Il machete, l'islam e Notre Dame

Nicoletta Tiliacos

Due neri di “apparenza islamica” hanno barbaramente ucciso con un machete e scaraventato in mezzo alla strada a Woolwich, south London, un soldato britannico. Ieri, alle 8 circa ora di Londra. Un video ITV mostra uno degli agressori, che sono poi stati feriti e catturati e ora sono ricoverati in ospedale, mentre gridava con fare pazzo e fanatico queste parole: “Giuriamo in nome di Allah onnipotente che non smetteremo mai di combattervi”.  L'altro ieri a Notre Dame de Paris un intellettuale travolto dalla passione in difesa della sua nozione di occidente e di Europa, protagonista di polemiche antislamiche accese, si è sparato nella cattedrale come testimonianza di disperazione.

    Due neri di “apparenza islamica”, secondo fonti di Whitehall, hanno barbaramente ucciso con un machete e scaraventato in mezzo alla strada a Woolwich, south London, un soldato britannico. Ieri, alle 8 circa ora di Londra. Un video ITV mostra uno degli agressori, che sono poi stati feriti e catturati e ora sono ricoverati in ospedale, mentre gridava con fare pazzo e fanatico queste parole: “Giuriamo in nome di Allah onnipotente che non smetteremo mai di combattervi. Mi spiace che donne abbiano dovuto assistere a questo che è accaduto, ma nella nostra terra ci sono donne che devono assistere a simili cose. Voi non sarete mai sicuri. Rovesciate i vostri governi, non hanno cura di voi”.  L’altro ieri a Notre Dame de Paris un intellettuale travolto dalla passione in difesa della sua nozione di occidente e di Europa, protagonista di polemiche antislamiche accese, si è sparato nella cattedrale come testimonianza di disperazione.

    La decapitazione a colpi di machete di un soldato britannico, aggredito ieri sera in un quartiere a sud-est di Londra, in Woolwich street, al grido di “Allaha Akbar”, da due giovani che incitavano i testimoni a riprendere la scena, il sangue, il terrore, segue di un solo giorno il suicidio-manifesto nella cattedrale di Notre Dame di Dominique Venner, l’intellettuale francese della destra tradizionalista che ha voluto così “risvegliare le coscienze assopite”, ha lasciato scritto, mentre l’Europa e l’occidente si arrendono all’annientamento, rappresentato ai suoi occhi dal matrimonio gay ma soprattutto dagli islamisti “invasori”. E in una vicenda come quella di Venner, tutta giocata sui registri simbolici, è fin troppo facile interpretare l’atto terroristico avvenuto a Londra come la conferma di un punto critico che è già sotto gli occhi dell’occidente europeo.
    L’esegesi di un suicidio, e quello di Venner non fa eccezione, è un esercizio sempre azzardato. Lo è anche quando sembra tutto chiaro, perché il protagonista ha voluto lasciare dietro di sé dettagliate spiegazioni. “Si spara a Notre Dame per protesta contro le nozze gay”, abbiamo letto ovunque. Settantottenne intellettuale francese appartenente alla destra tradizionalista, giovinezza da parà in Algeria e nell’Oas (che gli costò diciotto mesi di prigione nel 1961) e poi una vita consacrata agli studi storici, nella convinzione che la battaglia identitaria delle idee potesse fare a meno della politica militante, Venner ha scritto più di cinquanta libri. Alcuni di grande successo, come il “Dictionnaire amoureux de la Chasse”, edito da Plon. In un’altra opera in undici volumi sulle armi da caccia, Venner ha riversato i frutti di una grande passione, testimoniata dalla silhouette di un cervo – sacro ad Artemide cacciatrice e simbolo di Re Artù – unica immagine a campeggiare sulla home page del suo sito.
    Per spararsi un colpo di pistola in bocca, Venner ha scelto l’altare della più santa chiesa di Francia, la cattedrale parigina di Notre Dame: alle quattro del pomeriggio di un martedì di maggio, in mezzo a centinaia di visitatori. Poche ore prima, aveva mangiato con tutti gli amici e i colleghi di Radio Courtoisie (“la radio libera del paese reale e della francofonia”), dove teneva una rubrica settimanale. L’ultimo incontro intorno a una virtuale Tavola rotonda, che già ha il sapore di un solenne addio, visto che a uno di loro, Bernard Lugan, Venner ha consegnato, perché la leggesse pubblicamente dopo la sua morte, una copia della lettera che poi poserà sull’altare di Notre Dame: “Sono sano di corpo e di mente – scrive Venner – colmo d’amore per mia moglie e i miei figli. Sento il dovere di agire mentre ne ho ancora la forza. Credo sia necessario sacrificarmi per rompere la letargia che ci abbatte. Ho scelto un luogo altamente simbolico, che rispetto e ammiro. Il mio gesto incarna un’etica della volontà, mi do la morte per risvegliare le coscienze assopite. Mentre difendo l’identità di ogni popolo nella sua terra, mi ribello al crimine che ha per obiettivo di sostituire il nostro popolo. Chiedo perdono a tutti coloro che soffriranno per la mia morte. Troveranno nei miei scritti la prefigurazione e le spiegazioni del mio gesto”.

