Fratelli randelli
Tutto passa: le stagioni, i papi, Berlusconi (passa, ma quello a volte pure torna), i mondiali di calcio, le sigarette elettroniche e gli happy hour. Ma loro no. S’alza il sole, canta il gallo / Travaglio e Battista montano a cavallo. E’ passata la lambada, il vhs, Bersani, l’uragano Katrina, Harry Potter, qualche muro di Pompei e il Millennium bug. Ma loro no. Resistono al passare dei decenni. Come i tailleur di Coco Chanel, come Renato Zero, come i supplì, come la trattativa stato-mafia, come le zeppe (simili pure queste a Berlusconi: scompaiono e riappaiono, e soprattutto innalzano).
“Tu sei così suscettibile…”. “Suscettibile a me? Ma vaffanculo, testa di cazzo!” (Egidio Morretti, “Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano”, editore Baldini Castoldi Dalai).
Tutto passa: le stagioni, i papi, Berlusconi (passa, ma quello a volte pure torna), i mondiali di calcio, le sigarette elettroniche e gli happy hour. Ma loro no. S’alza il sole, canta il gallo / Travaglio e Battista montano a cavallo. E’ passata la lambada, il vhs, Bersani, l’uragano Katrina, Harry Potter, qualche muro di Pompei e il Millennium bug. Ma loro no. Resistono al passare dei decenni. Come i tailleur di Coco Chanel, come Renato Zero, come i supplì, come la trattativa stato-mafia, come le zeppe (simili pure queste a Berlusconi: scompaiono e riappaiono, e soprattutto innalzano). Marco e Pigi là stanno – e da là, e pure da qua, se le danno. Cala il sole, dorme la gallina / Travaglio e Battista duellano fino a mattina. Ride il vicedirettore del Corriere: “Adesso basta, però… Ho il senso del ridicolo. Sembriamo due amanti gay che litigano. Forse Travaglio mi ama…”. E’ una lunga storia, la loro – “io ti conosco da sempre / e ti amo da mai”: appunto. Risale, a memoria, forse al 2001, ai giorni del primigenio Travaglio da Daniele Luttazzi, e a una delle tante trasmissioni di Michele Santoro. Cominciò con “L’odore dei soldi” – di travagliesca (con Elio Veltri) stesura: continua con odor di polvere e sciabolate lessicali. Più persistente Travaglio – essendo Battista la sua seconda B dopo quella di quello lì; molto più diluito Battista. Si inseguono per valli e colline, governi e inchieste giudiziarie, commenti e interviste, quotidiani e settimanali. “Il noto giureconsulto”, butta giù Marco. “Macchiettistica maniacalità”, obietta Pigi. Neanche Veltroni e D’Alema. Neanche Oronzo Canà e il presidente della Società Sportiva Longobarda – “Lei è disoccupato! Lo sa?”. “Lei è cornuto! Lo sa?”. Quasi come “I duellanti” di Ridley Scott, Battista-Armand d’Hubert e Travaglio-Gabriel Féraud, che passano l’intera epopea napoleonica (e oltre) a combattersi, a incrociare le spade, a inseguirsi per tutto il continente (giornalistico). Con gran spasso: forse loro – l’efficacia mediatica del pubblico “vaffa” mica l’ha scoperta Beppe Grillo, di sicuro dei lettori. Potrebbero certo telefonarsi, i due, evocare magari a proprio soccorso gli spiriti di Croce e Montanelli, ma non sarebbe, né dal punto di vista oggettivo né soprattutto dal punto di vista ludico, la stessa cosa.
