Dimenticare Pasolini, prima che diventi aggettivo, avverbio e intercalare
Pasolinianamente. Lo ha detto Matteo Renzi a “Porta a Porta” qualche giorno fa, per spiegare che in Val di Susa, come a Valle Giulia, lui simpatizzava coi poliziotti. A quanto pare per difendere le forze dell'ordine bisogna tirare in ballo Pasolini (“scelbianamente” o “bavabeccarisianamente” non suonano altrettanto bene). Ci siamo distratti un momento, e Pasolini è diventato un avverbio. Michele Serra lo ha messo addirittura tra parentesi, ammiccando a chi sa intendere.
Pasolinianamente. Lo ha detto Matteo Renzi a “Porta a Porta” qualche giorno fa, per spiegare che in Val di Susa, come a Valle Giulia, lui simpatizzava coi poliziotti. A quanto pare per difendere le forze dell’ordine bisogna tirare in ballo Pasolini (“scelbianamente” o “bavabeccarisianamente” non suonano altrettanto bene). Ci siamo distratti un momento, e Pasolini è diventato un avverbio. Michele Serra lo ha messo addirittura tra parentesi, ammiccando a chi sa intendere. Le folle che si accampano la notte fuori dai centri commerciali per gli sconti sui telefonini segnano, ai suoi occhi, “la scomparsa (pasoliniana) di ogni spiraglio di libertà”. Scomparsa non bastava, ci voleva quell’aggettivo per suggerire che la colpa, scava scava, è del miracolo economico, e che i tumulti (manzoniani) per il pane avevano una loro dignità, quelli per il companatico ancora ancora, ma quelli per le brioche sono roba da nuovi mostri. La notizia, a ogni modo, è che Pasolini ha perso la maiuscola ed è a un passo dal diventare un nome comune. Avverbio, aggettivo: le prossime tappe potrebbero essere l’imprecazione, diciamo un equivalente di “mannaggia” con connotazioni di disastro antropologico (pasolini, come siamo caduti in basso!), o l’intercalare strascicato da centro sociale (voglio dire, nella misura in cui, insomma pasolini, il neoliberismo ha espropriato i beni comuni).
Da quando, nel 1980, Enzo Golino coniò la sigla Premiato Pasolinificio Spa, stiamo ancora compilando l’inventario dei danni postumi. Già molto è stato detto sull’industria editoriale agiografico-guevariana, sull’intossicazione cospiratoria intorno alla notte che Pelosi (o che non Pelosi), sui pellegrinaggi in Vespa all’Idroscalo, sul porto abusivo dell’“Io so” da parte di schiere di nullasapienti, sugli usi del poeta come corpo contundente (Grillo lo ha brandito contro il Palazzo, Repubblica contro le olgettine), sulla funzione prosciutto-sugli-occhi che hanno svolto, per un ventennio, le intemerate anticonsumistiche degli “Scritti corsari”. Insomma, il conformismo (pasoliniano) ha abbondantemente superato quella soglia di nausea (sartriana) e di noia (moraviana) oltre la quale anche il suo contrario, l’anticonformismo antipasoliniano, diventa un vezzo, uno strumento di distinzione o di esibizionismo, un conformismo di secondo grado.
“Dimenticare Pasolini” di Pierpaolo Antonello, pubblicato di recente da Mimesis, non cade per fortuna in nessuno dei due tranelli. Il titolo richiama l’“Oublier Foucault” di Baudrillard e una dozzina di altre rese dei conti postume, ma il senso è piuttosto questo: smettetela di rimpiangere Pasolini, e soprattutto toglietevi dalla testa di imitarlo. L’autore è un italianista che insegna a Cambridge (di lui si era già parlato per una raccolta di saggi intitolata “Postmodern Impegno”) e dunque ha in mente il tipo dell’intellettuale britannico, agli antipodi del modello pasoliniano. Che in Italia continua a generare vistosi fenomeni emulativi. A sentire Antonello, però, non c’è trippa per copycat, per almeno tre ragioni: primo, è tardi per imboccare la via della provocazione e dello scandalo, che è ormai la logica su cui si regge il sistema dei media; secondo, non è più il caso di affidarsi all’impressionismo e ai lampi profetici, pena il contribuire all’espansione di quell’universo del pressappoco che già minaccia di fagocitare tutto; terzo, non c’è modo di ricreare l’eccezione anche biografica del poeta-martire, del Cristo minore che fa della sua persecuzione la lente attraverso cui leggere il mondo. Certo, ci sarebbe il caso di Saviano, metamorfosi midcult del pasolinismo, ma dice Antonello che è un’altra eccezione. Sarà. Resta però il sospetto che proprio quei tre elementi desueti (scandalismo, profetismo, messianismo) siano la garanzia che il Pasolinificio non chiuderà in tempi brevi, e che anzi i tempi gli siano specialmente propizi. Quel che ci attende non è la scomparsa (pasoliniana) ma la riproducibilità tecnica (benjaminiana). Pasolinevolissimevolmente.
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