Ci dica un segreto, Mr Obama

Paola Peduzzi

Poco prima che Barack Obama giurasse per il suo primo mandato, Dick Cheney si fece intervistare da Rush Limbaugh – i due mastini del conservatorismo americano assieme si punzecchiarono e si divertirono molto. Come ha ricordato Patrick Radden Keefe sul New Yorker, Limbaugh incalzò l’ex vicepresidente sulla sicurezza, lo strapotere dell’esecutivo, le libertà in ostaggio della lotta al terrorismo, e “Cheney pestò duro: ‘Penso che una volta arrivati là (gli obamiani alla Casa Bianca, ndr), quando dovranno affrontare gli stessi problemi con cui noi ci siamo confrontati tutti i giorni in questi anni, apprezzeranno alcune delle cose che abbiamo messo in piedi’”.

    Poco prima che Barack Obama giurasse per il suo primo mandato, Dick Cheney si fece intervistare da Rush Limbaugh – i due mastini del conservatorismo americano assieme si punzecchiarono e si divertirono molto. Come ha ricordato Patrick Radden Keefe sul New Yorker, Limbaugh incalzò l’ex vicepresidente sulla sicurezza, lo strapotere dell’esecutivo, le libertà in ostaggio della lotta al terrorismo, e “Cheney pestò duro: ‘Penso che una volta arrivati là (gli obamiani alla Casa Bianca, ndr), quando dovranno affrontare gli stessi problemi con cui noi ci siamo confrontati tutti i giorni in questi anni, apprezzeranno alcune delle cose che abbiamo messo in piedi’”.
    Cheney aveva ragione: molte delle politiche dell’Amministrazione di George W. Bush sono rimaste pressoché inalterate, nonostante i contorsionismi di Obama nel prendere le distanze da quel periodo nero. Sono rimaste inalterate perché erano le politiche migliori che, in quel contesto e a quelle condizioni, si potessero elaborare, ma soprattutto perché quelle leggi gli andavano bene così. Obama è al fondo, sotto gli strati di retorica pacifica e pacifista, un falco realista. Con tre varianti rispetto al perfido Bush: l’ossessione per il consenso, l’ossessione per il pragmatismo e l’ossessione per la segretezza.

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    Edward Snowden, l’ex tecnico della Cia che ha fatto scoppiare lo scandalo della National Security Agency (Nsa) e dei programmi di sorveglianza permanente, ha sempre meno l’aria di un whistleblower, nonostante per la maggior parte degli americani sia già un eroe. Snowden è un libertario, dice di aver fatto donazioni per Ron Paul, e sul suo curriculum ci sono lavori dentro e fuori il governo sempre nell’ambito della sicurezza: alla Cia in Svizzera, all’Nsa in Giappone, in Maryland e alle Hawaii, infine alla Booz Allen Hamilton, che opera quasi esclusivamente con il governo nel business dell’intelligence. Snowden ha detto di aver pensato di pubblicare quel che aveva scoperto – lo stato di sorveglianza permanente che è diventata l’America dopo l’11 settembre – quando lavorava a Ginevra, ma allora ancora sperava che Obama avrebbe cambiato le cose. Quando poi ha capito che il presidente lasciava tutto inalterato, Snowden ha deciso di parlare, e sembra che il lavoro alla Booz Allen, presso la quale si è fermato soltanto tre mesi, sia stato cercato apposta per prendere tutto il materiale di cui aveva bisogno.
    Jeffrey Toobin, che scrive e commenta questioni legali sul New Yorker e alla Cnn ma è anche un avvocato della Law School di Harvard con un’esperienza come clerk presso una Corte federale e una forte convinzione liberal, ha scritto un articolo per dire che Snowden non è un eroe – ed è stato massacrato di cinguettii antipatizzanti. Toobin mette in dubbio la conversione civica di Snowden, la difesa “delle libertà basilari”, il suo “sacrificio”. E’ noto che l’Nsa (il cui soprannome è “No Such Agency”) di mestiere intercetta le comunicazioni di tutti, compresi gli americani. Non c’è nulla di illegale in questo, si può al limite discutere della moralità di queste pratiche, ma certo non definirle un abuso perseguibile per legge. Di perseguibile piuttosto c’è Snowden, che ha violato la legge fotocopiando documenti classificati e dandoli ai giornalisti. E quella violazione era talmente “irresponsabile” – dice Toobin – che il Washington Post non ha nemmeno pubblicato tutte le informazioni che Snowden aveva offerto (nemmeno il Guardian: i giornalisti dicono di aver avuto “migliaia” di documenti a disposizione, di cui “alcune decine” pubblicabili). Conclusione: “Il nostro sistema offre opzioni legali per dipendenti del governo e contractor scontenti. Possono utilizzare le leggi federali per i ‘whistleblower’, possono portare le loro lamentele al Congresso; possono cercare di protestare dentro alle istituzioni in cui lavorano. Ma Snowden non ha fatto nulla di tutto ciò. Con un atto che parla più al suo ego che alla sua coscienza, ha buttato in giro i segreti che aveva e ha pensato che qualcosa di buono sarebbe successo. Ora abbiamo tutti la speranza che avesse ragione”.
    Insulti a Toobin a parte, i media hanno iniziato a pubblicare dettagli sulla vita di Snowden (pochi: lui non è scemo, lo sa come funziona il Web, meno dici di te più al sicuro sei), è stata anche identificata la sua fidanzata: si chiama Lindsay Mills, dice di essere un’eroina della pole dance (una specie di lap dance, ma molto più faticosa e con tante acrobazie), amante della natura e dei viaggi, molto esperta degli effetti di Instagram sulle foto, oggi “lost and alone”, dopo che il suo “uomo del mistero” che lei chiamava semplicemente “E” l’ha lasciata sola.
    La rete dei contatti di Snowden è piuttosto inquietante, soprattutto quando tocca Julian Assange, il fondatore di Wikileaks che ora vive, pare bene a giudicare dalle immagini, nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e da lì segue il processo a Bradley Manning, il soldato che rischia l’ergastolo davanti a una corte marziale per aver dato a Wikileaks informazioni classificate. Julian Assange ha detto al Guardian di aver avuto “comunicazioni indirette con la gente di Snowden”. Non ha aggiunto altro, perché come si sa il re della trasparenza è anche il re dei segreti (un po’ come Obama, diciamo), ed è probabile che la frase gli sia sfuggita più per mania di protagonismo che per altro, ma il filo che congiunge il mondo di Wikileaks e Snowden non depone a favore della tesi dell’eroe.
    L’obiettivo principale ora è però capire in quale parte di Hong Kong si sia nascosto Snowden (lì era tra l’altro andato anche in vacanza con la sua fidanzata, ha raccontato lei sul suo blog). Come hanno detto Mark Mazzetti e Charlie Savage sul New York Times, il contatto tra Snowden e i tre giornalisti coinvolti – Gleen Greenwald, attivista giornalista del Guardian; Ewen MacAskill, sempre del Guardian; Laura Poitras, regista di documentari – è avvenuto proprio a Hong Kong, circa dodici giorni fa. La scelta di quel rifugio è quantomeno dubbia: Snowden sarà forse una spia dei cinesi, che sono guarda caso gli arcinemici dell’America proprio sulle questioni di sicurezza digitale (oltre che Grandi Fratelli con una storia lunga decenni)? Il fatto che, come ha raccontato Eli Lake, esperto di intelligence e sicurezza, sul Daily Beast, ci sia una squadra che da settimane dà la caccia a Snowden (una squadra imbizzarrita, tra l’altro) senza trovarlo fa pensare che i custodi del ragazzo siano esperti, che conoscano i luoghi, che sappiano come muoversi. Che siano cinesi, insomma. (I russi, gelosi di tanta attenzione per Pechino, dicono che sono disposti a dare loro asilo a Snowden).

