Presto, una copia del Monde per Obama

Daniele Raineri

Ieri il Monde ha pubblicato in prima pagina un’inchiesta sugli attacchi chimici del governo siriano nella guerra contro i ribelli. Si tratta di un reportage importante perché è la prima testimonianza diretta da parte di giornalisti occidentali sull’uso di armi chimiche in Siria – l’Amministrazione Obama ha detto che questo comportamento da parte del governo Assad potrebbe essere la causa scatenante di un intervento armato internazionale, anche se appare riluttante a dare seguito a questo ammonimento. Si tratta anche di un pezzo di giornalismo rischioso da realizzare – per farlo il quotidiano francese ha mandato il giornalista Jean-Philippe Rémy e il fotografo Laurent Van der Stockton in clandestinità per due mesi nella zona dei combattimenti attorno e dentro Damasco.

    Ieri il Monde ha pubblicato in prima pagina un’inchiesta sugli attacchi chimici del governo siriano nella guerra contro i ribelli. Si tratta di un reportage importante perché è la prima testimonianza diretta da parte di giornalisti occidentali sull’uso di armi chimiche in Siria – l’Amministrazione Obama ha detto che questo comportamento da parte del governo Assad potrebbe essere la causa scatenante di un intervento armato internazionale, anche se appare riluttante a dare seguito a questo ammonimento. Si tratta anche di un pezzo di giornalismo rischioso da realizzare – per farlo il quotidiano francese ha mandato il giornalista Jean-Philippe Rémy e il fotografo Laurent Van der Stockton in clandestinità per due mesi nella zona dei combattimenti attorno e dentro Damasco, che è molto difficile da raggiungere per la maggior parte dei reporter stranieri (a meno che non siano embedded con i soldati del governo). Nemmeno il lunedì scelto per la pubblicazione è un giorno qualunque: ieri l’Unione europea era chiamata a decidere sul rinnovo del divieto comunitario di armare i ribelli. Francia e Gran Bretagna sostengono la necessità di non rinnovare il divieto quando scadrà a fine mese e di aiutare con armi i ribelli, soprattutto se la prossima conferenza di pace di Ginevra fallirà come già accadde l’anno scorso, com’è prevedibile per i tanti disaccordi.

    Il Monde spiega che l’esercito siriano ha un modo di agire molto accorto e non esegue attacchi chimici spettacolari e su larga scala – come forse immaginava il presidente americano Barack Obama quando parlò di “linea rossa” – ma piuttosto localizzati e di portata ridotta. Per esempio un singolo proiettile di mortaio contenente gas, che colpisce il suolo con un rumore che si perde facilmente nel frastuono della battaglia, come “di un colpo che non è esploso”, oppure “una lattina di Pepsi buttata per terra”. Il gas è inodore e incolore, non c’è fumo, non c’è un fischio di fuoriuscita, ci si accorge della sua presenza “soltanto quando è troppo tardi” e i ribelli colpiti accusano i sintomi: soffocamento, svenimenti, tosse violenta, vomito, occhi arrossati, pupille contratte. “I muscoli della respirazione non funzionano più e se non interveniamo noi – dice al Monde un medico siriano che cura i ribelli e vuole restare anonimo – chi è colpito muore”, come in effetti succede a molte vittime.

    Questo tipo di attacchi è diventato quasi routine nella zona di Jobar, da dove passa la linea dei combattimenti tra i ribelli che tentanto di entrare nella capitale Damasco e i soldati dell’esercito governativo. L’uso del gas è tattico, è lanciato in punti specifici quando l’esercito vuole fermare i movimenti dei ribelli o sloggiarli da una posizione troppo avanzata. I due reporter sottolineano questo elemento di lenta “normalizzazione” della guerra chimica. I ribelli usano maschere antigas – ma ne hanno poche a disposizione, quindi chi non l’ha si protegge con sciarpe umide o mascherine di carta ospedaliere – e si portano dietro le siringhe di atropina, un antidoto contro le armi chimiche.  Anche il fotografo del Monde è rimasto vittima di uno di questi attacchi e per quattro giorni ha sofferto di vista oscurata.

    Alcuni campioni del gas usato dai soldati di Assad sono stati mandati a laboratori specializzati fuori dalla Siria per essere analizzati: dal solo reportage è quasi impossibile identificare la sostanza, anche perché secondo gli esperti il governo potrebbe aver creato una miscela con gas antisommossa e lacrimogeni per confondere le acque e l’osservazione dei sintomi, anche se il Monde scrive che “non sono lacrimogeni, è un composto di una classe diversa, molto più tossica”. Tre particolari spiccano: almeno in un caso, che i due inviati però non hanno visto direttamente, il gas è stato lanciato da militari che indossavano tute di protezione; i medici delle cliniche clandestine siriane usano iniezioni di atropina; il gas è persistente, nel senso che contamina chi entra in contatto con le vitime e anche alcuni dottori hanno sofferto i sintomi. In particolare, secondo le tabelle delle caratteristiche delle armi chimiche, l’atropina e la persistenza sono compatibili con qualche gas nervino (non per esempio con il sarin che si disperde facilmente).

    Il Monde si rende conto delle implicazioni della sua inchiesta e la accompagna con un editoriale che tenta di diluirne il contenuto: “Questa non è la prova definitiva dell’uso di armi chimiche”, e anche il ministro della Difesa francese ha commentato con parole caute: “Ci sono sospetti crescenti”, ha detto. Difficile non notare, però, che se ci sono morti causati deliberatamente da armi chimiche allora si può dire che tecnicamente Assad ha cominciato la “Guerre chimique en Syrie”, che è il titolo dell’inchiesta del Monde.

    Artiglieria, aerei, missili Scud, gas…
    Questa graduale, progressiva introduzione delle armi chimiche nella lotta tra governo e ribelli in Siria è stata spiegata efficacemente su Foreign Policy da Joseph Holliday, analista dell’intelligence militare americana poi passato a un think tank solitamente rigoroso, l’Institute for the Study of War. Holliday descrive la “mitridatizzazione” dell’opinione pubblica da parte del governo Assad – sul modello di Mitridate, che per paura di morire avvelenato ogni giorno ingeriva una dose piccola, ma sempre crescente, di veleno. In questo modo il suo organismo si abituava. Così avviene con  Assad, la comunità internazionale e l’opinione pubblica. Quando Damasco non è più riuscita a sloggiare i ribelli dalle loro posizioni con i soldati, ha impiegato l’artiglieria; quando ha compreso di non riuscire a coprire tutto il territorio nazionale con i soldati, ha cominciato a usare anche l’aviazione e i bombardamenti; quando i ribelli hanno usato armi antiaeree e hanno attaccato le piste, ha cominciato a lanciare i missili balistici. Ogni passaggio di questa escalation è stato eseguito prima in forma esplorativa e poi – grazie al silenzio assenso occidentale – e poi senza più alcun freno. Il regime, scrive Holliday, si è specializzato nell’incrementare la repressione senza far scattare l’intervento internazionale “e a ogni gradino la retorica vuota di Washington – ‘condanniamo con forza’ – ha convalidato questo approccio”.
    L’editoriale del Monde chiede anche se è davvero così difficile per le intelligence occidentali confermare o smentire gli attacchi di Assad con le armi chimiche, considerato il lavoro sul campo dei suoi due reporter non specializzati. Anche il senatore americano John McCain è entrato in Siria – ne ha dato notizia ieri il suo ufficio – per incontrare i ribelli, che gli hanno domandato armi e l’imposizione di una no fly zone. Prima di lui era già entrato assieme ai ribelli l’ex ambasciatore americano a Damasco, Robert Ford.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)