Renzi ha il sacrosanto diritto di dividere il sauté di cozze con Briatore

Stefano Di Michele

Si sa, Matteo Renzi è tipo da frequentazioni ardite: va ad Arcore dal Cav., si incontra con D’Alema, divide il sauté di cozze e vongole con Briatore – pure questo, soprattutto questo. Pare quasi di vederli, insieme a tavola, i due: uno col giubbino di Fonzie, l’altro con le babbucce griffate, in sottofondo una vecchia canzone di Marcella Bella: “Il limone non ci va sul pesce / scotta ancora la banana flambé…”. Loro, stando alle cronache, il pranzo se lo sono gustato – tanto che Flavio il Billionaire ha fatto conoscere il suo infatuamento politico per Matteo il Rottamatore: “The apprentice!” – a qualcuno è andato un po’ di traverso.

    Si sa, Matteo Renzi è tipo da frequentazioni ardite: va ad Arcore dal Cav., si incontra con D’Alema, divide il sauté di cozze e vongole con Briatore – pure questo, soprattutto questo. Pare quasi di vederli, insieme a tavola, i due: uno col giubbino di Fonzie, l’altro con le babbucce griffate, in sottofondo una vecchia canzone di Marcella Bella: “Il limone non ci va sul pesce / scotta ancora la banana flambé…”. Loro, stando alle cronache, il pranzo se lo sono gustato – tanto che Flavio il Billionaire ha fatto conoscere il suo infatuamento politico per Matteo il Rottamatore: “The apprentice!” – a qualcuno è andato un po’ di traverso. A Walter Veltroni, per la precisione. Che parlando del sindaco fiorentino prima ha fatto sapere che “ho molta simpatia per lui” (più o meno, come per un’unghia incarnita), poi ha borbottato desolato: “Su Briatore, però, non ci capiamo più”. Non si capisce perché. In fondo, è tutta una questione di gamberetti, volendo esagerare di risotto alla pescatora. In Walter invece si avverte, prima e addirittura oltre il giudizio politico, quello estetico. Si capisce che di Briatore non gli deve piacere né la capigliatura né la montatura degli occhiali né la persistente abbronzatura. Uomo di litorale laziale piuttosto che di spiaggia a Malindi (né in tentazioni melandriane incorre), Veltroni ha forse un po’ esagerato – anzi ha esagerato, spingendo la faccenda dal quieto argine di amichevole rancio a questione di (buon) gusto, con precise ricadute politiche, tanto da farsi quasi evocatore, nel perenne dibattere democratico, di un vecchio grido d’allarme di Totò (in “Fifa e arena”: peraltro la più sintetica e calzante definizione della situazione all’interno del partito): “Ne capitano di tutti i colori: guerre, rivoluzioni, terremoti, calamaretti fritti” – questi ultimi, addirittura con Briatore.

    Dicono le cronache che quelle parole Veltroni le abbia pronunciate sottovoce, mormorio appena distinguibile, sospiro tra lo scontento e la rassegnazione. Ma ha sbagliato – pur mormorando ha sbagliato. Mettersi a tavola con Briatore certo non è come desinare con Ian McEwan o condividere un tramezzino con Jean-Paul Fitoussi, questo va da sé, ma non è detto che non sia più divertente e spassoso che attardarsi al desco con Alessandro Baricco o azzardare una scarpetta nel sugo presente un Salinger nostrano. Anzi, è sicuro il contrario. Non doveva, Walter, stigmatizzare Renzi per il suo approdo culinario – perché ognuno ha una sua aggrovigliata socialità, e perché ognuno deve essere libero di raccogliere suggestioni, o semplice divertimento, dove meglio crede. Del resto, la strategia di Renzi è chiara: avendo appena sostenuto che se uno non prende i voti della destra, poi si becca i ministri di destra (governo Letta), deve aver successivamente maturato la convinzione che se con quelli di destra non vai a mangiare, poi sono quelli di destra che ti si mangiano. Proprio all’interno del suo partito (Pci-Pds-Ds), Veltroni in passato ha dovuto scontare parecchie ironie sulle sue non ortodosse passioni culturali e televisive. E se Cuccureddu e Fellini sono cose diverse da Briatore e dal Cav., tra l’antipasto e il sorbetto sorprese sono sempre possibili e i limiti alla Provvidenza sempre sbagliati.

    Briatore ha preso male la faccenda, “vai in Africa!”, ha persino avanzato l’ipotesi che avrebbe lui potuto salvare, quando fu il momento, l’Unità (oh, cavolo!) – e sulla veltroniana “Isola delle Rose” avrebbe almeno valutato l’ipotesi di un resort stellato. Ma Matteo e Walter hanno la possibilità di rapida riconciliazione: nel nome caro a entrambi, come al Cav., di Mike Bongiorno. Che tenne Veltroni bimbo sulle gambe, che al Cav. impennò la pubblicità, e che Renzi ha indicato come suo riferimento culturale. L’azzardo è paradosso, ma a volte anche la soluzione. Ottima.