Bondi alla guida

Il governo salva l'Ilva, su una linea morbida e senza nazionalizzazione

Salvatore Merlo

Il governo di Enrico Letta ha militarizzato la questione Ilva e il ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, dice al Foglio che “l'abbiamo trattata come materia di interesse strategico nazionale. L'azienda è salva e questo è un bene per l'economia italiana, perché può tornare a essere competitiva, rispettando ambiente e salute”. Ilva continuerà a produrre acciaio guidata da Enrico Bondi, che sarà ad horas nominato per decreto commissario straordinario “per dodici mesi rinnovabili. Ma questo era un intervento d'urgenza”, dice Zanonato. “Adesso ci dovremo rimboccare tutti le maniche e ciascuno deve fare la sua parte, anche gli imprenditori”, dice il ministro nel giorno in cui il presidente di Confidustria, Giorgio Squinzi, critica la politica e il governo.

    Il governo di Enrico Letta ha militarizzato la questione Ilva e il ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, dice al Foglio che “l’abbiamo trattata come materia di interesse strategico nazionale. L’azienda è salva e questo è un bene per l’economia italiana, perché può tornare a essere competitiva, rispettando ambiente e salute”. Ilva continuerà a produrre acciaio guidata da Enrico Bondi, che sarà ad horas nominato per decreto commissario straordinario “per dodici mesi rinnovabili. Ma questo era un intervento d’urgenza”, dice Zanonato. “Adesso ci dovremo rimboccare tutti le maniche e ciascuno deve fare la sua parte, anche gli imprenditori”, dice il ministro nel giorno in cui il presidente di Confidustria, Giorgio Squinzi, critica la politica e il governo: “Abbiamo dato fiducia alla compagine di Letta, ma purtroppo constatiamo che si perdono troppe occasioni”. Imprenditori contro politici, dunque. Eppure l’Ilva si presenta come una tipica storia di capitalismo straccione italiano: pochi investimenti, produzione di scarso valore, nessun miglioramento tecnologico e nessun collegamento con i centri di ricerca del paese, l’impianto industriale di Taranto ha rischiato la chiusura anche perché la proprietà non ha investito come avrebbe dovuto per l’ammodernamento di impianti considerati altamente inquinanti. Zanonato non polemizza con Squinzi, o quasi.

    “Le responsabilità sono collettive, vengono sempre da più parti. Adesso dovremmo collaborare, politici e imprenditori, insieme. Per quanto ci riguarda, il governo farà quello che deve”, dice. “Libereremo le energie dell’industria imbrigliata da rigidità legislative che in Europa non esistono. Poi, se noi ce la faremo, stare sul mercato con profitto e intelligenza dipenderà dalla capacità di ciascun imprenditore. Chi è davvero bravo si vedrà”. Nei ritardi italiani gli imprenditori qualche colpa ce l’hanno. “Bisogna interrompere la spirale che soffoca l’industria, fatta di pigrizie culturali, di scarsi investimenti nell’innovazione, ma anche dalla mancanza di norme certe e da una camicia di forza constituita da una miriade di autorizzazioni preventive che possono essere sostituite da efficaci controlli ex post. Bisogna ridurre gli oneri che gravano sulle imprese italiane”.
    Ma la questione dell’Ilva investe anche un altro problema, gigantesco, e anche questo molto italiano: la magistratura, sospettata di interventi spesso ideologici, a gomiti alti. Zanonato smussa, e dev’essere l’aria un po’ consociativa delle larghe intese. Il ministro rivela un’atteggiamento molto lontano da quello tosto assunto dal governo di Mario Monti nei confronti dei giudici di Taranto che avevano ordinato il blocco delle attività dell’Ilva. Corrado Passera, da ministro dello Sviluppo, aveva detto che “i magistrati sbagliano” e Corrado Clini, ex ministro dell’Ambiente, aveva alzato la voce: “I magistrati rispettino la legge”. Per Zanonato invece “i magistrati non hanno mai detto che l’Ilva andava chiusa, ma che doveva adeguarsi alle norme. Anzi, noi abbiamo utilizzato le indicazioni dei magistrati. L’obiettivo che il governo ha raggiunto con questo decreto è di salvare la capacità produttiva dell’Ilva mettendola contestualmente in condizione di rispettare l’ambiente così come chiesto dalla magistratura. Ci siamo mossi con un’idea, cioè che non è possibile risanare l’ambiente in quella zona se l’azienda chiude. Servono i fondi dell’Ilva, la chiusura dell’azienda avrebbe avuto un effetto micidiale e non solo dal punto di vista economico. Si rischiava una nuova Bagnoli”, dove sorgeva, alle porte di Napoli, uno stabilimento Italsider chiuso nel 1991.

    Il presidente della Puglia, Nichi Vendola, ha criticato la scelta del commissario Bondi. “E’ un grande manager, è stato amministratore delegato dell’azienda ed è in grado di essere subito operativo, adesso lavora per il governo”, dice Zanonato. Il decreto esclude la nazionalizzazione? “La questione non è mai stata all’ordine del giorno. L’azienda ha una proprietà e tornerà a essere gestita dai proprietari dopo la fase commissariale che serve a garantire la bonifica. Per intendersi, se i Riva volessero vendere possono farlo”. Anche agli stranieri? “Una cosa per volta”.

    Oggi sul Foglio due pagine di speciale sull'Ilva con interventi di Giuliano Ferrara, Guido Viale e Umberto Minopoli

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.