Molto si spende Travaglio, molto alla tentazione resiste Battista. Che la settimana scorsa, sul Corriere della Sera, ha infine posato i piedi nel suo personale Rubicone: “Molti amici mi chiedono perché non abbia sinora mai replicato alle molestie giornalistiche…”, ecc. ecc. A quel punto, del resto, quantitativamente parlando, Travaglio aveva già superato Rubicone e Gange e Rio delle Amazzoni – una sorta di dottor Livingstone che invece delle cascate Vittoria si è direttamente accampato dalle parti del Pigi corrierista. “Battista, rispetto ai giornalisti, gode di un privilegio invidiabile: non sapendo nulla può scrivere di tutto…”, per esempio. O anche: “Come gli accade quando scrive di cose che non sa, cioè quasi sempre…”. Uno scontro, a prima vista, tra il sapere e l’interpretare, tra il verbale (giudiziario) e l’analisi. L’accanimento di Travaglio contro il suo B-2 (nei rari momenti di tregua dall’eterna tenzone con il suo B-1) ha certo momenti di ossessività – un trasporto quasi da “amour fou”, che pare di poter parafrasare, da editoriale a editoriale, certe osservazioni di André Breton: “Ti sei sostituito alle forme che mi erano più familiari, così come a parecchi aspetti del mio presentimento… tutto ciò che so è che questa sostituzione di persona si ferma a te, perché niente ti è sostituibile…” – ma peraltro anche fortunate invenzioni linguistiche-giornalistiche che spostano l’azione e l’attenzione dallo sventurato nostro presente dove agisce il feroce Berlusconi-Tamerlano a una sorta di Topolinia, con al centro la questurina del commissario Basettoni: e dunque, Pigi Ballista o “il giornalista spannometrico” o “il desertificatore di notizie” o Cerchiobattista o Pigi Cerchiobattista o il solitario Ballista. All’indice dei nomi della fitta produzione letteraria di Travaglio, la B di Battista (la B-2) di poco è sopravanzata dalla B di Berlusconi (la B-1), e anzi, tanto fervore e tanto torcibudella – da amour fou? – che in uno dei manufatti giusto nell’indice figurava tanto il Battista Pierluigi quanto il Cerchiobattista, come se a forza di evocarlo il paradosso avesse mangiato il reale, si fosse animato di vita propria. Come se Baffino avesse esistenza autonoma da D’Alema, e il Cainano (travagliesco adeguamento dell’intuizione di Nanni Moretti) da Berlusconi. Così, nel maggio più freddo della storia repubblicana – la scomparsa delle mezze stagioni, signora mia! – Battista, da amici spintonato e da colleghi esortato, decide di rispondere un colpo (almeno) ai colpi ricevuti, “che Marco Travaglio mi riserva tutti i giorni, quelli dispari e quelli pari”. Non rispose finora, significò ai suoi Battista, “perché contro un fanatico non c’è argomento che tenga”. E se dunque ora “a sollevar s’ardisce” la faccenda, qui oggi sia e poi mai più: “Sarà la prima e ultima volta: non c’è nulla di più ridicolo delle beghe tra giornalisti”.
Sarà pure. Ma pure sarà come opporre il salotto di Madame du Deffand alla curva ultrà di uno stadio, la pioggia nel pineto all’alluvione di Praga. Appositi studi, sudate analisi, consentono della questione conto e conti. Già un anno e mezzo fa, fu fatto presente a Battista che Travaglio “ti ha citato in 88 dei suoi articoli (fonte www.camera.it)” – ed essendo la produzione dello stesso, per precisa definizione di camerata e di plotone “ottima e abbondante”, volendo pure e anzi tutto significare qualità e quantità, al ritmo di uno spread pre-Monti, chissà adesso a che punto è l’approdo. “Non essendoci nulla di personale, immagino che dietro ci sia un contrasto culturale di fondo”, rispose allora. E’ Pigi, per Marco, un po’ come il Sarchiapone per Walter Chiari, “ne ho visti migliaia”, pure quello asiatico e pure quello americano: così, di dottrina e ritagli fornito, con ognuno ne discute, nel dettaglio ne illustra la pericolosità, la quasi trotzkista spericolata attitudine a farsi terzista apparente per mutarsi al dunque in berlusconiano operante. “Questo pozzo di scienza” precede a volte “il nostro giurista per caso”, a volte lo rincorre e nuovamente lo supera, “il noto esperto del nulla”. Ha sempre, Travaglio, una carta in mano, un verbale in testa, l’occhio televisivo immobile del camaleonte che ha fissato la preda. Pigi, all’uomo che raffica editoriali, dissemina libri, riempie teatri che manco Enrico Brignano – in un felicissimo incrocio di fatti e fattarelli e stenografici svelati e riposizionati e rispiegati: l’inedito quale meraviglia dell’edito – al dunque qualche colpo sotto la cintura, come a mostrare incertezza nella ciclopica sua postura, lo ha mollato. Per esempio, quando Travaglio, nella sera che fu, incrociò Berlusconi c/o il domicilio del “Servizio pubblico” di Santoro. Come lo scienziato quando incontra finalmente Godzilla, come Pollicino a tu per tu con l’Orco. Adesso gliela canta, che musica maestro! – tutti speravano, tutti sapevano, tutti credevano. Gliela cantò – ma secondo Pigi la cantata di Marco davanti a Silvio, più che l’attesa “Cavalcata delle valchirie”, un quieto “Io tu e le rose” fu, “tutti ricorderanno l’umiliante tremolio dell’eroico paladino che lo stava strapazzando” – spazzolando tra l’altro, con gran avanspettacolo, la sedia dove il vigile deretano di Travaglio aveva appena sostato. E il secondo colpo all’orgoglio di chi in perpetua vigilanza coglie sul Fatto (“Colti sul Fatto. Nani e pagliacci, muffe e lombrichi di fine regime sul Fatto quotidiano”: è la sobria titolazione di un volume travagliesco che raccoglie scritti già sul Fatto stesi e asciugati: praticamente una sorta di economia rurale) ogni altro peccato di omissione e ogni altrui viltà di compromissione, il Battista lo mollò quando il Travaglio ebbe a intervistare il Grillo, “domande temerarie” – e perciò “difficile dover ingoiare l’ultima lezione di deontologia professionale dall’autore dell’intervista più inginocchiata della storia (a Beppe Grillo, uno che ha insultato Rita Levi Montalcini: che coppia), a pari merito di quella di Gianni Minà a Fidel Castro e di Emilio Fede a Silvio Berlusconi”. “La cattiveria a singhiozzo – spiegò l’editorialista del Corriere –: nel giornalismo italiano non è una novità”. Ché poi, si capisce, ognuno all’altro un’intervista balbettante al vispo Cavaliere sempre rinfaccia: per chi il Cavaliere sui coglioni ha, mai bastevoli coglioni all’intervistatore riconosce. Così pure Travaglio con Battista per un “Batti e ribatti” – con poco battito, a suo parere, e ancor meno ribattito. (E del resto, e per fatto personale: quando a me capitò d’intervistarlo per l’Unità, insoddisfatto Cuore mi assegnò in prima pagina, con sua gran soddisfazione e mia personale gratificazione, un solenne “Coglion d’oro”).
La guerra napoleonica che divide l’editorialista del Fatto da quello del Corriere ha l’aria di dover durare ancora a lungo. Già l’anno scorso, veniva su certi siti presentata come la “polemica più cool dell’estate” un altro precedente scazzo. Il Cavaliere ha dato (e di sicuro darà) molto da fare. Così Del Turco e Lele Mora, ecc. ecc. Ma fu scontro una volta persino sul terreno delle patrie lettere, oltre che al quotidiano assembrarsi intorno alla palude della patria giustizia. Primavera dell’anno passato. “Ma ti rendi conto? Se la prende pure per quello che scrivo su Piperno!”, si lamentò Pigi con la rivista Altri – avendo avuto occasione Travaglio, sull’Espresso, di sfotterlo per la sua difesa dell’opera di Alessandro Piperno non abbastanza in alto nelle classifiche, “c’è un complotto dei lettori, fors’anche dei librai, certamente dei critici”, contro il “grande scrittore… erede italiano di Bellow e di Roth”. E figurarsi, “chi lo dice? Pierluigi Battista”. Disse pure, Battista: “Travaglio e la letteratura sono due concetti antitetici. I suoi gusti letterari sono quelli dei verbali giudiziari”. Per Battista trattasi di un grande scrittore, Piperno – “nel livello della scrittura, nella potenza dell’intreccio, nella costruzione dei personaggi, nella finezza dello scavo psicologico delle persone”. E mentre Travaglio proponeva: “Adottare obbligatoriamente il capolavoro piperniano in tutte le scuole di ogni ordine e grado, e magari anche nelle carceri, come pena accessoria, in sostituzione del 41 bis? Battista ci farà sapere”, Battista stesso oppose il laudato autore al laudato autore travagliesco per eccellenza, Roberto Saviano – e al suo savianismo, “l’eterna riproposizione dello scrittore profetico, engagé, sartriano, che deve dire le sue cose, guidare l’umanità verso il futuro radioso”. Finì lì, peccato – poteva essere ben più “cool” la passata estate, se in loro reciproco soccorso avessero chiamato i grandi del passato. Così Battista, come Stevenson, avrebbe potuto paragonare Travaglio (manco morto lo farebbe, ma lo avrebbe potuto fare) a Whitman: “Un grosso cane a pelo lungo, che appena sciolto il guinzaglio dissotterra tutte le spiagge del mondo e ulula alla luna”; mentre quest’altro avrebbe potuto paragonare quell’altro (manco morto lo farebbe, ecc. ecc.) a John Keats visto da Lord Byron: “Ecco qui la poesia di Keats piscia-a-letto… Non più Keats, vi supplico: scorticatelo vivo, se qualcuno fra di voi non è disposto a farlo, lo dovrò fare io in persona…”. Però anche Travaglio, che sfotte per il lamento in conto terzi di Battista, quando è il suo momento ha motivi di lamentazione – e s’incarica da solo di svolgerlo: “Vanto tuttora il minor numero di recensioni tra gli autori in classifica…”. “Non ho mai visto una recensione dei miei libri sulla Stampa o sul Messaggero…”. “La stragrande maggioranza dei giornali italiani mi ignora…”. “Credo semplicemente che si tratti di antipatia, oppure di invidia…”. “Io conto niente…”. Poi tornarono subito al Cavaliere, ai magistrati, ecc. ecc. Meno male.
Anche se non c’è cosa che non possa dividere i due – i baffi, gli occhiali, la moderazione, la calvizie. Chissà, Benedetto Croce. I fenici e i babilonesi. Magari gli indiani e i cow boy. Il cremino e il ghiacciolo. Magistrati e Cavaliere, si diceva. Soprattutto magistrati e Cavaliere. Dice Battista una cosa capace di far tracannare a Travaglio tutte insieme un paio di dozzine di pasticche di Maalox. “A me non piace il magistrato che fa politica. A me piace un magistrato silenzioso, di vecchio stampo, operoso, che non fa l’eroe, formalista, superformalista. La forma è tutto, in uno stato di diritto…”. All’altro, il magistrato piace, diciamo, più vispo e arzillo – così che molto, in articolesse e voti nelle urne, si spese per il dott. Ingroia, pur se la sorte si rivelò avversa (e la parodia di Crozza micidiale). “E’ il pasdaran di ogni accusa, la guardia pretoriana di ogni pubblico ministero”, si è avventato Pigi dal Corriere. E se Pigi martella, Marco trapana – il primo mai più di una volta a cambio di stagione, il secondo mai meno di due volte a settimana. “Nullità”. “L’uomo che non sapeva nulla”. “Le amenità di Pierluigi Battista”. “Comprendiamo lo sbigottimento del Ballista nell’apprendere queste notizie tutte insieme, lui che non ne ha mai avuta una in vita sua”. “Non sapendo nulla può scrivere di tutto”. “Negli annali della stampa italiana, non si ricorda una sola notizia portata da Battista”. Qualche mese fa, però, Battista un punto lo segnò: quando scoprì Travaglio “incontinente inventore di formule giuridiche”, avendo lo stesso appena messo nero su bianco quella di “persone non ancora indagate” – e Travaglio lodò “la freddura senz’altro pregevole”, e rimise la locomotiva del suo ragionamento sul conveniente binario a lui caro, “è esattamente la condizione in cui s’è trovato Mancino”. In fondo, sa Battista di avere poche speranze di prevalere. “Io non ho dietro un popolo, come Travaglio. Anzi, lui ha la tribù”. E si vede, quotidianamente si vede. Sugli spalti dei blog, l’ola travagliana s’alza impetuosa ogni volta, e l’affondo del Caro Marco si amplifica, si innalza, si incarognisce. “Battista è una zozza pettegola lavandaia del Pdl”. “Quel gufo con gli occhiali che inciuci che fa / me lo distruggi Travà?”. “Battista! Le scarpe, per piacere!”. “Io penso che non si debba infierire su un cerebroleso, è già tanto che riesca a scrivere”. “Pigi Battista che fine ti faremo fare!”. “Marco sei come un sorso di acqua fresca in mezzo a tanta cacca fumante (tipo Battista, Sallusti, Ferrara)”, ecc. ecc. – pur se in mezzo a cacca fumante è meglio fare dell’acqua fresca altro utilizzo.
Non finirà – come canta Enrico Ruggeri, “non finirà, non morirà / quella ruga sul tuo viso / un po’ di più mi legherà”. Quasi come il B-1, per Marco. Quasi come il grato pensiero per la Thatcher per Pigi. Quasi come l’ex amico che Marco ora chiama solo “quello con le mèches” – e almeno a Pigi le mèches rimproverarle, per carenza di primaria materia, proprio non può. Ma l’oasi Travaglio zampillante fresca acqua è ancora lì e sempre lì sarà, sulla strada carovaniera di chi B-1 combatte e B-2 mal sopporta. Pur se Pigi ha avuto – prima del suo presente di moderato liberale, il juste milieu – un giovanile passato (“infatti mi vergogno”, peccato, però!) di militante comunista, essendo all’epoca “brufoloso e cazzone”, e dissipatore di medagliette maoiste, un tardivo riposizionamento politico nelle parti basse ha tentato. Così gli fu posta la questione (che pure, i giornalisti sanno porre certe questioni…): siccome quelli di destra portano gli slip e quelli di sinistra i boxer (ma chi l’ha detto, Nando Pagnoncelli a “Ballarò”?), voi terzisti come vi regolate? “Io porto da sempre i boxer, da quando ho l’età della ragione porto i boxer, e quindi sono un uomo di sinistra!”. Se non fa lo stesso il Cavaliere (e testimonianze potrebbero pur essercene) Travaglio è certo benevolmente disposto ad associarsi. Adesso non resta che l’invito riconciliatorio alla festa del Fatto – tra la Mannoia e Camilleri e Lidia Ravera. S’alza il sole, canta il gallo / Pigi e Marco su la mutanda, e via a cavallo! Sarebbe, questa sì, la cosa più “cool” dell’estate.
Il Foglio sportivo - in corpore sano