzo secolo se non sulle bancarelle dove le vecchie copie in brossura si sfaldano alla prima sottolineatura, il libro è un breviario delle massime di questo zio Gustavo, vecchietto lubrico “femminista convinto, oserei dire quasi arrabbiato ma (e se questo dovesse dispiacere alle donne generalmente brutte che si occupano di diritti politici, poco importa) unicamente dal punto di vista sessuale”. Antongini era segretario di D’Annunzio e conosceva il mondo della “gentiluomeria”, un mondo fantastico popolato di dattilografe che non sanno battere a macchina, in cui “un bel seno vale per una signorina il doppio di una laurea universitaria e cinque volte almeno un diploma di abilitazione all’insegnamento”, in cui le donne ammettono che la logica non è il loro forte (Aristotele era maschio) e in cui la signora che si occupi di affari di stato è apprezzabile al pari di “quegli uomini che sanno lavorare all’uncinetto e fare la calza”.
Contro l’ideologia del “non poteva non scopare” lo zio Gustavo sarebbe un avvocato perfetto per il genere maschile, mosso dalla convinzione che “il programma degli autentici moralisti è sempre ed unicamente negativo: consiste cioè nel voler abolire nell’esistenza tutto ciò che all’uomo può far piacere: l’amore, il bello, la fantasia, i profumi, la generosità, la gaiezza dello spirito, l’armonia, l’eleganza”; volte a sbugiardare chi “identifica la morale con la condotta sessuale”, le duecento pagine di arringa dello zio Gustavo si fondano sul presupposto che “se è permesso secondo le leggi dello stato di disporre dei proprii beni, a più forte ragione deve essere lecito disporre sempre e in qualsiasi momento, secondo le leggi della natura, del proprio corpo”. Di qui una gragnola di corollari: contrario al lavoro femminile, alla fecondazione assistita e all’educazione sessuale, muovendosi disinvolto sul crinale della distinzione fra “femmes comme il faut” e “femmes comme il en faut”, lo zio patrocina le pari opportunità (ma solo per la donna brutta, che “non appartiene al sesso femminile che di nome, perciò bisognerebbe accordarle la piena parità con gli uomini, non escluso il servizio militare obbligatorio”), propone di moralizzare governativamente gli spettacoli di striptease eseguendoli con l’inno nazionale in sottofondo e cerca di lanciare uno sguardo benevolo verso quelle situazioni di confine “nelle quali il codice non va del tutto d’accordo con le concessioni della nostra coscienza”. Contro il sospetto di furbizia orientale cita Trilussa: “La donna che ha bisogno de baiocchi / spalanca la manina e chiude l’occhi”. Presagisce addirittura il reato di stalking col caso dell’agente che, alla provocante signora che lamenta di essere seguita da un’ora, risponde scusandosi di non poter fare altrimenti trovandosi in servizio. Culmina nel vecchio diplomatico al quale fu chiesto se facesse ancora l’amore: “Non lo faccio più, lo compero bell’e fatto”.
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