Grillo voleva fare del M5s la sua Corea del nord, e ora sogna l'Africa
“Io ho una sola voce”, dice Beppe Grillo chiedendo agli italiani “di incazzarsi”, chiuso nella furia e nella delusione da palcoscenico amaro che si ritrova sotto ai piedi. Di Riccardo III, che faceva fuori chiunque gli si frapponesse sulla via della presa del potere, c'è soltanto l'eco, nella sua foga autodistruttiva. Non c'è la forza nera shakespeariana, ed è questo il vero dramma: i suoi avversari non sono veri avversari, i suoi sudditi sono sudditi, e suddito non vuol dire necessariamente amico. Senza la polvere, Beppe Grillo non sarebbe Beppe Grillo, figlio alla lontana di una “caduta”, la cacciata dalla Rai. Anche stavolta la caduta è sul palco, sotto gli occhi di tutti, solo che qualcuno tra il pubblico si è messo a tirare i pomodori.
E' attesa per il tardo pomeriggio, alle 18, la diretta streaming della riunione congiunta dei parlamentari del Movimento 5 stelle di Camera e Senato che dovranno decidere le sorti politiche della senatrice emiliana Adele Gambaro. Gambaro, la settimana scorsa, aveva criticato dai microfoni di Sky Tg 24 l'ex comico Beppe Grillo giudicandolo responsabile del fallimento elettorale del M5s alle elezioni amministrative.
“Io ho una sola voce”, dice Beppe Grillo chiedendo agli italiani “di incazzarsi”, chiuso nella furia e nella delusione da palcoscenico amaro che si ritrova sotto ai piedi. Di Riccardo III, che faceva fuori chiunque gli si frapponesse sulla via della presa del potere, c’è soltanto l’eco, nella sua foga autodistruttiva. Non c’è la forza nera shakespeariana, ed è questo il vero dramma: i suoi avversari non sono veri avversari, i suoi sudditi sono sudditi, e suddito non vuol dire necessariamente amico.
Senza la polvere, Beppe Grillo non sarebbe Beppe Grillo, figlio alla lontana di una “caduta”, la cacciata dalla Rai. Anche stavolta la caduta è sul palco, sotto gli occhi di tutti, solo che qualcuno tra il pubblico si è messo a tirare i pomodori. Come ha fatto, Beppe Grillo?, si chiedono da fuori, come ha fatto a dissipare la sua fortuna (politica) in così poco tempo? E però bisogna vedere che cosa per lui è tutto, che cosa ai suoi occhi di attore è fortuna e non dannazione sotto mentite spoglie. Non l’avevano capito, prima, i suoi adepti e i suoi eletti (finora quasi del tutto coincidenti) che Grillo era e restava attore prima di tutto, e quindi profondamente umorale, bambinesco, clownesco, ombroso, euforico e in un baleno preda del malumore: fragile, dunque anche isterico, a tratti incline alle grandiosità superoministe (traversata a nuoto dello Stretto di Messina), a tratti vittima dello spleen e della pazienza smarrita davanti agli amici che ti scaricano, come quando Stefano Rodotà l’ha criticato sul Corriere della Sera, dopo che lui, Grillo, ne aveva fatto una bandiera al punto da minacciare la marcia su Roma, poi fermata sul limitare di una piazza fuori controllo. Forse il rivoluzionario che i suoi vedevano in lui non si sarebbe fermato, ma Grillo appunto è un attore, non un rivoluzionario, anche se poi, nel teatro in cui si era calato, diceva di voler fare “la Rivoluzione francese senza ghigliottina”, e cioè con il politometro, strumento di terrore fiscale, e con la condanna ai lavori socialmente utili per i “ladri” della casta. Adesso neanche più le parole d’ira dette a Rodotà (“ottuagenario miracolato”) o al Parlamento in cui i suoi girano con lo scafandro sempre meno ermetico (“tomba maleodorante”) compattano le folle un tempo esaltate, sotto la neve di febbraio, dall’urlo contro gli “zombie” dei partiti, anche detti “padri puttanieri”. Già l’anno scorso, in maggio, dopo la vittoria di Pizzarotti a Parma, Grillo appariva nervoso, indisponibile, proiettato altrove, come se non avesse neppure vinto, e aveva poi passato un’estate a prepararsi all’impresa titanica tra Scilla e Cariddi (altro che ottenere un sindaco alle amministrative).
Agli occhi narcisi del Grillo da palcoscenico, parziali in quanto irrazionali, i senatori e i deputati che cedono al buonsenso, alla voglia di cazzeggiare, di allearsi o all’orgoglio di avere un ruolo (fare qualcosa visto che sono lì, dicono), sembrano gente che sputa nel piatto in cui mangia, come pure, forse, i colleghi artisti che dicono “ho sbagliato a credere in te” – Gino Paoli e Sabina Ciuffini si sono aggiunti a quelli che, con Fiorella Mannoia, Adriano Celentano e Jacopo Fo, pensavano che Grillo fosse, chissà, uno statista, un moderato, un lungimirante, un temporeggiatore, un ragionevole, uno stratega che fa l’accordo col Pd per tenere in scacco il Pd. Ma Grillo era Grillo, cioè niente di tutto questo.
Ma come?, non possiamo esprimere la nostra opinione, trasecolano gli eletti a cinque stelle, alcuni dei quali “disperati” di fronte alla scelta: espellere o no la senatrice Adele Gambaro, quella per cui Grillo non è più un uomo “qualunque” ma un capo politico con responsabilità, anche della sconfitta? Era già accaduto, mesi fa, che Grillo si mostrasse apertamente isterico, oltre che istrionico. Era accaduto nell’autunno fattosi improvvisamente impervio nonostante la vittoria in Sicilia, quando lui, l’ex comico, davanti a Federica Salsi che andava a “Ballarò” e a Giovanni Favia che parlava in fuorionda, e davanti alle risate dell’Italia tutta per le sue parlamentarie casarecce (con pochi clic) usciva nottetempo in ologramma dal blog, arruffato e rosso in volto, per dire che si stava “arrabbiando”, arrabbiando molto, e che quelli che non erano con lui, con loro, con “noi” – il “noi” con cui disegnava attorno agli attivisti il confine della sua Corea del nord – potevano andare “fuori dai coglioni”. “E ci andranno”, aggiungeva prima di scomunicarli definitivamente, togliendo loro l’uso del simbolo, che è un po’ come togliere la corrente alla radio che suona, e il filo al burattino. Le pantofole che Grillo si era sfilato, e che già minacciava di rimettere (potevo godermi la vecchiaia, restare sul divano, diceva), erano già la via d’uscita offesa dell’attore incompreso. Ed è un déjà-vu, la tragedia dell’altro giorno, con la suddetta senatrice Gambaro che critica i toni del capo e con il capo che strepita, minaccia, fa Mangiafuoco e sbuffa e scalcia e medita l’atto finale prima della calata del sipario: andarsene lui per primo, non prima di aver detto l’ultimo vaffa ai suoi che ora vorrebbero camminare da soli, pur non sapendo dove andare, illudendosi forse di avere autonoma vita, come lui s’illude di avere ancora autonoma scena (e magari la avrà, ma appunto come attore).
L’attore non sopporta la fine della magia, il trucco che cola, l’uscita dal camerino senza fila di sconosciuti che si intrufolano per complimentarsi (“sa, l’ho vista dieci anni fa, nel posto Tal dei Tali, si ricorda?). L’attore non sopporta di non essere più prestigiatore: “Chiudete questi cazzo di ombrelli”, diceva Grillo, e la gente nella piazza li chiudeva, nonostante la pioggia, ma era appunto quest’inverno, e in tre mesi lo spettacolo è venuto a noia prima di tutto a lui, la star.
L’attore vive di applausi, ma non è quello il punto, ora. Molti, anche se sempre meno convinti, continuano ad applaudirlo, Grillo, pur in mezzo allo sconcerto per le sue pose da capo nell’assedio: tutti i nemici fuori, noi i soli buoni e i soli giusti, una sola voce per far digerire agli ignari sudditi chiusi in una bolla la necessità di non pensare con la propria testa (e comunque i suoi sudditi si erano messi a disposizione, tanto che ora a guardarli viene da chiedersi: pensavano forse di cambiarlo, il leader mitizzato e non visto per quello che era, un artista annoiato che si butta nell’avventura, finché resta per lui avventura e non scocciatura?). Era già stata una scocciatura, per Grillo, scocciatura infinita: gli streaming andati male, l’indistinto degli attivisti che si fa insieme scomposto di gente che vuole parlare di diaria e però vuole anche essere raccontata per “contenuti”, e ancora prima, all’indomani delle elezioni politiche, la lotta da Don Chisciotte contro i cosiddetti “trolls” che criticavano la sua linea sul blog e chiedevano l’accordo col Pd. “Avete sbagliato voto”, era la frase rivelatrice del tratto bisbetico. E chissà se la soluzione è quella immaginata da Casaleggio: sdoppiare il blog, dare ai parlamentari il loro posto al sole, ma sempre all’ombra del capo.
L’Africa di Beppe Grillo è già qui, nel sogno neanche nascosto di tornare a fare il comico in tour internazionale. L’Africa psicologica è nostalgia di adrenalina non sporcata dalla realtà degli eletti che vogliono essere “utili” sentendosi istituzione (ché questo è accaduto ai cosiddetti “grillini” dopo l’ingresso in Parlamento: si sono sentiti qualcuno a dispetto del leader). L’assurdo della setta che non vuole più essere setta, ma che se non è setta scompare, è sotto agli occhi del leader. Volevano essere su Gaia, il pianeta telematico di Casaleggio, gli adepti, tutti governanti e governati con un clic, tutti dietro al capo che nuotava forsennato nello Stretto verso un futuro di catarsi a mezzo Google – potente immagine, quella, ibrido tra antico e moderno, e oggi immagine lontana come non mai. Oggi si accontenterebbero di essere parlamentari, gli adepti. Ma per Grillo accontentarsi è oblio, sentore di giardinetti, anonimato, tedio, inferno dai molti gironi. Meglio lo scatto, piuttosto. Di nervi, per lo più.
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