Il cingolato di Dio
"Per me una cedrata Tassoni…” (come Mina in un'arcaica pubblicità: per te e per gli amici una cedrata…). Dentro la luce barocca di piazza Navona, Carlo Giovanardi si sfila la cravatta, si toglie la giacca. Lancia un'occhiata sfottente: “Ah, poi ho fatto pure la derattizzazione nella casa di Modena… Hai qualcosa da obiettare?”. Pure i gatti, oltre ai sorci, e ovviamente i cani, starebbero in cagnesco davanti al granitico senatore. Berlusconiano, va da sé, ché ognuno che non stia di qua un po' di unzione dall'Unto di là ha preso – ma soprattutto archetipo democristiano dei democristiani che furono: non quelli sottili della sinistra del partito, non i flessibili andreottiani, non i tormentati morotei, ma quelli della democristianeria profonda della profonda Italia.
"Per me una cedrata Tassoni…” (come Mina in un’arcaica pubblicità: per te e per gli amici una cedrata…). Dentro la luce barocca di piazza Navona, Carlo Giovanardi si sfila la cravatta, si toglie la giacca. Lancia un’occhiata sfottente: “Ah, poi ho fatto pure la derattizzazione nella casa di Modena… Hai qualcosa da obiettare?”. Pure i gatti, oltre ai sorci, e ovviamente i cani, starebbero in cagnesco davanti al granitico senatore. Berlusconiano, va da sé, ché ognuno che non stia di qua un po’ di unzione dall’Unto di là ha preso – ma soprattutto archetipo democristiano dei democristiani che furono: non quelli sottili della sinistra del partito, non i flessibili andreottiani, non i tormentati morotei, ma quelli della democristianeria profonda della profonda Italia. Peraltro, sottolinea lui, nello sprofondo specifico dell’Emilia comunista, solida e rossa. Peppone e don Camillo, ecco – “e se mi dici che somiglio a don Camillo mica mi offendo, anzi”, che però non davanti al crocifisso si attarda a conversare, piuttosto con qualche agenzia o qualche programma radiofonico: e son sempre dolori e scandalo e infinite polemiche. “E’ l’immaginario collettivo, ecco cos’è: se la realtà non corrisponde con l’ideologia, allora è peggio per la realtà”.
Pochi sorsi, la cedrata è finita. Ma siccome a Giovanardi il paragone con don Camillo piace non poco, eccolo per paradosso arrivare agli elogi dei Pepponi che negli anni Settanta e Ottanta fronteggiava nella sua emiliana terra di missione. “C’era un assessore all’Agricoltura, un vero stalinista, dicevano che dove passava lasciava i cingoli, però era bravissimo. Prese come collaboratori degli esperti democristiani. ‘Preferisco lavorare con dei democristiani intelligenti, piuttosto che con dei comunisti cretini’, mi diceva…”. Vabbè, stalinista ma di buonsenso… Rimira sconfortato il bicchiere ormai vuoto. “I comunisti dividevano il mondo in due categorie: quelli che erano comunisti e quelli che lo sarebbero diventati. Ne sai qualcosa anche tu, no? Da quelle parti noi democristiani eravamo forti, onesti, organizzati. Avessimo avuto pure i voti saremmo stati un partito perfetto”. Sospira: “C’erano grandi figure. La sinistra di oggi, invece: comunistelli da sacrestia, anime belle… Quando sento per esempio Luigi Manconi… Avendo perso l’Urss, adesso cercate un ruolo: magari nelle nozze gay o negli animali…”.