    L’amico editore Pierre-Guillaume de Roux, intervistato dalla France Presse, ha raccontato di averlo sentito pochi giorni fa, per parlare dell’uscita, a giugno, del suo ultimo libro, “Un samurai d’occidente, il breviario dei Ribelli”. E ha detto che gli sembra riduttivo interpretare il gesto di Venner come protesta contro il “mariage pour tous” introdotto in Francia dalla legge Taubira. Lo stesso Venner, in un post pubblicato il giorno prima di morire, scriveva, a proposito della manifestazione degli oppositori alla legge convocata per domenica, che “i manifestanti del 26 maggio avranno ragione a gridare la loro impazienza e la loro collera. Una legge infame, una volta approvata, può sempre essere abrogata. Ho appena ascoltato un blogger algerino: ‘In ogni modo – diceva – nel giro di quindici anni gli islamisti saranno al potere in Francia e abrogheranno quella legge’. Non per farci piacere, è chiaro, ma perché è contraria alla sharia (la legge islamica). E’ il solo punto superficialmente in comune tra la tradizione europea (che rispetta la donna) e l’islam (che non la rispetta). Ma l’affermazione perentoria di quell’algerino mi ha fatto rabbrividire. Le sue conseguenze sarebbero immani e catastrofiche, tanto quanto la detestabile legge Taubira. Dobbiamo renderci conto – proseguiva Venner – che una Francia in mano agli islamisti fa parte delle probabilità. Da più di quarant’anni, i politici e i governanti di tutti i partiti (a eccezione del Front national), così come il sindacato e la chiesa, vi hanno attivamente lavorato, accelerando in ogni modo l’immigrazione afro-magrebina”. E allora secondo lui “i manifestanti del 26 maggio non possono ignorare questa realtà. La loro lotta non può limitarsi al rifiuto del matrimonio gay. La ‘grande sostituzione’ di popolazione in Francia e in Europa, denunciata dallo scrittore Renaud Camus, è un pericolo altrettanto catastrofico per il futuro. Non sarà sufficiente organizzare gentili manifestazioni per impedirlo”.
    Venner ha organizzato, come gesto dimostrativo e come personale via d’uscita da una contraddizione per lui inaccettabile (come condividere con gli “afro-magrebini” invasori anche solo l’idea di famiglia tradizionale?), qualcosa di assai poco gentile. Un gesto “spettacolare e simbolico”, come egli stesso ha suggerito, e per eccellenza anti cristiano: in un tempio cristiano, presso l’altare dove i fedeli si comunicano e i ribelli alla Jünger come lui – che Ernst Jünger lo ha conosciuto e frequentato – non temono di darsi la morte, facendo scorrere il sangue (il proprio) come su un’antica ara sacrificale. Un gesto da pagano fiero e risentito, una consacrazione à rebours di un luogo che Venner ha detto nella sua ultima lettera di rispettare – e in punto di morte si è sinceri – ma che riteneva anche simbolo di una disfatta, baluardo ormai impotente a difendere l’identità francese ed europea. In un altro post, una settimana fa, sempre a proposito della “primavera francese” contro le nozze gay, Venner scriveva: “I manifestanti, spesso molto giovani, non sono omogenei. Per una parte sono borghesi cattolici non-violenti, usciti dalle Giornate mondiali della gioventù, sedotti dai nuovi discorsi tolleranti della chiesa in materia di amore coniugale. I loro referenti sono Gandhi e Martin Luther King… Ma, per un’altra parte, sono giovani identitari mobilitati dal dinamismo insolente delle manifestazioni. Il futuro dirà quale componente prevarrà sull’altra, per vitalità e determinazione”.
    Esattamente un mese fa, il 23 aprile, Venner aveva dedicato un articolo al quadro di Dürer intitolato “Il cavaliere, la morte e il diavolo”. Il cavaliere, scriveva, è “il più celebre ribelle dell’arte occidentale”. E’ colui che cavalca “verso il suo destino, senza paura e senza supplicare, incarnazione di una figura eterna in questa parte del mondo chiamata Europa”. Voglio essere sempre quel cavaliere, confessava Venner, e sempre ribellarmi a chi vuole “la morte dell’Europa, la nostra civiltà millenaria, senza la quale non sarei nulla”. E’ tutta qui, in una confessione più malinconica che eroica, la parabola di Venner, padre suicida di cinque figli e nichilista per eccesso di identità.