Londra mercatoria

Domenico Lombardi

Nel 2005, il G8 s’interrogava su come condividere i proventi di una crescita economica oltre le migliori attese. Oggi, al vertice delle otto grandi potenze che inizia la prossima settimana in Irlanda del nord, s’interroga su come contenere gli effetti di una crisi devastante nel mezzo di una sua propria crisi di identità dopo che il G20 si è autonominato principale foro per la cooperazione economica internazionale. Nel vertice del 17-18 giugno, ritrovandosi il Regno Unito al di fuori dell’Eurozona, con la spada di Damocle di un referendum sulla permanenza britannica nella Unione europea, il premier conservatore ha margini di manovra ridotti. Riconosce che una maggiore integrazione dell’Eurozona è la strada più semplice per stabilizzare la crisi europea, ma ne intuisce gli effetti centripeti sulla dinamica europea che rischiano di marginalizzare ulteriormente il governo di Sua Maestà.

    Nel 2005, il G8 s’interrogava su come condividere i proventi di una crescita economica oltre le migliori attese. Oggi, al vertice delle otto grandi potenze che inizia la prossima settimana in Irlanda del nord, s’interroga su come contenere gli effetti di una crisi devastante nel mezzo di una sua propria crisi di identità dopo che il G20 si è autonominato principale foro per la cooperazione economica internazionale. Nel vertice del 17-18 giugno, ritrovandosi il Regno Unito al di fuori dell’Eurozona, con la spada di Damocle di un referendum sulla permanenza britannica nella Unione europea, il premier conservatore ha margini di manovra ridotti. Riconosce che una maggiore integrazione dell’Eurozona è la strada più semplice per stabilizzare la crisi europea, ma ne intuisce gli effetti centripeti sulla dinamica europea che rischiano di marginalizzare ulteriormente il governo di Sua Maestà.

    Dallo scoppio della crisi finanziaria internazionale nel 2008-’09, l’economia britannica stenta a ritrovare la bussola della ripresa. Dopo aver preconizzato un consolidamento fiscale aggressivo e senza compromessi come migliore salvaguardia per porsi al riparo dagli effetti della crisi dell’Eurozona, l’economia ha registrato una fase di stallo da cui non sembra riprendersi. Londra ora concorda con Washington che “la sfida più grande è ripristinare una crescita forte e sostenibile dell’economia mondiale”, come ha dichiarato il primo ministro britannico. Eppure, rispetto agli Stati Uniti, non v’è lo spazio politico per far propria (credibilmente) un’agenda centrata su crescita e occupazione, dato che il divario in termini di performance economica fra le due economie atlantiche continua ad ampliarsi a danno di Londra. Sarebbe politicamente imperdonabile per chi ha fatto del rigore fiscale la propria bandiera politica, cercare una sponda con l’asse meridionale del G8, Italia e Francia, che chiede cautamente un approccio più bilanciato fra risanamento e riforme. Infine il Giappone, con una politica fiscale ai limiti del controllo e una politica monetaria iperespansiva, costituisce un’interessante sperimentazione da meritare, al più, un approfondimento della discussione.

    La grandeur protezionista dei francesi
    Ciò che resta è un’opportunità concreta e un diversivo. Il diversivo è dato dall’enfasi che il vertice dedicherà agli accordi di cooperazione in materia fiscale. Tuttavia pubblicizzare nuove intese è diverso dall’applicarne fedelmente lettera e spirito. L’opportunità per il premier conservatore sta, invece, nel far avanzare il progetto di libero scambio tra Stati Uniti e Unione europea di cui gli europei discuteranno già venerdì a Bruxelles, progetto che la Casa Bianca è fermamente intenzionata a concludere in tempi relativamente brevi. Prova ne è che a Pennsylvania Avenue stanno negoziando il conferimento di uno speciale mandato da parte del Congresso per facilitare la ratifica dell’accordo con l’Ue, non appena venisse raggiunto.

    Per la flebile amministrazione britannica, un significativo progresso su questo fronte, nella forma di un esplicito avallo dei leader del G8, costituirebbe un successo notevole che le consentirebbe la quadratura del cerchio. Londra si confermerebbe nel suo ruolo di anello strategico tra i due lati dell’Atlantico e la sua tradizionale visione dell’Ue come grande mercato unico ne risulterebbe rinvigorita. Per riuscirci, Cameron dovrà operare una triangolazione non facile. Da un lato, dovrà vincere le resistenze della Francia, contraria ad accordi di libero scambio che espongono la bassa competitività della sua economia all’intensificazione della concorrenza globale. Dall’altro, dovrà considerare la Germania e le incognite che le sue politiche pongono per la riuscita dell’ambizioso progetto. Anche se Berlino è disponibile, in linea di principio, a sostenerlo, la Casa Bianca ha non poche perplessità sulle politiche commerciali portate avanti dal partner tedesco e vede con preoccupazione un’economia che continua ad accumulare avanzi di conto corrente anche grazie a un cambio strutturalmente sottovalutato. Non a caso Barack Obama volerà a Berlino alla conclusione del vertice proprio per approfondire in via bilaterale questi elementi di preoccupazione. Sullo sfondo resta la sensazione che la presidenza inglese del G8 è un’opportunità da non mancare, prima di passare il testimone alla Russia di Vladimir Putin.

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