Disillusione grillina (pubblica e privata). La parabola di Salvo Mandarà
“Lascia Grillo o solo il paese?”. Lì per lì diventa un giallo, la storia dell'illusione-disillusione di Salvo Mandarà, l'ingegnere in aspettativa tramutatosi in cameraman per caso durante lo Tsunami tour e assurto a simbolo del grillismo – l'uno-vale-uno che diventava qualcuno restando uno dei tanti, il soldato semplice che dal tinello parlava con entusiasmo senza crepe, auto-inquadrandosi a tutto campo, con cuffie enormi ed enormi occhiali, e dal camper o dal palco riprendeva pause e comizi, onnipresente e spesso silente, dinoccolato nella neve e nel cappotto troppo largo.
“Lascia Grillo o solo il paese?”. Lì per lì diventa un giallo, la storia dell’illusione-disillusione di Salvo Mandarà, l’ingegnere in aspettativa tramutatosi in cameraman per caso durante lo Tsunami tour e assurto a simbolo del grillismo – l’uno-vale-uno che diventava qualcuno restando uno dei tanti, il soldato semplice che dal tinello parlava con entusiasmo senza crepe, auto-inquadrandosi a tutto campo, con cuffie enormi ed enormi occhiali, e dal camper o dal palco riprendeva pause e comizi, onnipresente e spesso silente, dinoccolato nella neve e nel cappotto troppo largo. Ma ora, a entusiasmo spento, seppure “senza alcuna tensione con Beppe”, Mandarà vuole emigrare. Si dimette dalla lotta e dall’incantesimo, per motivi anche molto privati (problemi con la scuola del figlio; sfiducia nelle istituzioni locali) ma con parole anche molto pubbliche: sono stanco, dice, mentre parla in video dell’insostenibile pesantezza del vivere in un “paese di merda” con gente in gran parte “di merda” che l’ha “illuso” di essersi svegliata, a febbraio, quando ha votato in massa il M5s, e l’ha disilluso oggi (“solo uno o due milioni”, forse, s’erano destati, gli altri si erano solo “girati dall’altra parte” nel sonno). Sono un vigliacco ma non ce la faccio, dice, incarnando improvvisamente, e forse suo malgrado, lo smarrimento dei tanti soldati semplici disorientati dal grillismo che arranca nei numeri e nelle prospettive (voci di scissione negate ma persistenti). “Sono estremo” e “se resto disilluso da qualcosa mollo”, dice Mandarà, pur assicurando che i risultati elettorali “sono solo la goccia”. Poi racconta di un’altra goccia: due giorni fa ha intervistato un romano “contento di avere Napolitano come presidente per la seconda volta”, e per lui, Mandarà, è stato troppo. “Come si fa a essere contenti?”, si è chiesto, dicendosi pronto a rispondere del “reato di vilipendio” e ad affrontare querele per le accuse ai politici “mafiosi” (“chiederò asilo politico” all’estero, annuncia). Alla fine si capisce che il mistero non c’è – Mandarà vuole lasciare l’Italia e non il M5s e anzi si iscriverà a un meet-up a Monaco di Baviera. Non c’è mistero, ma è uguale: l’icona dello “tsunami” che tutto voleva cambiare ha deciso che se ne va perché chissà quanto tempo ci vuole, per cambiare (“auguro all’Italia che questo carro sia quello del vincitore”, dice, ma la speranza latita, ché “sono troppi gli italiani collusi, delinquenti, ignoranti”). La fede nella non-politica galleggia senza più energia mentre Grillo, dal blog, insiste sulla linea purista: non solo ha sbagliato voto chi ha votato M5s pensando poi all’accordo col Pd, ma anche chi è stato eletto con il M5s e vuole accordarsi col Pd può “avviarsi alla porta”.
Intanto la storia anche privata di Mandarà diventa pubblica: l’ex cameraman per caso è travolto dai commenti su siti e social network. Nessuno dice traditore, anzi: sull’onda dello sconforto generale per i risultati elettorali che Grillo continua a descrivere con la lente ottimista (propagandistica?) del “non abbiamo fretta”, quando fino a poco fa gridava dai palchi che l’Italia era a un minuto dall’abisso, la parabola del grillino semplice prescelto che un giorno si toglie le cuffie da “sempre connesso” con il popolo della rete e sceglie l’eclissi diventa una piccola catarsi collettiva. Tanti gli scrivono “ti capisco”, “condivido”, “farei come te”. Tanti vanno fuori tema e scrivono a lui perché Grillo intenda: “La gente di sera guarda la tv, bisogna andarci”; “invadiamo il sistema dall’interno, non dovevamo essere un virus?”. E, nello sconforto, il grido particolare si fa grido universale.
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