Due pallottole sullo schermo e via

Lanfranco Pace

Per una volta sono anche io “indignado”. Nell’ordine simbolico, quello che ha fatto Samaras con Ert ricorda l’immortale scena del monicelliano “Vogliamo i colonnelli”, in cui gli amici del colonnello Authomatikòs corrono negli studi Rai per annunciare il golpe ma le trasmissioni sono finite, sullo schermo c’è l’intervallo con le famose pecore al pascolo e allora un ufficiale fumantino prende la pistola e spara al televisore. Decidere senza consultare nemmeno la propria maggioranza, varare il testo di sabato pomeriggio perché nessuno possa accorgersene, oscurare di botto il segnale e spedire la polizia a presidiare i trasmettitori, è bang bang, due colpi e tutti a casa.

Leggi anche Fine delle trasmissioni

    Per una volta sono anche io “indignado”. Nell’ordine simbolico, quello che ha fatto Samaras con Ert ricorda l’immortale scena del monicelliano “Vogliamo i colonnelli”, in cui gli amici del colonnello Authomatikòs corrono negli studi Rai per annunciare il golpe ma le trasmissioni sono finite, sullo schermo c’è l’intervallo con le famose pecore al pascolo e allora un ufficiale fumantino prende la pistola e spara al televisore. Decidere senza consultare nemmeno la propria maggioranza, varare il testo di sabato pomeriggio perché nessuno possa accorgersene, oscurare di botto il segnale e spedire la polizia a presidiare i trasmettitori, è bang bang, due colpi e tutti a casa. Chiudere una televisione in meno di un amen per decreto non s’era mai visto prima nella storia dei media. Ciò detto però, non è male, anzi è cosa buona e giusta, entrare nel merito. Davvero chiudere una televisione oggi, è grave in sé, davvero costituisce attentato al pluralismo dell’informazione, alla libertà di espressione? Davvero sono appropriate reazioni colte qui e là che parlano di “ritorno indietro sul piano della civiltà, di coprifuoco delle idee, di sipario grigio e fumoso che si chiude sulla libertà”, addirittura di falò rievocando l’immagine luciferina di libri bruciati su pubblica piazza? Ma per favore.

    Mostriamo già tutti i sintomi dell’intossicamento da eccesso di informazione, ogni giorno che passa sembriamo più interessati a polemiche spicciole ed effimere che a conoscere il contesto in cui viviamo. Fummo eretti e sapienti, oggi siamo per lo più seduti, magari sdraiati, con gli auricolari e cliccanti, siamo info-addicted attivi e passivi, vogliamo cogliere il minimo scampolo di tutto, vogliamo lo stato di connessione permanente. In questo rutilante casino si fa una certa fatica a rintracciare e a difendere l’idea stessa di bene comune. Di certo non può essere quella dei tempi del monopolio, della grande Rai del bianco e nero, del monoscopio e del maestro Manzi che effettivamente contribuirono non poco all’alfabetizzazione degli italiani e alla formazione di un primo embrione di immaginario collettivo. Ma oggi non è più possibile fingere e dire che qualcuno perde in libertà, cultura e pluralità se viene chiusa una televisione. Dire che ogni morte ci diminuisce tutti è cattiva filosofia. La domanda che viene da Atene dunque è quanto mai legittima: ha ancora senso l’esistenza di questi poli televisivi pubblici, ramificati ed estesi, sovradimensionati, costosi e spesso mal gestiti, sempre sotto influenza di una mediocre politica? L’Ebu, European broadcasting union ovvero Unione europea di radiodiffusione, organismo che riunisce le emittenti per lo più pubbliche vede i propri membri sia effettivi sia associati in crescita, una ventina di aderenti in più ma la filosofia del servizio pubblico non sembra dare segni particolari di risveglio.

    In Francia verso la fine degli anni Ottanta il governo di destra di Chirac ridusse le reti pubbliche da tre a due privatizzando Tf1, l’ammiraglia amata dalla Francia profonda, insomma come se il Tesoro decidesse di vendere Rai1: fu redatto un cahier des charges e indetta una gara, la rete finì in mani amiche, il gruppo di Francis Bouygues. Venti anni dopo né la privatizzata né France 2 e France 3, le due rimaste pubbliche, hanno di che lamentarsi, anzi. In Gran Bretagna, dove pure il servizio pubblico è incardinato al prestigio e all’autorevolezza mondiale della Bbc, nei mesi precedenti la scadenza della concessione, si è discusso a lungo e approfonditamente, in Parlamento e sui giornali, sul ruolo, sui compiti, gli oneri e gli onori che spettano alla tv pubblica e su come mantenerla il più possibile indipendente. Nel 2016 scade la convenzione tra la Rai e lo stato italiano: non sarebbe male cominciare a discutere per tempo su una riforma seria che non porti a regalie ai privati e magari approfittare dell’occasione per ridare uno sguardo d’insieme. Senza isterie da parte del popolo rodo-zagrebelskiano. E’ vero, la Rai non è Ert. Ma non è nemmeno la Bbc. 

    Leggi anche Fine delle trasmissioni

    • Lanfranco Pace
    • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.