Salotti in cerca di soldi

Il capitalismo un po' squattrinato dei “patti di sindacato” s'incrina

Ugo Bertone

Tale è la ruggine che separa Marco Tronchetti Provera dall'ex alleato, Vittorio Malacalza, che non sono bastate tre notti e quattro giorni di trattative per limare tutti i dettagli del divorzio dei due gruppi lungo l'asse che da Gpi, attraverso Camfin, conduce al controllo del 26 per cento di Pirelli. Ieri, secondo indiscrezioni, l'accordo sarebbe però arrivato a conclusione in linea di massima. Si spera che entro l'apertura di Piazza Affari stamattina, la soluzione, già individuata, sarà ufficiale: a Tronchetti, assieme agli alleati di sempre (Massimo Moratti e la famiglia Acutis) e ai nuovi compagni di viaggio (il fondo Clessidra di Claudio Sposito, le banche Unicredit e Intesa Sanpaolo), andrà la proprietà delle azioni che gli garantiscono la quota in Pirelli.

    Tale è la ruggine che separa Marco Tronchetti Provera dall’ex alleato, Vittorio Malacalza, che non sono bastate tre notti e quattro giorni di trattative per limare tutti i dettagli del divorzio dei due gruppi lungo l’asse che da Gpi, attraverso Camfin, conduce al controllo del 26 per cento di Pirelli. Ieri, secondo indiscrezioni, l’accordo sarebbe però arrivato a conclusione in linea di massima. Si spera che entro l’apertura di Piazza Affari stamattina, la soluzione, già individuata, sarà ufficiale: a Tronchetti, assieme agli alleati di sempre (Massimo Moratti e la famiglia Acutis) e ai nuovi compagni di viaggio (il fondo Clessidra di Claudio Sposito, le banche Unicredit e Intesa Sanpaolo), andrà la proprietà delle azioni che gli garantiscono la quota in Pirelli. Ai Malacalza, invece, i quattrini che ricaveranno dalla vendita dei loro titoli Camfin (poco più di un quarto del capitale) all’offerta pubblica lanciata dalla nuova cordata. “Hanno fatto uno dei migliori affari di questi anni”, ha già sibilato pochi giorni fa in assemblea Tronchetti, ricordando gli 88 milioni versati dal gruppo genovese nel 2010 per partecipare al rilancio della Bicocca. La cifra, secondo i primi conteggi, potrebbe raddoppiare.

    Ma, al di là dei bisticci tra imprenditori, la pace ai piani alti della Bicocca è una nuova picconata a una delle istituzioni più resistenti del capitalismo di casa nostra: i patti di sindacato tra i membri di quell’esclusivo club che ai tempi del banchiere Enrico Cuccia suonava come “il salotto buono”. E’ facile infatti, quasi scontato, che i nuovi assetti in Camfin accelereranno la fine anticipata del patto di sindacato in Pirelli, rinnovato per un anno solo (invece dei consueti tre) fino all’aprile 2014 su insistenza di Allianz, Generali e di Fonsai, tre compagnie che per motivi diversi vogliono avere le mani libere. Anche in Rcs che edita il Corriere della Sera la fine del patto sembra questione di settimane, se non di mesi. La partita si intreccia con l’aumento di capitale del gruppo editoriale, approvata con maggioranza bulgara ma che una parte dei soci senz’altro diserterà (vedi le solite Generali) o, al più, sottoscriverà solo in parte. Mica per motivi ideologici, ma perché, in questi tempi di magra, non c’è margine per sottrarre al business principale quattrini per cementare alleanze di potere, nemmeno quelle a suo tempo benedette da Mediobanca. Proprio in piazzetta Cuccia, del resto, è venuto il via libera a Mario Greco, l’uomo che un anno fa ha preso le redini del Leone dormiente delle Generali. Per invertire la discesa, senza batter cassa dai soci, il manager ha chiesto di avere le “mani libere” sulle quote già ingessate nei patti cari a Mediobanca: Rcs e Pirelli, per l’appunto, ma anche la quota in Telco, la cassaforte che controlla la maggioranza di Telecom Italia. Anche qui la sorte del patto che riunisce la compagnia di Trieste, Intesa e Mediobanca alla spagnola Telefonica, sembra segnata. E l’elenco, entro l’anno, potrebbe arricchirsi del capitolo più ghiotto: il patto di Mediobanca. Difficile che si vada a una rottura in senso assoluto, perché il condominio di piazzetta Cuccia che nel corso degli anni ha accumulato più inquilini di una multiproprietà al mare non può essere governato senza una qualche regola. Ma pare certo che la quota nel patto si ridurrà dall’attuale 43 alla soglia del 33 per cento, sufficiente per rendere impossibile una scalata dall’esterno. Senza però congelare titoli che, in momenti così drammatici, possono tornare utili a imprenditori che fanno fatica a trovare finanziamenti presso gli sportelli.

    La via “tedesca” verso la fine dei salotti
    Il tramonto della stagione dei patti o, se preferite, la grande asta dei mobili pregiati dei vari salotti, non nasce infatti da scelte ideologiche, bensì dall’emergenza che investe un capitalismo da sempre povero di capitali (di qui la necessità dei patti) ma oggi povero pure di credito in banca. La svolta potrebbe avviare un processo duraturo e profondo, sulla falsariga della rottura dei vincoli tra banche, assicurazioni e industria avvenuta in Germania all’inizio del nuovo millennio. Una delle riforme che ha permesso ai colossi finanziari tedeschi di muoversi con grande dinamismo sulla scena dei mercati dei capitali e ha offerto un varco ai capitali stranieri per penetrare una fortezza fino ad allora quasi inespugnabile. Per ora il processo è solo abbozzato. La ritirata dai patti di sindacato ha prodotto semmai nuovi impegni per Intesa, Unicredit e Mediobanca. Ma forse la svolta avverrà dentro gli sportelli: i due big bancari, per reggere vecchi e nuovi impegni, avranno bisogno di spalle (leggi capitali) sempre più robuste. Troppo robuste per le forze delle solite fondazioni.