Mediobanca cerca fortuna all'estero ma ha molte grane in Italia

Alberto Brambilla

Se ne parla da un anno, ma il momento è arrivato: Mediobanca deve fare le valigie e cercare spazio all'estero. Ai piani alti di Piazzetta Cuccia si vuole dare nuovo slancio a un'espansione oltre confine delle attività di investment banking e corporate finance per cercare delle opportunità di profitto in nuovi ma già affollati mercati. Il processo non è facile, il buon esito non è scontato, ma fare un tentativo è necessario. Alla discussione su questo tema sarà dedicato il cda del 20 giugno, quando dovrà essere approvato il piano strategico.

    Se ne parla da un anno, ma il momento è arrivato: Mediobanca deve fare le valigie e cercare spazio all’estero. Ai piani alti di Piazzetta Cuccia si vuole dare nuovo slancio a un’espansione oltre confine delle attività di investment banking e corporate finance per cercare delle opportunità di profitto in nuovi ma già affollati mercati. Il processo non è facile, il buon esito non è scontato, ma fare un tentativo è necessario. Alla discussione su questo tema sarà dedicato il cda del 20 giugno, quando dovrà essere approvato il piano strategico. Sui dettagli del “percorso straniero” si misurerà, almeno in parte, la compattezza della variegata compagine di controllo della piccola banca d’investimento milanese, in cui convivono nove azionisti riuniti in un patto di sindacato proprietario del 42,13 per cento delle quote.
    Negli ultimi otto anni, Mediobanca ha provato a ritagliarsi delle nicchie all’estero aprendo degli uffici a Parigi, Mosca, New York, Francoforte, Madrid. Mediobanca non ha trovato abbastanza spazio: è stata parzialmente respinta perché i mercati sono già presidiati da colossi come Deutsche Bank, prima banca d’investimento europea, o Goldman Sachs, la prima al mondo. Se in passato è stato difficile reggere il confronto, oggi le incognite sono anche maggiori: gli spazi sono più stretti, la liquidità scarseggia e le attività italiane sono diventate poco appetibili.

    In generale, poi, la nicchia dell’investment banking italiano è in una fase critica. Lo segnala un report della società di consulenza AlixPartners: “Le banche italiane dovrebbero rimodernare il settore per ampliare il business dell’investment banking in modo da competere su scala europea”, dice il rapporto della casa newyorchese consigliando di guardare all’America latina e all’Africa in un contesto nel quale Intesa Sanpaolo, Unicredit e Mediobanca sono assenti dalle classifiche internazionali che contano in materia di investment banking. Prima di partire, però, Mediobanca dovrà liberarsi della “zavorra” italiana. A Piazzetta Cuccia c’è la consapevolezza di dovere lasciare qualche partecipazione industriale, finora importante per avere influenza in Italia, ma diventata superflua con l’aggravarsi della crisi finanziaria. Fra le partecipazioni viene considerata “strategica” quella in Generali, perché è un socio forte di Mediobanca – la quale a sua volta è la prima azionista di Generali, terza compagnia assicurativa d’Europa. Diverso l’approccio alle partecipazioni in Telecom Italia e nella Rizzoli-Corriere della Sera: non sono più indispensabili, semmai onerose e delicate da gestire perché in condominio con soci litigiosi. Trovare liquidità è poi un’altra esigenza pressante per Mediobanca, a maggiore ragione in vista di un’espansione estera servono più capitali. La raccolta è infatti limitata agli introiti di CheBanca: è  l’unica attività di sportello alla clientela, è in rapida crescita, ma garantisce solo il 10-20 per cento del fabbisogno (soldi che in parte finiscono nelle operazioni di mutui o leasing). Il resto della liquidità arriva dalle obbligazioni societarie, attraverso nuove emissioni o con l’allungamento delle scadenze dei bond circolanti. In Italia Mediobanca resta leader della consulenza alle aziende. Occupare questa posizione apicale, per il marchio di Piazzetta Cuccia, significa più che altro rafforzare il proprio blasone, poiché il ricavato dell’advisoring non è esorbitante e per un terzo finisce ai manager, il resto ai soci. Ma la difesa del blasone, a volte, induce a qualche spregiudicatezza: Mediobanca, in più occasioni, ha fatto da consulente in partite finanziare nelle quali era indirettamente coinvolta. Nel caso della cessione di Parlamalat a Lactalis American Group, l’istituto guidato da Alberto Nagel “non poteva reputarsi indipendente”, secondo un’ordinanza del tribunale di Parma, perché vantava dei crediti nei confronti di Lactalis.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.