Il vertice del congelamento

Al G8 Putin celebra la vittoria in Siria e dà una lezioncina all'occidente

Paola Peduzzi

Non c’è dispaccio proveniente dall’Irlanda del nord, sede del G8 in corso, che non contenga la parola “frosty”: è tutto ricoperto di ghiaccio, le relazioni, i dossier, le prospettive, la questione siriana soprattutto. La seconda puntata dello scandalo sullo spionaggio permanente di America e, ora sappiamo, Regno Unito per merito di Edward Snowden, il leaker ormai scomparso nelle lande asiatiche a dominio cinese, non ha aiutato a scongelare l’atmosfera (Gordon Brown spiò tutti al G20 del 2009, gli americani spiarono l’allora presidente russo, Dmitri Medvedev), ma c’è di buono che se gli spioni sono ancora all’opera avranno poco da rivelarci.

    Non c’è dispaccio proveniente dall’Irlanda del nord, sede del G8 in corso, che non contenga la parola “frosty”: è tutto ricoperto di ghiaccio, le relazioni, i dossier, le prospettive, la questione siriana soprattutto. La seconda puntata dello scandalo sullo spionaggio permanente di America e, ora sappiamo, Regno Unito per merito di Edward Snowden, il leaker ormai scomparso nelle lande asiatiche a dominio cinese, non ha aiutato a scongelare l’atmosfera (Gordon Brown spiò tutti al G20 del 2009, gli americani spiarono l’allora presidente russo, Dmitri Medvedev), ma c’è di buono che se gli spioni sono ancora all’opera avranno poco da rivelarci. Vladimir Putin, presidente russo, è il padrone di questo G8 almeno per quel che riguarda la politica estera, e fin dalle premesse s’è capito che non ha intenzione di risparmiare nessuno – nemmeno il senso del ridicolo.

    Per togliere il ghiaccio, ieri i leader del mondo-versante occidentale si sono presentati in conferenza stampa senza cravatta, con il padrone di casa, il premier inglese David Cameron, senza neppure la giacca, a dimostrare informalità, confidenza, armonia. Ma Cameron aveva già preso la sua buona dose di ghiaccio il giorno precedente, quando aveva detto che si sta cercando “un territorio comune” sulla questione siriana e di fianco aveva Putin che lo guardava con l’aria di chi non ha bisogno di alcuna legittimazione comune. Il Cremlino ha le idee chiare: dice che “le mani piene di sangue” sono da entrambe le parti del conflitto in Siria – i ribelli infestati da al Qaida e il regime – ma la Russia non sta violando alcuna legge quando rifornisce di armi “il governo legittimo della Siria” (vedi articolo di John Bolton a pagina tre, ndr). Tutte le mani sono insanguinate, ma quelle che abbracciano Putin lo sono di meno: aiutare i ribelli che “mangiano gli organi” dei loro nemici va contro “i valori umanitari e culturali” dell’Europa, ha dichiarato il presidente russo con sorriso beffardo. Lì di fronte a lui circolavano copie del Sunday Times con un articolo in cui si spiegava che la Syria’s National Defence Force, il gruppo paramilitare di Damasco nato durante questa guerra civile, conta ormai 80 mila uomini che hanno imparato da Hezbollah e dalle Guardie rivoluzionarie iraniane a “combattere strada per strada” contro i ribelli ad Aleppo. E’ una “guerra mondiale” quella che si svolge in Siria, ha detto il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, la battaglia di Aleppo non è più una questione di Bashar el Assad: è la guerra della Russia contro l’occidente, la guerra che la Russia sta vincendo contro l’occidente.

    Le parole di Putin – avvalorate ieri da Mosca che ha chiarito il fatto che mai la Russia approverà in Consiglio di sicurezza dell’Onu qualsiasi forma di “no fly zone” in Siria – hanno riacceso la preoccupazione degli alleati occidentali: stiamo armando le persone sbagliate. I giornali inglesi ieri erano pieni di mani avanti, a cominciare da quelle del sindaco di Londra, Boris Johnson, che ha detto che ormai è tardi, dare armi oggi ai ribelli significa darle ad al Qaida, un errore di cui ci pentiremo per sempre (Simon Jenkins, sul Guardian, con il suo inconfondibile cinismo, ha chiesto a Cameron: perché mai hai portato la Siria al G8, volevi proprio farti del male?). Il premier inglese ha detto che una decisione non è stata presa, mentre il suo ministro degli Esteri, William Hague, rassicurava tutti sostenendo che la destinazione delle armi può essere controllata. Dall’America di Barack Obama, che alla fine della settimana scorsa ha annunciato la volontà di armare i ribelli siriani (ci vorranno comunque alcune settimane, ha detto una fonte ufficiale al Los Angeles Times), arrivava il solito articolo deprimente sulla leadership obamiana firmato da Peter Baker sul New York Times: Obama non pensa che le armi ai ribelli servano, ma almeno questo gli dà tempo per trovare una soluzione negoziata al conflitto in una conferenza a Ginevra di cui ancora non si sa la data, fermo restando che “vuole essere ricordato per essere uscito dalle guerra in medio oriente, non per essersi imbarcato in nuove”.

    La voce grossa del terrorismo
    Soltanto il premier canadese, Stephen Harper, ha detto che Putin sta sostenendo i “thugs”, i criminali, del regime di Assad, ma siccome non vuole mandare armi ai ribelli, le sue parole sono rimaste come sottofondo. La voce grossa è quella della Russia e dello stesso Assad, che alla Frankfurter Allgemeine ha detto: con il terrorismo da noi l’Europa ha perso un mercato, e quel terrorismo arriverà a infestare anche il continente europeo. “Non c’è alternativa alla collaborazione con il governo siriano, anche se all’Europa la cosa non piace”.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi