Ora a Grillo gli aprono le scatole

Marianna Rizzini

“Cammino lento ma inesorabile”, dice Beppe Grillo per consolare se stesso e i suoi davanti ai risultati delle amministrative. Ma la presa di Pomezia nel Lazio e di Assemini in Sardegna (da ieri comuni a Cinque stelle) non riesce a cancellare l’impressione che l’ex comico, alla maniera di Bruce Chatwin, si stia chiedendo sempre più spesso “che ci faccio qui?”. “La scatola di tonno è vuota”, aveva detto infatti, qualche giorno fa, di fronte a un Parlamento “tomba maleodorante” in cui non ci sono, per lui, né veri alleati né veri nemici – ed è questo il dramma per uno che tutto pensava tranne che di trovarsi a fare opposizione a un governo simile al governo Monti ma senza (per ora) l’azione del governo Monti.

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    “Cammino lento ma inesorabile”, dice Beppe Grillo per consolare se stesso e i suoi davanti ai risultati delle amministrative. Ma la presa di Pomezia nel Lazio e di Assemini in Sardegna (da ieri comuni a Cinque stelle) non riesce a cancellare l’impressione che l’ex comico, alla maniera di Bruce Chatwin, si stia chiedendo sempre più spesso “che ci faccio qui?”. “La scatola di tonno è vuota”, aveva detto infatti, qualche giorno fa, di fronte a un Parlamento “tomba maleodorante” in cui non ci sono, per lui, né veri alleati né veri nemici – ed è questo il dramma per uno che tutto pensava tranne che di trovarsi a fare opposizione a un governo simile al governo Monti ma senza (per ora) l’azione del governo Monti. Epperò è soprattutto fuori dalla scatola vuota che l’apriscatole batte inutilmente contro pareti di latta, è nelle vaste praterie dei convegni ispirati ai “beni comuni”, negli incontri di area MicroMega (ieri sull’eutanasia), nelle iniziative legate a Sel e nelle feste targate Repubblica che cresce l’offensiva di un polo Rodotà (tà-tà) interessato a conquistare preventivamente, non si sa mai, il favore della sinistra quasi-grillina e dei grillini spiazzati dall’assenza di diplomazia del Caro leader. E ieri il professor Rodotà interveniva al seminario “Parole libere, parole d’odio” (sul Web), moderato dal direttore del Post Luca Sofri e introdotto dal presidente della Camera Laura Boldrini: non si può censurare, dicevano Rodotà e Boldrini, ma ci vuole una “rivoluzione culturale”, aggiungeva Rodotà, convinto che il “linguaggio violento” sia sempre segno di “malessere sociale”. E pazienza se qualche attivista grillino (o addirittura qualche eletto ortodosso) poteva sentirsi colto sul fatto, dopo la due giorni di insulti e scomuniche internettiane andata in scena sulle pagine facebook dei parlamentari fuoriusciti dal M5s, Vincenza Labriola e Alessandro Furnari, salutati peraltro con un comunicato del gruppo parlamentare a Cinque stelle il cui succo era: volete solo tenervi i soldi e siete dei lavativi. “Ci vuole rispetto”, diceva Rodotà al seminario, ricordando gli insegnamenti di sua nonna (“non fare il capo del malesempio”). “La rete può essere luogo di istigazione all’odio”, diceva Boldrini, e la sotterranea critica al mondo in formato Google immaginato da Gianroberto Casaleggio prendeva forma nonostante l’attenzione all’apparenza (non si parlava male di Grillo, ma era chiaro che anche al blog di Grillo si guardava).

    L’apriscatole si è inceppato da solo, ma certo là fuori il fuggi fuggi degli intellò ex simpatizzanti impazza. Ogni giorno qualche candidato alle “quirinarie” che furono si smarca – a Firenze, alla Festa delle idee di Rep., è stata la volta di Gustavo Zagrebelsky, terzo in ordine di tempo dopo Milena Gabanelli e Rodotà, e molto noncurante rispetto ai fan grillini nel suo spedire il M5s dritto dritto tra i “movimenti e partiti che hanno successo solo perché sono personali”, partiti personali “come il Pdl e il M5s: ve lo immaginate il movimento senza Grillo?”. Pare quasi che si siano svegliati tutti oggi, i giuristi e i costituzionalisti e gli intellettuali a lungo benevoli con il grillismo che avanzava tra piazze piene sommariamente indignate e commenti non proprio ponderati sul blog dell’ex comico (solo che allora Boldrini e Rodotà non insorgevano). Sono già altrove, i prof. che ora preferiscono le mobilitazioni cognitive di Fabrizio Barca e le disquisizioni su come combattere l’odio on line, la linfa che ha nutrito i Cinque stelle nei mesi di liaison tra insofferenza epidermica collettiva contro la sempre odiabile “casta” e performance del comico-tribuno, anche nuotatore nei mari siciliani. Al Grillo logorato ai fianchi dal bel mondo dei diritti non resta che verbalizzare il disappunto da “tradimento” sotto gli occhi (Rodotà “ottuagenario miracolato” dalla rete; Boldrini “nominata alla Camera per grazia di Vendola… eletta presidente della Camera a tavolino in una notte”).

    Che fosse fiducia malriposta, quella di Grillo verso i prof., o che i prof. avessero davvero preso un abbaglio, resta un mistero. Come resta insondabile l’umore della perenne assemblea grillina, sempre sospesa tra questioni di mobilia (a chi destinare i soldi restituiti) e sospetto intestino da riscattare con quello che ormai è il simulacro dello streaming (non usato, ieri, durante l’assemblea della discordia sul tono delle offese ai transfughi, ma previsto oggi, per immortalare l’elezione del successore di Vito Crimi nel ruolo di capogruppo dei cinque stelle al Senato).

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    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.