Armi non convenzionali
Nella guerra di Draghi in difesa della sua Bce spuntano due bei paper
Il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, difende il suo operato non solo a parole ma anche con le carte. Da settimane il capo della Bce non perde occasione per rivendicare con forza la legittimità e l’efficacia delle sue scelte. Ultimo in ordine di tempo, il discorso tenuto a Gerusalemme durante un convegno in onore di Stanley Fischer, governatore della Banca centrale israeliana e maestro dello stesso Draghi. “La politica monetaria resterà accomodante fin quando necessario”, ha detto Draghi tre giorni fa. “Monitoreremo tutte le informazioni in arrivo sugli sviluppi economici e monetari, e rimarremo pronti ad agire se necessario”.
Il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, difende il suo operato non solo a parole ma anche con le carte. Da settimane il capo della Bce non perde occasione per rivendicare con forza la legittimità e l’efficacia delle sue scelte. Ultimo in ordine di tempo, il discorso tenuto a Gerusalemme durante un convegno in onore di Stanley Fischer, governatore della Banca centrale israeliana e maestro dello stesso Draghi. “La politica monetaria resterà accomodante fin quando necessario”, ha detto Draghi tre giorni fa. “Monitoreremo tutte le informazioni in arrivo sugli sviluppi economici e monetari, e rimarremo pronti ad agire se necessario”. Ma adesso, mentre pende la decisione della Corte federale tedesca di Karlsruhe contro l’Outright monetary transactions (Omt), il piano di acquisto illimitato di titoli messo in campo dalla Bce per placare lo spread, arrivano due paper che da una parte avvalorano le scelte espansive compiute oltreoceano dalla Federal Reserve e, dall’altra, confermano la scelta di Draghi di affinare la “cassetta degli attrezzi” della Bce.
Sul primo fronte, uno studio mostra gli effetti positivi della politica super espansionista della Fed, proprio mentre due giorni fa la Fed, seppur a maggioranza, aveva deciso di continuare la rotta verso una politica antirigorista fino al 2014, limite che temporale che ieri ha spaventato gli investitori deprimendo le Borse mondiali (Milano ha perso il 3,9 per cento) e lo spread tra i titoli decennali italiani e quelli tedeschi è salito a 290 punti base. Il Fomc (Federal open market committee), il comitato che decide la regolazione dell’offerta di moneta, ha esaminato gli indicatori chiave dell’economia americana, considerati non soddisfacenti, con una attività economica che si espande a “un passo moderato”, e un’inflazione ancora sotto il livello prestabilito (1,4 per cento contro il 2 per cento prefissato) e dunque, seppur a maggioranza, ha deciso di proseguire nella sua politica di Quantitative easing, pur segnalando che se i target di crescita (e soprattutto la disoccupazione) saranno in linea con le attese. Ora uno studio Bce riconosce l’efficacia dell’azione della Fed nella fase più critica della crisi.
Un paper di Marcel Fratzscher, Marco Lo Duca e Roland Straub intitolato “On the international Spillovers of Us Quantitative Easing” analizza gli effetti sui mercati internazionali delle operazioni non convenzionali della Fed, e mostra come nella parte iniziale della crisi (2008-2009) soprattutto l’acquisto di titoli da parte di Washington ha portato benefici all’economia americana comportando il rientro di capitali e investimenti dai paesi emergenti sul mercato azionario e obbligazionario americano. Ciò ha prodotto, dice lo studio, “un apprezzamento del dollaro, un abbassamento dei rendimenti dei titoli di stato e ha supportato il mercato borsistico Usa”. “Dato l’obiettivo della Fed di portare liquidità ai mercati finanziari e a ripristinare segmenti di mercato danneggiati dal dopo crisi Lehman Brothers, le politiche Fed paiono essere state piuttosto efficaci” rileva la ricerca, che peraltro non risparmia una critica alla seconda fase del Quantitative easing (2010), quando gli effetti di tali politiche hanno invece spinto i capitali verso i paesi emergenti portando a un deprezzamento del biglietto verde.
Il secondo paper uscito in questi giorni da Eurotower, intitolato “The use of credit claims as collateral for Eurosystem credit operations”, a cura degli economisti Kentaro Tamura e Evangelos Tabakis, mostra invece come Draghi – che lo aveva anticipato il 19 marzo in un discorso a Francoforte – abbia lavorato a un migliore uso dei debiti delle banche come garanzia collaterale verso la stessa Bce, un “complesso meccanismo” (Draghi dixit) che dovrebbe migliorare i flussi di credito nell’Eurozona, sostenere le Pmi e contribuire a far ripartire l’economia dell’Eurozona. Il governatore aveva sottolineato in quell’occasione che “è in atto un lavoro per migliorare le possibilità d’utilizzo di collaterale transnazionale per le operazioni di credito nell'Eurosistema, che ne aumenteranno l'efficienza”. Lo studio Bce sottolinea adesso che negli ultimi tempi sono state prese diverse misure per migliorare questo strumento; in particolare, alcune Banche centrali hanno avviato procedure automatiche per l'uso dei debiti delle banche come garanzia; si è introdotto un sistema per gli scambi di garanzie tra stati diversi; e nel 2012 si è implementata la portata della direttiva Ue 44/2009 sui collaterali, estendendo la protezione contro i possibili default di enti creditori, e diminuendo gli adempimenti burocratici; infine, lo studio apprezza l’iniziativa di soggetti privati come la standardizzazione della documentazione richiesta su alcuni tipi di crediti, che abbassa costi e tempi delle transazioni.
Il Foglio sportivo - in corpore sano