Non perda tempo, ministro Bonino
Victor Davis Hanson, che è un esperto di storia militare, ha cercato di spiegare ieri sul Wall Street Journal perché alcune guerre sono tanto efferate, perché la guerra in Siria è così barbara, come dimostra il famoso video del mangiatore di cuore (che poi era un polmone, e nessuno l’ha mangiato; che poi i massacri delle forze del regime, i corpicini accatastati e buttati negli angoli delle strade sono ben più barbari, e ben più frequenti). Hanson spiega che la storia delle guerre è disseminata di episodi barbarici, inutilmente efferati, e poi precisa: “Il prolungamento dei combattimenti è un modo sicuro per ritrovarsi con cicli brutali di violenza”: più passa il tempo più la soglia di violenza si alza.
Victor Davis Hanson, che è un esperto di storia militare, ha cercato di spiegare ieri sul Wall Street Journal perché alcune guerre sono tanto efferate, perché la guerra in Siria è così barbara, come dimostra il famoso video del mangiatore di cuore (che poi era un polmone, e nessuno l’ha mangiato; che poi i massacri delle forze del regime, i corpicini accatastati e buttati negli angoli delle strade sono ben più barbari, e ben più frequenti). Hanson spiega che la storia delle guerre è disseminata di episodi barbarici, inutilmente efferati, e poi precisa: “Il prolungamento dei combattimenti è un modo sicuro per ritrovarsi con cicli brutali di violenza”: più passa il tempo più la soglia di violenza si alza.
Il tempo è uno degli elementi cruciali della crisi siriana, e quando il nostro ministro degli Esteri, Emma Bonino, dice in un’intervista a Repubblica che prima di fare qualsiasi cosa – dare armi ai ribelli, per esempio – bisogna aspettare l’esito della conferenza di Ginevra, che ieri è stata fissata per il 5 giugno, regala tempo al regime di Bashar el Assad, alla brutalità del regime di Bashar el Assad. Il tempo sta dalla parte di Damasco, non dei ribelli. Il tempo sta dalla parte della Russia, dell’Iran, di Hezbollah, non dei paesi occidentali o di quelli che, nella regione, sostengono la lotta contro il regime. Il tanto atteso vertice di Ginevra della prossima settimana arriva a un anno quasi esatto da un altro vertice di Ginevra, che era identico a questo per molti versi, soprattutto per gli obiettivi – “soltanto la diplomazia può fermare le armi”, dice oggi Bonino, ed è con lo stesso ritornello che gli interlocutori di allora si riunirono speranzosi a Ginevra – ma aveva premesse più rassicuranti di quelle attuali. Eppure fallì.
Allora, soltanto un anno fa, i morti in Siria erano circa 20 mila: oggi sono circa 100 mila. Allora la possibilità che il regime utilizzasse armi chimiche era remota: oggi ci sono le prove di attacchi chimici da parte di Damasco, anche se sembrano sempre insufficienti per determinare qualche cambiamento di strategia da parte dell’occidente. Allora l’infiltrazione delle forze di al Qaida tra i ribelli era un fenomeno relativamente recente e isolabile: Jabhat al Nusra, il gruppo jihadista che s’è appropriato della rivoluzione dei ribelli siriani, s’è formato nel gennaio del 2012. Allora – e forse questo è il dato più agghiacciante – Assad non avrebbe potuto presentarsi a Ginevra, sarebbe stato pericoloso per lui e inaccettabile per tutti. Il 5 giugno invece il rais potrebbe andare di persona – o perlomeno l’ipotesi è presa in considerazione – mentre l’opposizione al rais, quella ufficiale, quella che si è presa delle ramanzine tremende dall’ambasciatore francese in Turchia durante il vertice di Istanbul (sul Web ci sono i video) e si è irrimediabilmente divisa, a Ginevra non ci sarà.
L’obiettivo di un anno fa a Ginevra era lo stesso di oggi: fermare le violenze aiutando la formazione di un governo di transizione. Bonino ricorda che il suo collega russo, il signor-no Sergei Lavrov, e quello americano, il globetrotter John Kerry, si sono impegnati personalmente per questa conferenza, e che l’Europa è tenuta a sostenere questo sforzo. Ma Mosca non ha bisogno del sostegno di nessuno: questa conferenza di pace è già la “sua” conferenza di pace. I russi arrivano a Ginevra con una chiara supremazia sul campo, e se sarà presente anche la delegazione iraniana – come auspica il nostro ministro – si ritrovano con un alleato altrettanto radicato in Siria dal punto di vista militare. L’alleanza (che per essere al completo dovrebbe avere anche una rappresentanza di Hezbollah) è tanto più forte di noi che le manca soltanto di avere Assad lì, seduto di fianco, per dimostrare all’occidente, con un sorriso sprezzante da vincitore, quanto poco è efficace il suo mantra “Assad-se-ne-deve-andare” senza un qualche impegno sul campo.
Ma rifornire di armi i ribelli è affare pericoloso: anche gli inglesi, che si sono battuti lunedì scorso per non rinnovare l’embargo (da domani chi vuole fra i membri dell’Ue può inviare le armi: non s’è trovato un accordo, ognuno fa come vuole) aspetteranno il 1° agosto per qualsiasi azione, perché per allora l’Ue si è impegnata a presentare un rapporto dal quale si capirà come dare le armi ai ribelli “buoni”. Chissà se ad agosto ce ne saranno ancora, di ribelli “buoni”, o se al Qaida avrà occupato tutto lo spazio lasciato libero dall’inerzia occidentale. E chissà anche i fondamentalisti come saranno: i russi, gli iraniani, Hezbollah e Assad si stanno rafforzando, riconquistano terreno ogni giorno, ammazzano un centinaio di siriani ogni giorno. Il tempo sta dalla parte dei più efferati.
Raineri Cosa sappiamo di Hezbollah in Siria
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