L'esploratore di Francoforte
Draghi è alle strette. I suoi piani riformatori sono in discussione
La Banca centrale europea è nel mezzo di una profonda “fase esplorativa” degli strumenti – degli interventi e anche delle minacce verbali – che può utilizzare al fine di sostenere l’economia reale, mantenere la stabilità finanziaria e restaurare le normali condizioni del credito bancario nell’Eurozona. Questa “fase di discussione” l’ha descritta ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, parlando da Francoforte a seguito del Consiglio direttivo della Banca centrale. E’ stato un Consiglio transitorio dal punto di vista operativo nel quale non sono state prese decisioni particolari.
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La Banca centrale europea è nel mezzo di una profonda “fase esplorativa” degli strumenti – degli interventi e anche delle minacce verbali – che può utilizzare al fine di sostenere l’economia reale, mantenere la stabilità finanziaria e restaurare le normali condizioni del credito bancario nell’Eurozona. Questa “fase di discussione” l’ha descritta ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, parlando da Francoforte a seguito del Consiglio direttivo della Banca centrale. E’ stato un Consiglio transitorio dal punto di vista operativo nel quale non sono state prese decisioni particolari; a maggio la Bce aveva già operato un taglio del costo del denaro senza precedenti portando il tasso di riferimento al minimo storico dello 0,5 per cento. Non per questo, però, Draghi può dirsi libero dalle pressioni degli investitori, dei mercati e degli stati membri. E’ infatti insidiato su più fronti: aspettative su un ulteriore taglio dei tassi, infiltrazioni franco-tedesche nel progetto di creazione di un’Unione bancaria che la Bce avoca a sé, fughe in avanti della Germania sul credito alle imprese prima che Francoforte porti alla luce un vasto piano per dare sollievo alle Pmi (è un “progetto di medio-lungo termine”, ha precisato ieri Draghi), la pendente pronuncia della Corte costituzionale tedesca sulla liceità del piano “salva euro”, detto Outright monetary transactions, dell’autunno scorso.
Questo si aggiunge a un quadro economico deteriorato e una disoccupazione a livelli “inaccettabili” soprattutto per i giovani, ha detto Draghi. Dopo sei trimestri consecutivi di crescita debole, altri ne arriveranno fino alla fine del 2013, quando Draghi prevede una “ripresa graduale” che porterà il pil dell’Eurozona a crescere dell’1,1 per cento alla fine del 2014; un dato considerato ottimistico dagli analisti ma che ha contribuito a rafforzare l’euro nella seduta di ieri. La Bce resta perciò “pronta” ad agire mantenendo una politica monetaria accomodante “per il tempo necessario”. Con il taglio dei tassi, Draghi ha usato l’ultimo strumento “convenzionale” disponibile. Ne restano altri d’avanguardia, come la minaccia di fare pagare alle banche i depositi presso la Bce. “Siamo tecnicamente pronti” a portare il tasso dei prestiti interbancari (Eonia) in “territorio negativo”, ha detto ieri Draghi, è “sullo scaffale”.
E’ la conferma di quanto accennato un mese fa: Francoforte potrebbe così costringere le banche a fare circolare la liquidità sui mercati. Le banche dell’Eurozona hanno già cominciato a ritirare i depositi; da settembre a marzo sono scesi del 19 per cento, secondo il Wall Street Journal. Per la società d’analisi indipendente CreditSights “le riserve in eccesso” sono diminuite di 280 miliardi da gennaio a maggio ed “entro la fine dell’estate” potrebbero “scendere sotto i 50 miliardi”. In parte questa liquidità ritorna alla Bce perché le banche stanno restituendo i prestiti triennali ricevuti sotto il programma Ltro (il 60 per cento del totale è stato restituito, ha detto ieri Draghi). La decisione di portare i tassi in territorio negativo sarebbe storica (nessuna grande Banca centrale l’ha fatto; solo quella danese che però batte corona) e tuttavia “complessa” perché avrebbe implicazioni sia negative (le banche dei paesi nordici potrebbero dimostrarsi ancora più conservative nei confronti di quelle del sud) sia positive (allevierebbe le storture del mercato). In quest’ultimo caso, si presume, che la liquidità “liberata” si riverserà in Borsa sebbene la speranza – della Bce e non solo – è che venga usata per fare credito alle imprese.
Le condizioni del credito sono “ancora deboli”, ha detto Draghi. In aprile i prestiti alle famiglie sono rimasti fermi, mentre quelli alle imprese sono diminuiti dello 0,6 per cento in un mese (da meno 1,3 di marzo a meno 1,9 di aprile). Per ripristinare un mercato creditizio “frammentato” la Bce sta studiando un piano congiunto con Bruxelles e la Banca europea per gli investimenti ma “richiederà tempo”, ha detto Draghi. Intanto la Germania ha annunciato un prestito da 1 miliardo di euro alle imprese spagnole tramite KfW, la banca di stato tedesca simile alla Cassa depositi e prestiti italiana. Un intervento, quello di Berlino, che anticipa ciò che la Bce vorrebbe fare; con la differenza che Francoforte dovrebbe assorbire i crediti deteriorati delle banche e comprarli come “collaterale” (operazione tuttora da definire nelle modalità). Le infiltrazioni tedesche non finiscono qui. La settimana scorsa, a sorpresa, Berlino e Parigi hanno proposto un proprio progetto di “risoluzione” delle banche, cioè di gestione delle crisi bancarie, non centralizzato – come vorrebbero la Bce e la Commissione – ma in capo alle autorità dei singoli stati. Un piano che, secondo il Financial Times, è “meno ambizioso” di quello della Bce. Draghi ieri non ha fatto polemiche, anzi, ha minimizzato le divergenze (le ha chiamate “discussioni”) ma ha ribadito che la “centralità” della Bce è “cruciale” in questo processo.
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