Quanto a cingolati, come il suo antico assessore stalinista, neppure Giovanardi scherza: spiana, avanza, cannoneggia. L’aborto. La droga. I gay. Il femminicidio. Sbirri sempre solerti. Gli animalisti. L’eutanasia. La bioetica. La famiglia. I comunisti, pur nella nuova versione – e che sempre, comunque, sullo sfondo rosseggiano. Che poi, l’Italia giovanardiana forse neanche nei recessi delle più sorvegliate sacrestie esiste più: da qui magari il gusto e la perdizione della provocazione e del controcorrente che quotidianamente pratica. Fossero i comunisti, poi: anche i suoi amici del centrodestra al cingolato preferiscono di gran lunga il risciò. Dicono altre cose Galan come la Carfagna, la Brambilla come Frattini, Cicchitto come Crosetto, ecc. ecc – giusto Gasparri a volte s’associa; confortante, certo; consolante, chissà. “La solitudine? Io sono sempre stato in sintonia con Berlusconi, un ex dei salesiani come me, nessuno mi ha mai contraddetto…”. Bisogna onestamente riconoscere che corale simpatia Giovanardi non raccoglie – né sui giornali, “un giornalismo cialtrone che manipola e deforma il pensiero degli avversari… ridicolizzano le cose che dico…”, né nelle aule parlamentari, né con rapido sondaggio tra amici e conoscenti (Amico giornalista: “Ah, quella faccia di merda…”. Amico elettore pidielle: “Oddio, du’ cojoni!”. Amico gay: “Sta là solo per rompere il cazzo a noi!”. Amica de sinistra: “Nun vole manco er femminicidio, ma vaffanculo!”. Amico piddì: “Il famoso soldato di Dio…”). E’, dopo il Cav., il Grande Detestato della nostra cronaca quotidiana. Lui si accalora, spiega, si perde e ti trascina nei mille dettagli delle sue mille prese di posizione. “Son mica cretino, io…”. Allinea, ritorna, ti insegue con le parole. Evoca e rievoca “l’immaginario collettivo” – che lo distorce, lo fa un po’ spauracchio e un po’ macchietta. Ma non pare per nulla impressionato. Parliamo della tua solitudine politica, dico. “Andare altrove è una patologia tutta italiana. Ho sempre rivendicato il mio diritto costituzionale a collocarmi in un’area precisa e di non dover lottare tutta la vita perché quelli con cui sto mi vogliono portare da un’altra parte. Arriva Martinazzoli e mi vuole portare di là, arriva Casini e mi vuole portare di là. Come se io cattolico dicessi: andiamo con i musulmani…”. Così, ancorato e immobile, Giovanardi se ne sta. “Mi offende la mistificazione. Sulle cose che ho detto accetto il confronto, anche l’invettiva. Ma sulle cose che ho sostenuto, non su certe balle cosmiche”. Anzi, addirittura vorrebbe scrivere un libro appunto intitolato “Balle cosmiche”. Quasi come Travaglio? “In che senso?”. Travaglio ha scritto un libro che s’intitola “Le mille balle blu” – nel senso di quelle di Berlusconi… “Mi sa che mi tocca cambiare titolo, allora”.
Il caso Cucchi. Il caso Aldrovandi. Il caso Ikea (nel senso del manifesto con due uomini che si tengono per mano). Il caso Olanda (“La legislazione nazista e le idee di Hitler in Europa stanno riemergendo, per esempio in Olanda, attraverso l’eutanasia e il dibattito su come si possono uccidere i bambini affetti da patologie”). La caccia. Le pellicce. Il caso militari gay. Il caso donne che si baciano. Il caso Ustica (pure il caso Ustica: bomba e non missile, pare). Il caso Madonna (nel senso di cantante). Il caso Maria e Maddalena (nel senso di certe modelle, persino vergini, finite sui manifesti). Il caso gay e l’Olocausto nazista. Il caso Gianna Nannini mamma (“Non auguro alla figlia della Nannini di avere due mamme”). Senza contare la Fini-Giovanardi all’esame della Consulta, ecc. ecc. Non se ne fa scappare una, Giovanardi. Non dà pace e non gli danno pace, in un gioco di rilancio che sembra anche non poco divertirlo. Dove gli altri saggiamente levano il dito, lui ostinatamente lo va a ficcare. Persino i suoi alleati, anzi: per primi i suoi alleati, si volgono con finta distrazione dall’altra parte, fischiettano con studiata indifferenza, alzano le spalle infastiditi. Persino il ministro (della Giustizia) Cancellieri ha avuto da ridire sull’esito del processo Cucchi, così Giovanardi si è buttato a pesce. “Le foto di Cucchi? Quelle ecchimosi sono derivanti dalla mancanza di nutrizione nella quale è stato lasciato per giorni. Tutti i segni, comprese le orbite negli occhi, sono il risultato della situazione in cui è stato lasciato. Delle botte degli agenti di custodia non ci sono prove… Per quindici, sedici volte consecutive Stefano Cucchi ha avuto delle bote ed è stato ricoverato, se qualcuno mi dimostra che c’è stata una diciassettesima per colpa degli agenti di custodia… Altrimenti i processi a cosa servono? Gli agenti devono essere colpevoli solo perché lo vuole il circo mediatico e Manconi?”. Oppure sui poliziotti condannati per la morte del giovane Federico Aldrovandi. “Non devono stare in galera. Sono vittime come il ragazzo che è morto, non vanno cacciati dalla polizia”. Di nuovo riappare, mentre il sole cala sulla fontana del Bernini, l’infernale fantasma giovanardiano dell’immaginario collettivo… “Lo avevano immobilizzato, così…”, e comincia a dimostrare, con braccia e mani, come qualcuno possa essere immobilizzato a terra. “Mica volevano ucciderlo. Hanno avuto una sfiga cosmica…”. Veramente, la sfiga cosmica più grossa ce l’ha avuta quel ragazzo. “Certo, ma pure loro… Penso di avere un senso di giustizia…”. Ma se hai persino detto che la macchia rossa sotto la testa era un cuscino, non sangue. “Lì mi sono sbagliato, è vero, chiedo scusa…”.
Se c’è un cavallo di battaglia di Giovanardi, è quello dei gay. Vigila, pattuglia, bacchetta, fiuta, azzarda: i gay a lui non gliela fanno. E poi ti risenti quando ti dicono che sei omofobo… “Certo che mi risento! Cazzo, dimostrami come lo sono, dai, dimostramelo…”. Dice: “La mia migliore amica americana vive con un’altra donna, fatti loro, però se dice che vuole sposarsi io non sono d’accordo”. Ricorda: “Quando lavoravo in banca, avevo un collega, un democristiano che mi aiutava a prendere anche dei voti, che viveva insieme a un ragioniere”. E allora? “Allora uno nel privato fa quello che gli pare, non me ne frega niente”. Ma al pubblico palesarsi di una coppia gay – fosse di maschi, fosse di femmine – il radar di Giovanardi si attiva. Memorabile fu lo scontro per un manifesto dell’Ikea. Dunque: c’erano due uomini che si tenevano per mano, e la scritta: “Siamo aperti a tutte le famiglie”. Nientemeno, vide un attacco alla Costituzione. “L’Ikea è libera di rivolgersi a chi vuole e di rivolgere i propri messaggi a chi ritiene opportuno. Ma quel termine ‘famiglie’ è in aperto contrasto contro la nostra legge fondamentale che dice che la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio, ed è usata in quella pubblicità in polemica contro la famiglia tradizionale, considerata datata e retrograda”. Poi, per non far torto a nessuno, toccò a Eataly, che aveva a sua volta stampato un manifesto dove a tenersi per mano erano due donne, e la scritta: “Anche noi di Eataly siamo aperti a tutte le famiglie”. Giovanardi caricò: “L’iniziativa Eataly di Oscar Farinetti dimostra quello che da tempo denunciamo con forza, e cioè che la vera dimenticata e discriminata in Italia è la famiglia della Costituzione…”, ecc. ecc. Insomma, che esagerazioni! “Ah, sì? Io non contesto il fatto che due uomini o due donne vivano insieme, ma il dato anagrafico…”. Ma insomma, due persone che si amano possono benissimo sentirsi famiglia… “E chi glielo impedisce? Anche i tuoi gatti, per te, fanno parte della tua famiglia. Ma per la nostra Costituzione la famiglia è un’altra cosa”. Poi venne pure il momento dei soldati gay, per i quali Giovanardi invocò camerate separate dal resto della truppa – più o meno, negli stessi giorni il generale dei carabinieri Clemente Gasparri (fratello di) aveva constatato che “essere gay non è pertinente allo status di carabiniere” (che potrebbe fare, l’appuntato: molestare il maresciallo?). Tra un appello e un contrappello, scandì Giovanardi: “Se avessi due o tre persone che non solo sono gay, ma vogliono praticare in maniera attiva la loro omosessualità, avrei qualche imbarazzo a essere in una camerata con loro”. Figurarsi, reciproco imbarazzo. O almeno, vigilante Giovanardi ai piedi del letto, gli arrapati militi troverebbero di sicuro indesiderato impedimento.