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    L’Amministrazione Obama è alle prese con il problema legale di Snowden, ma a quello si troverà una soluzione, con tutta probabilità: il reato c’è e fino a ora all’Nsa non è stato contestato alcun abuso. E’ un brutto lavoro, quello dell’Agenzia, ma è quello che il governo le dice di fare. Con il fatto che anche il Congresso sapeva tutto e con le rilevazioni che dimostrano che gli americani hanno già capito e accettato che per essere più al sicuro devono concedere qualcosa dal punto di vista della privacy, il dibattito sull’Nsa non è destinato a finire in grandi aule, a meno che non siano vere le minacce di Greenwald che dice che ci sono ancora molti casi da svelare, e lo farà uno per uno senza farsi sfuggire niente. Secondo alcuni, si tratta davvero di dossier pesanti: Bengazi, il generale Petraeus, i droni.
    Il problema politico è molto grave, anche se i media preferiscono immergersi nei dettagli, sempre più romanzeschi, della vita di Snowden, della sua fuga, del percorso a ostacoli cui ha sottoposto i giornalisti selezionati prima di farsi trovare e inondarli di documenti (per non parlare dei giornalisti stessi, della documentarista che è gelida quando si riferisce alle ultime dichiarazioni di Greenwald; di Greenwald che dal Brasile, dove vive perché è un paese che riconosce la relazione con il suo fidanzato per motivi legati all’immigrazione, cosa che l’America non fa, è contattato da chiunque perché si metta a studiare una linea di difesa per Snowden, visto che è un avvocato). Obama ha il problema di dover convincere i liberal a credere che, in questi cinque anni, non li ha presi in giro. Cioè deve convincere gli ex innamorati a non perdere le speranze, a insistere, a crederci, lui è davvero l’uomo giusto, hanno fatto bene a sposarlo nel 2008, non erano tutte bugie, le sue. E’ una missione complicata, forse la più difficile per Obama da quando è arrivato alla Casa Bianca, considerato anche il fatto che il presidente, come si sa, è freddo e privo del cuore.
    Il presidente ha creato la sua identità politica come leader nazionale in opposizione agli anni di Bush. Ma la sua ipocrisia rispetto a quella promessa potrebbe essere ancora più profonda, scrive il già citato Patrick Radden Keefe sul New Yorker: “Obama sapeva degli eccessi delle registrazioni illegali, delle torture e dell’intelligence losca in Iraq grazie a rivelazioni non autorizzate alla stampa. Senza i leak, Barack Obama forse non sarebbe nemmeno stato eletto, tanto per cominciare”. Addirittura. L’ipocrisia non riguarda soltanto la politica: sappiamo, perché i guru della comunicazione del presidente sono di una bravura straordinaria, che Obama prende ogni decisione che riguarda la vita delle persone con sofferta cura personale, che ha studiato sant’Agostino e san Tommaso d’Aquino per alimentare il suo bisogno di rettitudine morale, per fare la cosa giusta. Però poi scopriamo che la cosa giusta non deve avere alcuna chiarezza morale, e che è unicamente basata su un calcolo specifico, su algoritmi, su un dosaggio sapiente di parole buone e parole dure. Consenso. Pragmatismo.

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    Poi c’è la segretezza. E’ naturale che se nella realtà sei così diverso da quel che vuoi apparire hai bisogno di guardiani capaci di custodire i tuoi segreti. Dal 2008, Obama non ha fatto che parlare della necessità di una stampa “vibrante” e ha impostato la sua retorica su un rapporto diretto, informale con i cittadini americani, oltre alle grandi operazioni di trasparenza (sulle torture di Bush soprattutto) fatte per contrastare gli otto anni di buio e opacità che lo avevano preceduto. Ma sui leak, sulle informazioni filtrate alla stampa, Obama ha applicato la tolleranza zero: il ministero della Giustizia di questa Amministrazione ha aperto processi contro funzionari del governo che hanno dato notizie classificate all’esterno “più di tutte le amministrazioni che l’hanno preceduta messe assieme”, ha scritto Usa Today nel marzo scorso. E’ il motivo per cui sono stati messi sotto controllo i computer e i telefoni di almeno 20 reporter dell’Associated Press, ed è il motivo per cui lo stesso trattamento è stato riservato a un giornalista (o forse più) di Fox News.
    La segretezza ha permeato un po’ tutti i dossier obamiani, come dimostrano l’utilizzo dei droni in giro per il mondo e le varie versioni fornite dalla Cia sulle vittime degli strike, sulla cittadinanza delle vittime degli strike (quattro americani), sui luoghi colpiti. Quando finalmente Obama ha deciso di fare chiarezza sulla politica dei droni (che nel frattempo è passata sotto la supervisione del Pentagono: non è più “covert”, quindi è uno strumento di guerra pari agli altri: a tutti gli effetti destinato a durare), ha tenuto un discorso che era sintesi assoluta di ipocrisia: dicendo di voler mettere fine alla guerra permanente perché ne va dei valori americani di democrazia e libertà – con conseguente festeggiamento dei giornali liberal, un po’ di sollievo ci vuole anche per loro – Obama ha poi in realtà detto che i droni continueranno a essere usati laddove necessario, ed è lui a deciderne la necessità.
    Obama fa quel che un presidente deve fare: difendere il suo paese, disinnescare la minaccia terroristica, garantire benessere, stabilità, sicurezza. Ha tentato un approccio soft (vedi la mano tesa in Iran, per esempio) ma poi ha capito che le maniere dure erano più efficaci e le ha adottate. Ha ottenuto risultati eccezionali (uccidere Osama bin Laden, per esempio), ma paga di più, in termini di popolarità, mostrarsi cauto, non belligerante, attento più al portafoglio degli americani che al destino del popolo siriano. Il segreto conviene, finché non viene svelato. Poi il dramma non è tanto il perché hai tenuto un segreto, ma doverne parlare, dei propri segreti. Dopo tante promesse non mantenute, poi.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi