Il guru e la rete giudicante
Grillini divisi tra espulsioni e ostruzionismo rivoluzionario
Espulsione o rivoluzione: il dilemma fin da ieri mattina attanagliava gli utenti del blog di Beppe Grillo, prodighi di commenti al post che annunciava il voto, in orario di ufficio 9-17, sulla cacciata dal gruppo Cinque stelle della senatrice critica Adele Gambaro, infine espulsa con il 65,8 per cento dei 19.790 voti espressi (gli aventi diritto erano i soliti 48.292, quelli delle Quirinarie, affluenza bassina) e con tanti ringraziamenti “a coloro che hanno partecipato”. Gli altri, i non pochi contrari (34,2 per cento), si sovrapponevano agli attivisti non votanti ma scriventi sul blog del capo, angosciati di “perdere tempo e credibilità” e di sottrarre appunto “energie” alla “rivoluzione” annunciata in febbraio.
Leggi l'editoriale Il dito, la luna e Adele G. di Giuliano Ferrara
Espulsione o rivoluzione: il dilemma fin da ieri mattina attanagliava gli utenti del blog di Beppe Grillo, prodighi di commenti al post che annunciava il voto, in orario di ufficio 9-17, sulla cacciata dal gruppo Cinque stelle della senatrice critica Adele Gambaro, infine espulsa con il 65,8 per cento dei 19.790 voti espressi (gli aventi diritto erano i soliti 48.292, quelli delle Quirinarie, affluenza bassina) e con tanti ringraziamenti “a coloro che hanno partecipato”. Gli altri, i non pochi contrari (34,2 per cento), si sovrapponevano agli attivisti non votanti ma scriventi sul blog del capo, angosciati di “perdere tempo e credibilità” e di sottrarre appunto “energie” alla “rivoluzione” annunciata in febbraio – e pazienza se intanto i deputati del M5s baldanzosamente annunciavano su Facebook l’avvento dell’“era dell’ostruzionismo in Parlamento”, come scriveva il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio e come ripetevano i colleghi oscillanti stavolta tra rivoluzione e istituzione (“non ci stiamo a essere esautorati dall’esercitare il potere legislativo”, diceva Vincenzo Caso). Ma siccome non si poteva ignorarlo, il cosiddetto “caso Gambaro”, ci si attorcigliava nelle manovre diversive: parlare d’altro, e soprattutto parlare dell’eterno, incombente problema della diaria da rendicontare entro domenica prossima. Meglio ancora, pensava qualcuno: perché non far apparire i dissidenti, prima di tutto, come non del tutto rendicontati? Ed ecco che il deputato Ivan Della Valle attaccava (sempre su Facebook) la collega Paola Pinna, prossima possibile candidata all’ordalia dell’assemblea e della rete per commenti televisivi sulla democrazia interna. Della Valle raccontava di una serata in cui Pinna “rovinò la cena” a lui e ad altri commensali, sostenendo “persino di non essere obbligata a rendicontare” al grido di “dove sta scritto?” (in effetti non c’è scritta, sul codice di comportamento dei parlamentari, la parola “rendicontazione”, motivo per cui da mesi ci si accapiglia per questioni di mobilia).
Il colpo di scena, intanto, si consumava altrove e per mano di Beppe Grillo, che telefonava alla stessa Pinna e all’altro dissidente Tommaso Currò proprio mentre l’espulsione di Gambaro veniva perfezionata dalla rete, e a quel punto nel M5s nessuno più ci capiva un tubo: “Ma non poteva allora fermare la cacciata di quell’altra?”, si chiedeva un attivista romano, attonito di fronte alla doppia faccia del leader, un po’ dittatore un po’ padre incazzoso che infine sbollisce. “Tieni unito il movimento”, “no caccia alle streghe”, dicevano Currò e Pinna al capo cui avevano chiesto di mettersi “in ascolto” (proprio come Gambaro, ma per lei era troppo presto o troppo tardi).
Se telefonando
E però il M5s è già tutto un telefono senza fili: mentre Grillo telefonava, il suo blog si riempiva di delusione espressa da quelli che forse oggi l’ex comico chiamerà (di nuovo) “trolls”: utenti sopraffatti dalla realtà di un movimento in cui non riescono più a specchiarsi, anche un po’ incredibilmente (i toni dei post di Grillo erano gli stessi anche prima delle elezioni, le espulsioni non sono novità di oggi, ma tant’è). C’era chi implorava: “Votate no alla cacciata di Gambaro, non siate stupidi”; chi copiava e incollava l’editoriale di Marco Travaglio, intitolato “i grullini” (“autotrappola perfetta”, scriveva il vicedirettore del Fatto prevedendo che “d’ora in poi”, ai “dissenzienti senza arte né parte”, sarebbe bastato rilasciare un’intervista al giorno “per finire tutti dinanzi al tribunale del popolo, o della rete, e guadagnarsi l’insperata fama di nuovi Solgenitsin”). Qualcuno si scopriva con orrore “setta in adorazione di un messia” e traeva conclusioni fosche: “Non ci voterà più nessuno”. Qualcuno, per un giorno in minoranza nel flusso dei commenti, anche se non nel voto contro Gambaro, ribadiva la formula magica letta sulla bacheca Facebook di qualche oltranzista: “Ora è necessario che il movimento si spacchi. Vadano fuori tutti quelli che confondono gli interessi personali con gli interessi generali. La Storia vi ha già giudicati: siete la versione sfigata di Berlusconi e non meritate il movimento”. Nel delirio generale, il capogruppo dei senatori Nicola Morra, professore, la buttava in filosofia: “Sono dispiaciuto, ma ricordo a me stesso che si deve coniugare chiarezza e lealtà e saper cogliere il kairos, il momento opportuno e propizio”. E l’espulsione particolare della senatrice diventava lavacro generale, in vista di un’introvabile “unità”.
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