Ma l’accusa di omofobia – operante “il solito coro dei trasgressori professionisti” – fa scattare Giovanardi come e più rapidamente che sulla fresca cedrata. “Ma dai! E’ un problema di bon ton, di educazione, di regole…”. Adesso, a un certo punto, al calar della sera, la discussione si fa specialistica e scende nel dettaglio. “Ci sono organi costruiti per ricevere e organi costruiti per espellere. Che la natura abbia creato organi per espellere feci e organi per attività sessuali, mi sembra una cosa talmente elementare… Puoi utilizzare tutti in una certa maniera, ma non è naturale…”. Di cosa si parla si capisce; perché se ne parla, ovviamente pure. Ma nello specifico, la storia fu quella di una contestata (da Giovanardi) sua intervista, quella che passò alle cronache come “il bacio tra due donne è come fare la pipì per strada”. Che non fosse una grande pensata ne conviene pure il diretto interessato, che infatti protestò, s’incazzò, precisò. “Frasi estrapolate e ricucite ad arte”. Scorre lo stenografico dell’intervista, “leggi, leggi”, ripete e insiste – “ostentatamente”, ecco, “ostentatamente” Giovanardi non vuole. Così che a Modena organizzarono, i giovani di sinistra, il “Giovanardi Day” al cui ricordo il diretto interessato ancora scatta e ancora s’inalbera. “Lingua in bocca, uomini con uomini e donne con donne! E sono gli stessi che vogliono processare Berlusconi perché fa le cene a casa sua!”. Ostentato, ripete: l’atto è ostentato. “A me, se sono Ugo con Ugo o Ugo con Maria o Maria con Maria, a casa loro possono fare quello che gli pare, non me ne frega nulla. E’ solo un problema del vivere civile. Invece il Berlusconi sta a casa sua, nella sua tavernetta, la sera fa le sue cene, e viene processato. Dico, ma in che cazzo di mondo siamo?”.
Giovanardi è stato carabiniere di leva – e qualcuno dirà pure: si vede. Avvocato, ha lavorato in banca. Ha 63 anni. All’università, tra i suoi professori Giuliano Amato. “Mi ha dato un trenta e lode. A Modena, lì all’università, era visto male perché unico socialista in mezzo a tutti quei comunisti”. Da vent’anni è parlamentare – nel suo temerario intendimento di non farsi trascinare altrove dalle correnti post democristiane, ha risalito le rapide mastelliane e casiniane dal Ccd all’Udc fino al Pdl del Caro Cav., con appositi Popolari Liberali nel Popolo della Libertà di suo specifico innesto. E’ stato ministro e sottosegretario. Nel suo sito, alla voce “hobby e tempo libero” si trova scritto: “Sono collezionista di francobolli e mi onoro di essere il presidente del circolo filatelico di Montecitorio”. Una botta di vita, si direbbe – ma la faccia di Giovanardi s’illumina, quasi di infantile contentezza, quando si passa ai timbri e agli uffici postali, mollando gay e caserme in subbuglio. Ne discuteva (di filatelia, non di caserme), rammenta, con Giulio Andreotti. Rievoca rapito una mostra, “c’erano due lettere datate 20 settembre 1870, partite dallo stesso ufficio postale: una la mattina, con il francobollo dello stato pontificio, l’altra la sera, con l’affrancatura del Regno d’Italia, era di un bersagliere che scriveva alla sua ragazza: ‘Cara Rosina, siamo entrati questa mattina…’. Lo stesso ufficio ha continuato a funzionare anche in quel giorno, capisci?”. Capisco. Ma poi, ci sarebbe ancora tanto da battere e ribattere con il senatore Giovanardi. Adesso, per esempio, ce l’ha con questa storia del femminicidio, della possibilità che uno stesso reato produca pene diverse se è commesso contro una donna o un gay o, dice lui, “un buon padre di famiglia, ultimo gradino dei valori perché non è donna e non è gay”. “Per il crimine futile e abietto è già previsto l’ergastolo? Ma che cazzo ci vuoi scrivere, in una norma così? Sai cosa mi rispondono i colleghi al Senato: è evidente che la norma non verrà mai approvata. Nessuno pensa che cagate del genere passeranno, ma intanto nessuno ha il coraggio di dirlo apertamente…”.
A curiosare sui blog, è Giovanardi uno dei più sbeffeggiati, pesantemente insultato, dileggiato. Minacciato, a volte. Ma appunto, la casacca di bastian contrario – certo quasi ovunque, anche un po’ nel pidielle – non gli dispiace del tutto. Un giorno ha convocato un convegno in Parlamento, presente pure un partecipe monsignore, a difesa di pellicce, bistecche, cavie in laboratorio, bestie prigioniere dei circhi e vari altri (discutibili: non da lui) utilizzi degli animali. “Ancora non riesco a pubblicare gli atti” – e ci deve essere allora dell’occultata saggezza, nell’editoria. Scruta al di là del tavolino, beffardo. “Ho pure derattizzato a casa…”. Lo ricambio citando la sua collega Michela Vittoria Brambilla, autrice dell’apposito “manifesto animalista” per quelli del centrodestra. Non ci intendiamo, per l’ennesima volta. “Sono andato al circo con il mio nipotino, c’erano degli animalisti che mi contestavano. ‘Assassino, assassino! Mangi pure il prosciutto e le uova! Io sono vegano!’, mi ha detto uno. ‘Io invece sono normale e vi saluto’, ho risposto. E un altro, con un cane al guinzaglio: ‘Io sono anche gay!’. ‘E a me, scusi, che me ne frega?’”. E’ piuttosto un problema di sensibilità, estremismi a parte, di sentire certe cose… “Beh, allora senti: se la nave affonda e c’è un bambino e dieci cani, io cerco di salvare tutti, ma quando devo scegliere salvo il bambino”. Cavolo, però, che sfiga: ci sarà l’immaginario collettivo, ma pure l’immaginario giovanardiano non scherza, quasi un Titanic. Ti ricordi quella frase di Alberto Giacometti? “In un incendio, tra un Rembrandt e un gatto, io salverei il gatto e poi lo lascerei andare”. Quasi sorprende, Giovanardi: “Non lo trovo scandaloso. Ogni cosa ha una sua logica, e le cose sono sempre dopo gli uomini e gli animali. Anche se, certo, un Rembrandt…”. Però, scuse mai (quasi, pochissime), avanti sempre. Il carabiniere che si cela nel democristiano Giovanardi che si cela nel disattento berlusconismo mai s’assopisce – fedele a se stesso resta. Se non nei secoli, nella legislatura.
All’erta sta. “Perché non provi ad andare a fare l’animalista spiritoso a Siena, durante il palio? Vai, poi fammi sapere…”. La notte s’annuncia: estiva, finalmente. Peccaminosa, diononvoglia. Giovanardi sempre vigila.
Il Foglio sportivo - in corpore sano