DOMANI NEL FOGLIO

Attenti al Lupomanno

Alessandro Giuli

Gianni Alemanno passa di corsa alla redazione del Foglio e dice che non ha molto tempo a disposizione: “Sgomberiamo un campo nomadi, devo essere lì”. Un problema di Alemanno è che deve ritrovare i denti e, come dice lui, non c’è molto tempo a disposizione. Questo giornale voterà per lui e lo farà votare; ma l’intervistatore, che lo conosce bene e non ha fama di alemanniano (eufemismo), sa che il sindaco ha un solo modo per galvanizzare gli elettori e giocarsi la partita del cuore: tornare Lupomanno e fare a brandelli la letargia che lo circonda. Se l’alternativa è Ignazio Marino per cinque anni, e a quanto pare lo è, la nostra diventa necessariamente un’intervista faziosa ma non alemanniana: lupomanniana.

    Anticipiamo l'introduzione all'intervista di Gianni Alemanno che sarà pubblicata domani nel Foglio.

    Prologo. Gianni Alemanno passa di corsa alla redazione del Foglio e dice che non ha molto tempo a disposizione: “Sgomberiamo un campo nomadi, devo essere lì”. Oggi e domani si chiude la campagna elettorale per il Campidoglio e il sindaco uscente è costretto a inseguire al ballottaggio lo sfidante Ignazio Marino. A Roma tira una brutta aria, greve e manesca. Non si ricordano elezioni recenti così viziate dal rancore di piazza e dall’inimicizia tra contendenti (accorrono sempre come scarafaggi gli odiatori militanti e sperano di concimare le loro prossime rendite seminando sputi e insulti alla destra). Certo, cinque anni fa c’erano sempre i rom al centro della scena, Alemanno vinse in volata al secondo turno sospinto da fattacci di cronaca, dopoché un Francesco Rutelli in vantaggio e colto da accesso di superbia gli aveva riso in faccia: “Fossi in lui non mi presenterei al ballottaggio”. E infatti. Eppure nel 2008 si sapeva che a urne chiuse le armi del duello sarebbero state deposte, e con la garanzia di un governo in carica affidato a un Silvio Berlusconi apparentemente saldissimo. Oggi è un altro mondo, un’altra Capitale che per poco non ha portato i libri in tribunale e alla fine è ancora qui malgrado la crisi. Alemanno questa Roma l’ha guidata ma deve adesso rincorrerla palmo a palmo per ricordare quello che ha fatto nella sua sindacatura (senza riuscire a ben pubblicizzarlo), ma sopra tutto per rimediare a quello che non ha fatto ancora.

    Uno dei maggiori problemi di Alemanno è che deve vedersela con una città impigrita, rassegnata ad autogestirsi da decenni, ferita da squarci di degrado medievale e troppo indifferente per mobilitarsi senza uno choc. Il romano su due che al primo turno ha disertato le urne non l’ha fatto contro il sindaco, ma dopotutto non l’ha fatto nemmeno per favorire indirettamente Ignazio Marino, che resta per molti un forestiero incline all’estremismo, un allogeno della sinistra minoritaria che contrabbanda per eccellenza personale il vuoto ermetico nel quale naviga un Pd capitolino alla mercè dei gruppettari fanatizzati. Alemanno o no, il punto è che i romani conoscono la media irrilevanza dei poteri locali nell’epoca del centralismo europeo e degli esperimenti tecnocratici, ma potrebbero aver sottovalutato la iattanza del mediocre incisa nel sorriso faustiano di Marino, uno che cerca di trasformare il voto del prossimo fine settimana in una “liberazione dal nazifascismo”. Brutti fantasmi.

    Un altro problema di Alemanno è che deve ritrovare i denti e, come dice lui, non c’è molto tempo a disposizione. Questo giornale voterà per lui e lo farà votare; ma l’intervistatore, che lo conosce bene e non ha fama di alemanniano (eufemismo), sa che il sindaco ha un solo modo per galvanizzare gli elettori e giocarsi la partita del cuore: tornare Lupomanno e fare a brandelli la letargia che lo circonda. Se l’alternativa è Ignazio Marino per cinque anni, e a quanto pare lo è, la nostra diventa necessariamente un’intervista faziosa ma non alemanniana: lupomanniana.

    L'intervista completa sarà pubblicata nel Foglio di domani.